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L’Adalgisa. Scienza storica e scienza naturale nella piega narrativa
Giuseppe Episcopo
Scienza naturale e scienza storica, i due angoli d’apertura entro cui sembra oscillare – variazioni fuori asse a parte – il pendolo narrativo dell’Adalgisa, appartengono, tradizionalmente, a due categorie ermeneutiche differenti. Dato che i fenomeni fisici possono essere spiegati e gli eventi storici, invece, solamente compresi, è la categoria ermeneutica della comprensione (il Verstehen degli storici tedeschi, da Leopold von Ranke a Wilhelm Dilthey) a interessare i fatti storici. Eppure, nel momento in cui la storia si riversa nella struttura verbale, ossia nella forma di un discorso narrativo in prosa che tende a ripercorrere, rappresentandoli, ciò che sono stati i processi passati, si instaura uno stretto legame tra creazione e scienza storica nel quale, però, quest’ultima, come scrive Hayden White, seguitava ad essere legata a:
Una concezione baconiana, empirica ed induttiva del compito dello scienziato, il che significava che la storiografia doveva rimanere una scienza pre-newtoniana. E lo stesso si diceva nei riguardi della componente artistica della rappresentazione storica. Anche se arte, la storiografia non doveva essere considerata quella che all’inizio del XIX secolo era chiamata «arte libera» cioè un’«arte creativa». Come forma artistica, la storiografia poteva essere «viva» e stimolante, perfino piacevole purché lo storico-artista non si permettesse di utilizzare qualcosa di diverso dalle tecniche e dagli espedienti della narrazione tradizionale. (White 1978: 183)
Storia come esercizio di retorica, quindi, almeno fino al volgere del XIX secolo, quando il nuovo nodo problematico che si impone all’attenzione non è più costituito dalla corrispondenza tra narrazione e realtà storica, ma piuttosto dalla storia in sé quale oggetto di indagine filosofica. E ciò porta la ricerca storiografica a incanalarsi in un duplice direzione: riflessiva da un lato (la storiografia come scienza), autoriflessiva dall’altro (la filosofia della storia). Come a dire che il contenuto latente di tale percorso cessa di venir identificato con l’atto di distinguere e riconoscere i dati storici in quanto tali e diviene, invece, l’indagare la struttura filosofica nella quale i dati storici stessi divengono accessibili. Questo aspetto, che anticipa i temi sviluppati dalla storiografia dalla metà dell’ottocento fino alla sua crisi, alla fine della prima guerra mondiale, gravita attorno alla questione del grado di scientificità del pensiero storico e la sua prossimità o, viceversa, lontananza dalle scienze naturali: in tal senso non possono essere dimenticati gli impulsi e i contributi che provengono da Marx, Engels, Droysen, Dilthey, Croce.
Da un punto di vista più ampio, la posizione assunta dalla scienza storica inizia a tracciare il solco che condurrà all’apertura problematica di tipo metastorico in cui si collocano nel secondo Novecento le riflessioni di Michel Foucault, Arthur Danto, Reinhart Koselleck e Paul Ricoeur. Nelle loro analisi la ricerca storica è collocata in una prospettiva prevalentemente formale e linguistica, che considera, conseguentemente, ogni opera storiografica prima di tutto come una narrazione, un testo poetico attraverso il quale il magma complesso degli eventi e dei dati storici, nella loro qualità di elementi primi, viene ordinato ed espresso: una teoria formale dell’opera storica che si propone di decodificare la retorica della storiografia, e di rivelare, dietro questa retorica, il modello narrativo.
Adalgisa complica e ristruttura dapprincipio questi flussi mettendoli alla prova di una prassi romanzesca (che è allo stesso tempo metanarrativa) e di una teoria formale (che non è più solo romanzesca) in cui tracce storiche (la storia come dato), grado storico (l’aspetto autoriflessivo della storia), trama (il processo rizomatico e aggregativo, centripeto e centrifugo) e cronaca (le storie individuali dei protagonisti, immersi nella loro salamoia gravitazionale – SGF I 95) confluiscono in dieci disegni. Disegni, dunque, recita il sottotitolo. E il valore rematico dell’apposizione al nome proprio femminile ben si presta a un’interpretazione della superficie narrativa come tableau – senza alcun dubbio – ma, seguendo più da vicino il nostro discorso, permette anche di mettere a fuoco la natura della stessa superficie illustrata. Questa si presenta, geometricamente, senza bordi e non orientabile, una superficie che è allo stesso tempo risvolto e pagina, interno ed esterno, recto e verso. Il piano narrativo si dispiega secondo il modello del nastro di Möbius e la storia, stavolta intesa come trama, scorre in un doppio flusso che instaura una distinzione e, allo stesso tempo, propone una continuità tra romanzo e storia. E in questo senso è lo stesso Gadda che assume su di sé una duplice funzione: quella del romanziere, che ha la possibilità di ordinare e disordinare gli avvenimenti reali grazie a elementi fittizi, e quella dello storico, che di fronte al caos di eventi già costituiti organizza la propria trama attraverso un’opera di selezione, inclusione, esclusione, enfasi, subordinazione. È, questo, il percorso gomitolare diviso in quadri/grumi dell’Adalgisa, percorso che si avvolge intorno a un nucleo attrattivo anch’esso nodo, gnommero.
Oppure, per identificare la natura delle operazioni di selezione, inclusione, esclusione, enfasi, subordinazione potremmo rivolgerci altrove. Potremmo rivolgerci alle parole che Gadda spende nel recensire il primo dei volumi Treccani dedicati alla Storia di Milano, dalle immancabili «origini» al 1914. I processi che hanno agito nell’orientare il flusso della storia sono descritti da Gadda sia tenendo implicitamente conto delle variabili casuali e causali, dipendenti e indipendenti, sia secondo un modello di fluitazione, urto e definitiva scelta (SVP 1110) degli eventi e avvenimenti. Ma, riportando la barra nella direzione dell’Adalgisa, gli ambiti che vengono misurati attraverso l’uso di questo calibro non afferiscono solo ai processi storici in quanto tali: nella serie delle variabili, e nella loro reciproca concatenazione, sono anche ravvisabili le tracce di un metodo entropico/ermeneutico che lavora per osmosi, affrontando il groviglio col groviglio. Non ultimo, nel modello di fluitazione, urto e definitiva scelta sono riconoscibili delle indicazioni di processi filologici o meta-filologici, per restare nella temperie critica ispirata da Hayden White.
Le narrazioni, i disegni che compongono Adalgisa sono caratterizzati da processi d’intreccio che allo stesso tempo assecondano e disattendono le serie delle variabili – anche in questo caso dobbiamo tenere aperto il compasso tra le macrostrutture romanzesche e i microsistemi lessicali. Portando in primo piano discontinuità, salti, faglie, sospensioni temporali, il romanzo avanza verso la formulazione di un’ipotesi di descrizione del presente che, in quanto tale, agisce nelle modalità del possibile, quasi assecondando un processo logico ispirato alla reductio ad infinitum. Ed è quindi facendo leva sulle contraddizioni che Gadda si misura sia con il processo storico in sé che col modo in cui esso si configura al presente. Nel procedimento ermeneutico/gomitolare portato avanti da Gadda ciò vuol dire tenere lo sguardo sul modo in cui gli aggregati evenemenziali e strutturali, le morfologie arborescenti, smettono di essere multipli potenziali e prendono la loro piega nel presente: lasciati impliciti – e perduti – i multipli, dapprima potenziali, sono ormai depotenziati. Per riprendere un noto passaggio, cose, eventi ed oggetti valgono per Gadda non in sé ma «in una aspettazione, in un’attesa di ciò che seguirà, o in un richiamo di quanto li ha preceduti e determinati» (SGF I 629).
Osservate più da vicino, le variabili (sia quanto ha preceduto e determinato che quanto seguirà) non solo danno ragione dei rapporti tra gli eventi, ovvero non solo rifluiscono nella categoria del Verstehen, della comprensione, ma nella loro reciproca concatenazione (in quanto incognite) possono essere riconosciute quali parti costitutive di un’equazione matematica. Vale a dire che Gadda si trova a maneggiare un’equazione a più variabili in cui il dominio delle incognite agisce all’interno di un sistema, in sé, aperto. Una classica definizione delle equazioni termodinamiche applicata, stavolta, a un organismo complesso: la città, punto d’incontro, luogo di transizione, luogo privilegiato del passaggio delle storie dentro la storia e della storia nelle storie. In questo luogo/organismo la compresenza di personaggi, tranches de vie, episodi, quadri rappresenta lo strato organico del sistema romanzo, nel quale l’affastellato delle cose (dall’assito ai brilànt del primo quadro alle biciclette e al Sidol nell’ultimo) agisce come testimone inorganico della stratificazione del tempo. Eppure, del passaggio da un’epoca alla successiva, del passaggio da una società a un’altra Adalgisa coglie uno stadio di sospensione temporale. Lo scorrere diegetico della narrazione si arresta e si concentra sui singoli avvenimenti spogliati della loro pelle individua e incorniciati all’interno di una time-area immobilizzata. Lo scorrere diegetico si affaccia sulla soglia prima che la tracimazione conduca cose-eventi-oggetti a prendere un’altra forma nella quale è insita anche un’altra transizione, quella che investe la morfologia del genere romanzesco, dal momento che è esso stesso a sua volta punto di passaggio di un secondo processo di fluitazione, urto e definitiva scelta. Fogli, brogli, frammenti sono sacrificati sull’altare di un romanzo che, proprio per la sua struttura, è costitutivamente composto di nodi e snodi aperti al più alto grado di interconnessione. Non è un caso, quindi, che la storia nell’Adalgisa sembri tornare ad essere una scienza pre-newtoniana, in cui l’alto grado di equiprobabilità e di aleatorietà, unito al carattere non sperimentale dipendono dal numero delle varianti, dal numero degli eventi, dalla loro densità, dall’assenza di un ordine che si sovrapponga a un indistinto originario.
In un saggio dedicato all’indagine degli elementi culturali dominanti nel XX secolo, L’età neobarocca, (Roma-Bari: Laterza, 1987), Omar Calabrese mette in rilievo come, a partire dalla pressione simultanea di alcune teorie scientifiche e di alcune teorie filosofiche, la serie disordine-caso-caos-irregolarità-indefinito abbia subito una radicale mutazione:
Le nozioni stesse di disordine, irregolarità, caso, caos, indefinito possono ricevere definizioni diverse […] Ci sono almeno tre posizioni che possono essere concepite come «classiche» all’interno della storia del pensiero occidentale. La prima potremmo chiamarla idea «dell’origine o del fine» dei fenomeni. Consiste nel pensare l’ordine come un principio di regolarità, che si sovrappone ad un indistinto originario, o, inversamente, come una condizione che però tende alla dissoluzione finale, all’assoluta equiprobabilità dei fenomeni. Tutta la filosofia presocratica immaginava l’origine del cosmo come derivato da un caos originario. E inversamente la teoria dell’informazione ci ha abituati fra gli anni ’40 e ’50 del nostro secolo al concetto di «entropia», cioè di stato equiprobabile degli elementi di un sistema di informazione a cui questo fatalmente tende. La seconda posizione è più deterministica. Consiste nel pensare che qualunque fenomeno sia retto da un ordine necessario. Solo la mancanza di informazioni sufficienti ci impedisce, in certi casi, di intravedere quell’ordine: e perciò lo definiamo per comodità «irregolare». Anche in questo caso si tratta di una concezione antica e moderna al tempo stesso: la ritroviamo tanto nella fisica aristotelica quanto nella meccanica pre-newtoniana, o nel positivismo, o nel marxismo dogmatico. La terza posizione è più relativista e sfumata, nonché la più contemporanea. Consiste nel pensare che i principi di irregolarità, casualità, caoticità, indefinito, dipendano dal fatto che la descrizione di un fenomeno (e perciò anche la sua eventuale interpretazione e spiegazione) dipendano dal sistema di riferimento in cui lo inseriamo. (Calabrese 1987: 123-124)
Nella fisica novecentesca si fa strada l’idea che non tutti i fenomeni seguano necessariamente un solo ordine della natura e che anche fenomeni all’apparenza semplici possano essere soggetti ad una dinamica talmente complessa che la turbolenza (1) diviene il loro principio specifico di trasformazione. La dinamica dei fenomeni tendenti alla massima complessità ha preso il nome di chaos e costituisce il principio degli studi sul disordine (le teorie del caos) che si sono sviluppati a partire dalle ricerche condotte da James Yorke e Tien Yien Li, confluite nell’articolo Period three implies chaos (in American Mathematical Monthly, 1975, 82.10). I termini e i concetti di turbolenza, complessità e instabilità sono alla base della descrizione delle teorie del caos, dei principi di termodinamica, così come delle strutture dissipative e dei frattali. Se passiamo a soffermarci brevemente su questi ultimi, saranno le stesse proprietà degli oggetti frattali a consentirci di delineare l’area estetica tracciata da tali fenomeni.
Il carattere di casualità va inteso nel significato scientifico di pseudo-aleatorietà, ovvero il caso non è altro che il risultato del calcolo delle probabilità all’interno di un sistema simulato. La seconda proprietà specifica dei frattali è data dal loro carattere scalante: gli oggetti frattali hanno una forma o una struttura irregolare che si ripete in maniera isomorfa nell’insieme come nelle sue parti, e a qualunque scala si osservi l’oggetto analizzato. La terza proprietà è costituita, infine, dal loro carattere teragonico. Nel prefisso tera, adottato per designare un numero elevato ad una potenza infinita, (2) si annida etimologicamente il mostro (teras). Il teragono, forma poligonale mostruosa, è il risultato geometrico dell’elevatissimo numero di lati che compongono gli oggetti frattali. Come è possibile osservare, tutti e tre i caratteri appartengono ad una medesima area estetica: frammentazione figurativa, ritmo e ripetitività scalare, forma dovuta al caso, ma solo nella misura in cui essa è il risultato equiprobabile all’interno di un sistema legato a variabili.
Un’area estetica dai tratti non dissimili da quelli appartenenti al paradigma tecnomorfo novecentesco identificato e descritto da Giancarlo Mazzacurati. In Pirandello nel romanzo europeo (Bologna: il Mulino, 1987) Mazzacurati ha distinto nel genere romanzesco un duplice paradigma: da un lato il romanzo antropomorfo, che, seppur «non significa affatto romanzo fondato su un modello univoco», è «ricoperto di figure isomorfe rispetto al reale ed alle sue presunte logiche di relazione tra soggetti ed eventi», e pertanto si può anche siglare come romanzo-natura; dall’altro lato il romanzo tecnomorfo, che «nasce […] nella crisi del modello naturalista, e più specificamente dalla sfiducia d’ogni strumentazione a raggio largo, e contro l’autore-demiurgo, onnisciente», una forma, questa, altrimenti definibile come romanzo-macchina. Se il primo modello «descrive o narra per linee progressive», il secondo «è di solito di tipo digressivo, ritaglia da una totalità cui non crede o che ritiene inattingibile da un percorso specializzato» (Mazzacurati 1987: 89, sgg). L’ipotesi di romanzo tecnomorfo ci permette di considerare la presenza della scienza nel romanzo in modo intrinseco alla sua struttura e non solo come oggetto del racconto.
Nelle zone d’indeterminazione lasciate aperte da questo paradigma risulta possibile ritagliare un percorso utile per saggiare la natura del testo gaddiano. Se la rappresentazione non è retta da alcun principio di corrispondenza che sia ritenuto interamente idoneo a ciò che deve essere rappresentato (caratterizzato dai processi di turbolenza, equiprobabilità e pseudo-aleatorietà) allora il problema diviene come sia possibile mantenere la reciproca univocità fra rappresentato e rappresentazione senza perdere la continuità con l’immagine rappresentata. E Gadda si confronta proprio con questi aspetti nel momento in cui si appresta ad affrontare l’«equazione delle equazioni» (SVP 68). La via d’accesso alla rappresentazione viene cercata da Gadda innanzitutto in un linguaggio capace di ricorsività e metariflessione: un linguaggio capace di sdoppiarsi in un linguaggio oggetto e in un metalinguaggio. In secondo luogo Gadda opera un continuo cambio di lenti durante l’osservazione del contenuto oggettivo e questo meccanismo, che da un lato produce una frammentazione figurativa e dall’altro la policentricità della rappresentazione, permette di osservare la ripetitività scalare di cose, eventi, oggetti messi a fuoco a diverse distanze. Un’ulteriore componente è relativa all’organizzazione dei singoli elementi: separati, giustapposti, a tratti indipendenti da una progressione narrativa. A un’altra altezza, però, l’insieme dei tratti parziali è reso omogeneo da forze esterne. Ed è in questo ambito che, quasi da antidoto al disordine, agiscono per Gadda i vincoli genealogici.
Per ancorare il discorso fin qui articolato al terreno della critica letteraria, possiamo osservare come la crisalide romanzesca, sedimentata nella stratigrafia storica e scientifica, riemerga nell’Adalgisa non più come struttura formale ma come struttura logica, nella misura in cui la narrazione procede con un passo analitico. Intendo dire che, anche a voler lasciare in disparte il nodo problematico dei rapporti con la logica trascendentale kantiana, il flusso narrativo è attraversato da un procedimento di scomposizione analitica, sia nel significato metodologico di procedere dal condizionato al condizionante sia in quello semantico, ottenuto dall’azione di estroflettere ed esplicitare tutti i predicati appartenenti al soggetto (e per soggetto vale la sequenza cose-eventi-oggetti). E questo avviene tanto sincronicamente, perché per ogni sequenza cose-eventi-oggetti l’«ubicazione nel tempo e nello spazio ne condizionano la forma e l’apparenza» (Roscioni 1969a: 8), quanto diacronicamente, poiché il soggetto (ancora la sequenza cose-eventi-oggetti) è il risultato di una concatenazione che per Gadda è storica in senso universale (SVP 661).
Quindi, allentando l’attrazione tra le molecole che compongono gli oggetti e gli eventi, Gadda crea delle aperture, degli «archi a spiombo» (SGF I 504) che permettono di sostituire i tradizionali legami con nuovi nessi o di far intervenire la variabile del caso nelle consuete divisioni e nei tradizionali legami tra cose e cause (cfr. Bachtin 1979: 315, sgg). Se in questo senso va interpretato il ruolo del cronotopo nella forma romanzesca sperimentata da Gadda, bisogna notare che al suo interno si modificano gli esiti del pastiche (per citare una tra le tecniche artistiche di Gadda più note e discusse) che si sottrae dalla condizione di presupposto della funzione espressiva, sia innescando il flusso perpetuo delle combinazioni lineari e non lineari, sia ponendosi come modello sincronico all’interno del quale si risolve la diacronia dei modi passati. In questo senso, le forme della conoscenza storica e scientifica si riproducono anche nei tratti endemici dell’Adalgisa, videlicet parametri temporali miscelati, molteplicità della percezione, interazione natura e cultura, moltiplicazione dei punti di fuga, geografia sociale e geografia della memoria, nella loro varietà qualitativa.
Da questa prospettiva, l’intero processo linguistico/critico/creativo, metodologicamente ellittico, si trova impegnato nell’elaborazione di (nella lavorazione delle) zone di permeabilità, membrane osmotiche che si lasciano attraversare dall’ordine delle cose. Un aspetto, questo, che si riscontra anche nella macrostruttura del romanzo. La trama si avvolge e si svolge sulle soglie che, proprio in virtù della loro condizione di permeabilità e di porosità, consentono al processo linguistico/critico/creativo (morfologicamente e metodologicamente stratificato) di entrare nel testo e di prodursi attraverso il testo. Soglie intratestuali e intertestuali, soglie del linguaggio, soglie urbane. In primo piano appaiono gli impromptus, le cavatine, le ouvertures, gli introibo, i vestiboli, i ponticelli di legno. Le soglie guadagnano spazio e si estendono fino a oscurare il centro urbano e geografico.
E allora i disegni milanesi, giustapposti, appaiono allo sguardo non più solo come tableaux ma come tavole di una pala d’altare, o più precisamente come sportelli di un polittico che, lasciati socchiusi, oscurano il centro della rappresentazione. Il centro è presente, percepibile, ma ancora inaccessibile allo sguardo, sottratto alla vista ed escluso da una rappresentazione diretta. Forse perché ciò che è presente nel centro è proprio ciò che in senso lacaniano cade nell’ordine del reale. Il reale è l’impossibile, scrive Lacan, perché è appunto proprietà del reale che non lo si immagini: il reale è ciò che non viene modificato, torna sempre identico ed è, come trauma o come spettro, sempre in corso. Per Gadda, la Grande Guerra.
University of EdinburghNote
1. In fisica con il termine turbolenza s’intende il modo di apparire di un fenomeno ciclico qualunque, nel quale alla regolarità comune si sostituisce il caos.
2. Il prefisso tera è il fattore dieci elevato alla dodicesima potenza. Il teragono, quindi, è un poligono costituito da mille miliardi di lati e in pratica corrisponde a una circonferenza.
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-21-3
© 2015-2023 Giuseppe Episcopo & EJGS. First published in EJGS, Supplement no. 8, EJGS 7/2011-2017.
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