In memoria di Robert S. Dombroski.
Un nuovo umanesimo nella didattica letteraria

Maurizio Rebaudengo

Il 10 maggio scorso si è spento all’Hopital Americain di Neuilly-sur-Seine Robert S. Dombroski, docente presso il Graduate Center della City University di New York, dopo una quasi ventennale esperienza professionale presso la University of Connecticut, a Storrs, dove ha contribuito a fare della sezione d’Italianistica, negli anni ’80, uno dei punti di riferimento accademici più importanti fuori d’Italia. Per poter comprendere quale fosse il raggio di interessi dell’uomo ed intellettuale scomparso, si può partire dall’indicazione contenuta alla voce Dombroski nel sito della CUNY: «literature and intellectual history of 19th and 20th century Italy». La letteratura, dunque, mai disgiunta dal contesto storico-culturale che l’ha prodotta.

Dombroski era un modernista, uno dei più affermati, per la capacità di compendiare, nella strumentazione teorica, mai dogmatica, contributi da varie discipline: la formazione più gramsciana che marxista propriamente detta, un marxismo critico, quindi, pronto a smascherare le contraddizioni degli intellettuali engagés (non a caso Dombroski ha dedicato due saggi alla lucida anomalia di Sebastiano Timpanaro, il secondo uscito nel 2001 su Italica); l’attenzione alla storia sociale (e, per il caso italiano, al fascismo in particolare, visto come termine di confronto fondamentale per le coscienze degli intellettuali, sia nel corso del ventennio che dopo; si ricorderà L’esistenza ubbidiente. Letterati italiani sotto il fascismo, 1984); l’influenza della psicoanalisi, come grimaldello rivelatore dei silenzi della letteratura, o delle sue enunciate certezze; l’auscultazione stilistica dei testi, con riflesso stilistico nella pagina – è sorprendente, infatti, per chi sia abituato alla critica letteraria americana attuale, l’articolazione sintattica e lessicale dei saggi di Dombroski: si potrebbe dire, senza forzatura, che pensasse secondo una struttura logica romanza, adoperando l’inglese come canale espressivo.

Le sue indagini critiche vertono appunto sul moderno, privilegiando l’ambito romanzesco (a partire da Manzoni), senza trascurare né la tradizione antecedente (Dante, Boccaccio, Castiglione), né la poesia (Penna e Montale). Gli scrittori prediletti da Dombroski sono senz’altro quelli distonici, coloro che rivelano nel linguaggio, vero specchio dell’esperienza umana, uno scollamento non suturabile da una realtà non più conoscibile: tra di essi Pizzuto, Pirandello, e, soprattutto, Carlo Emilio Gadda. Su Gadda, infatti, verteva la tesi di Ph.D, discussa ad Harvard con Dante Della Terza (pubblicata poi dall’editore fiorentino Vallecchi nel 1975) – e sul Gran Lombardo Dombroski ha prima curato, insieme a Manuela Bertone, una raccolta di saggi (Carlo Emilio Gadda, 1997), dando poi alle stampe una monografia (Creative Entanglements: Gadda and the Baroque, 1999), da poco uscita nella traduzione italiana (Gadda e il barocco, 2002). Proprio da quest’ultima fatica emerge chiaramente l’approdo metodologico, un uso della teoria postmoderna lontana dai furori destoricizzanti della vulgata d’Oltreoceano.

In un’intervista rilasciata a Lidia Marchiani e pubblicata su Chichibio nella primavera del 2000, Dombroski ribadiva l’opportunità di un saldo fondamento storico della didattica umanistica: davanti all’introduzione dell’autonomia, egli operava un confronto tra la frammentaria situazione scolastica americana, in cui si è perso ogni senso di comunità avendo lagato gli standards d’istruzione alle richieste produttive, e quella italiana, che si affaccia all’innovazione con ingenuo entusiasmo, senza tener conto degli esiti negativi già riscontrati altrove. Quelle righe, che valgono assai più di molti testi di didattica, venivano concluse da Dombroski ricordando come una seria opera comparatistica possa nascere solo dalla conoscenza approfondita, ad ogni livello, della propria tradizione, punto di partenza per un confronto con le altre tradizioni, da comprendersi – e dunque accettarsi – nella loro alterità. Non a caso, l’eredità più importante di Dombroski per chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, è proprio l’accettazione piena e generosa di ogni diversità, il rispetto dell’altro per un umanesimo al passo con i tempi.

A chi redige questa nota, in realtà, era stato chiesto di tracciare un profilo di Dombroski più umano che accademico. Essendo stato uno dei suoi ultimi allievi, ed avendo lavorato sullo scrittore da lui prediletto, Gadda, non ho potuto invece evitare una commemorazione che a Robert, così autoironico, sarebbe di certo sembrata un poco trombonesca. Ci sono, però, dei momenti di cui non si può che custodire gelosamente la memoria, e la cui divulgazione suonerebbe blasfema anche ad un laico convinto come lui. Non posso dunque che concludere ricordandolo in veste pubblica, come docente-amico. Durante i seminari l’interazione era segnata dal bagliore dello sguardo: se i suoi occhi azzurri, accompagnati da un’espressione di concentrata attenzione, fissavano l’interlocutore, si era centrato l’obiettivo da lui atteso. Le gote, poi, si scioglievano in un sorriso convinto; l’allievo, al termine del lavoro, si sentiva pienamente accolto nella sua famiglia, fatta di consanguinei, sì, ma soprattutto di sodali-colleghi, raccolti dal comune affetto.

Università di Torino

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-03-5

© 2002-2025 Maurizio Rebaudengo & EJGS. First published in EJGS. Issue no. 2, EJGS 2/2002.

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