Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Architettura

Alberto Muffato

Nell’incipit del Pasticciaccio il corpo di Liliana assume le fattezze di un’architettura armonicamente organata. Lo sguardo della futura vittima congeda «ogni fantasma improprio, instituendo per le anime una disciplina armoniosa: quasi una musica: cioè un contesto di sognate architetture sopra le derogazioni ambigue del senso» (Pasticciaccio, RR I 20-21). In quest’immagine Gadda attua il tipico parallelismo umanistico fra soggetto, figura musicale e figura costruita. (1)

Spesso, peraltro, i personaggi gaddiani s’interrogano, magari per il tramite del narratore, circa le ragioni del loro «schema progettuale», della loro natura di «sistemi» costruiti, secondo un principio d’identificazione fra corpo e architettura caratteristico del pensiero rinascimentale. (2) Bruno, nell’Adalgisa, si vede trattare il proprio viso come un oggetto di design: «chi gli aveva disegnato la faccia? Quale sangue, nuovo o remoto, gli aveva messo il ciuffo? […] Quando, e da quale mente era stato “progettato”?» (Adalgisa, RR I 519-20). Così l’identificazione fra corpo e costruzione, anche sul solco della simbologia freudiana casa-madre, diviene tema ossessivo. In Gadda, tuttavia, i rapporti fra architettura, soggetto e cosmo, sono ribaltati: si pongono, cioè, nel segno della disarmonia e del pasticcio.

Si può in fondo affermare che Gadda si sia occupato incessantemente d’architetture: di costruzioni fisiche e logiche. Il romanzo stesso è una costruzione che cerca, organizzando architettonicamente il traliccio narrativo, di strutturare la complessità delle cose. Quando Gadda parla di costruzione, intende sia una concreta sistemazione del mondo, sia l’instaurazione di un principio d’ordine razionale. Così scrive nella Meditazione milanese:

[…] data una realtà (sia pure concepita come esterna) l’attribuirle successivamente con penetrante intuito significati integranti, e cioè il passare dal significato n - 1 a n, n + 1, n + 2, è costruire perciocché è inserire quella realtà in una cerchia sempre più vasta di relazioni, è un crearla e ricrearla, un formarla e riformarla. È ciò che fanno i commercianti, o i costruttori, o chiunque amplia o crea o fa; o acutamente interpreta una realtà. (SVP 753)

È a proposito di questo atteggiamento rispetto alla organizzazione- «coinvoluzione» dei sistemi che Roscioni ha parlato di «costruttivismo gnoseologico gaddiano» (Roscioni 1974: xxx).  La stessa costruzione narrativa sarà, infatti, costruzione del soggetto di fronte alla realtà, organizzazione conoscitiva del molteplice; e questo ideale di conoscenza si esprimerà necessariamente in una serie di simboli architettonici.

Come in Notte di luna il protagonista ha aspirazioni d’architetto, così ne La casa l’ingegner Gadda, «Principe dell’Analisi» e «Duca della Buona Cognizione», è intento alla costruzione della propria dimora. Ma essendo proiezione dell’io, l’architettura è presto destinata a simboleggiare l’inconciliabilità fra soggetto e mondo. La costruzione domestica si pone, cioè, come segno privilegiato della separazione fra istanza d’ordine soggettiva e caos fenomenico.

Nella Cognizione proprio questa incommensurabilità fra io e mondo origina l’ossessione del protagonista per la proprietà familiare della Villa. Lo sguardo di Gadda indugia significativamente su ogni figura di chiusura – il diruto muro di cinta, la maniglia, la porta finestra, il balcone, la gelosia, il cancello. E così il tema dell’effrazione – reale o simbolica – affianca quello del matricidio, sovrapponendo l’immagine della violazione domestica a quella della profanazione del corpo.

Nell’incipit della Teoria del romanzo György Lukács cita Novalis: «Filosofia è propriamente nostalgia, è l’impulso a sentirsi dovunque a casa propria». (3) E aggiunge: «dunque la filosofia, sia come forma della vita che come forma determinante della poesia e del suo contenuto, è sempre un sintomo dello strappo tra interno ed esterno, un segno della differenza essenziale tra l’io e il mondo, dell’incongruenza tra l’anima e il fare».

Nella Cognizione il problema del rapporto fra soggetto e mondo sembra porsi in termini spaziali: il tema reclusorio che segna questo romanzo esprime, cioè, un’impossibilità fisica e psicologica di sentirsi dovunque a casa propria. Lo strutturarsi della Cognizione in una successione di stati d’animo, in un dibattito di idee, (4) si realizza proprio nella precisa articolazione dello spazio fisico di Villa Pirobutirro. Segno della separazione fra interiorità e mondo – dunque «mappale della tristezza» – esso traduce spazialmente, senza risolverlo, il prender casa filosofico dei due protagonisti. Il muro minacciato dall’esterno, il terrazzo schiuso al paesaggio, la cantina sprofondata nella terra, la cucina invasa dalla «pluralità sconcia», la camera dove Gonzalo legge Platone: questi sono i luoghi in cui necessariamente si articola il dibattito d’idee della Cognizione.

Per spiegare l’importanza della Villa nella Cognizione, potremmo dire anche che essa assolve un ruolo simile a quello della quinta teatrale barocca. Come scrive Guy Debord, nella festa teatrale barocca «ogni espressione artistica particolare acquista un senso solo nel suo rapporto con lo scenario del luogo costruito, con una costruzione che deve essere per se stessa il centro di unificazione». (5) In questa «tragica autobiografia», dov’è impietosamente ritratto il caos barocco del mondo, la casa è proprio lo sfondo che riconduce ad unità una molteplicità di eventi altrimenti sfuggente ad una sistemazione razionale.

La figura architettonica più in generale, dalla Meditazione milanese in poi, è ipotiposi d’una costruzione concepita ad argine del disordine mondano; la gnoseologia di Gadda trova dunque nella casa un simbolo privilegiato. Prima di tutto essa è immagine d’una complessità relazionale organizzata:

La casa non è una casa (pacco postale): ma è grumo o convergenza di complessi di relazioni volute dall’abitare, dal riposare, dal ripararsi, dallo scrivere – dalla possibilità economica di costruirla (nodo di relazioni economiche) – dal non terremoto – dalle relazioni della calce che indurisce, dalle relazioni ferro, mattoni, tecnica, ecc. ecc. (Milioni di miliardi di relazioni convergenti.) Soltanto il cervello pleistocenico della borghesuccia pensa la casa come un oggetto (pacco postale), avulso dalla coesistenza infinita. (SVP 666)

In secondo luogo è emblema della «coinvoluzione» conoscitiva dei sistemi: «La realtà sembra una città e la città è fatta di case; e la casa è fatta di muri: e il muro è fatto di mattoni; e il mattone è fatto di granuli» (SVP 752). Più di tutto però essa simboleggia un tentativo d’elevazione «costruttiva» al di sopra dell’informe materia del mondo. (6) è in chiave costruttivo-ascetica che si pongono dunque le immagini di torre, di casa e di baluardo.

La letteratura di Gadda diviene così una letteratura di luoghi domestici e costruiti. A fianco della villa dei Gadda in Brianza compaiono innumerevoli costruzioni: l’eremo de La casa, silenzioso e solido rifugio; il topos della casa-cubo; le innumerevoli torri; i solitari castelli; l’avvampante palazzina di via Keplero; il «casermone color pidocchio» del Pasticciaccio; l’ingegneresco intrico di corridoi del Palazzo Brügna; le tante ville della Cognizione, minacciate da imprevedibili oltraggi. L’elenco delle figure domestiche dei romanzi e delle prose di Gadda potrebbe continuare a lungo: a partire dal racconto giovanile La passeggiata autunnale, inizia un’interminabile carrellata d’immagini costruite.

Tuttavia, a fianco delle razionali e solide costruzioni, si presenta con frequenza la figura della casa esplosa, colpita da incendio, invasa dai ladri, o in rovina. Come il soggetto costituisce un sistema minacciato dalla malattia fisica e psicologica, così l’architettura è soggetta al pericolo della rovina.

Inoltre, come l’opera architettonica è paradigma di molteplici altre costruzioni ed emblema di una generale lotta contro il disordine, così la decadenza d’una società si esprime in un’incapacità euristica e costruttiva: perciò la miseria morale della borghesia milanese non può che produrre disordine architettonico. Il carattere disarmonico della società lombarda – divisa fra nobili valori ottocenteschi e sete di profitto – si specchia nella qualità duplice dei tecnici del «Politèknik» milanese. A Milano allignano, accanto ai «serissimi» ingegneri, schiere di vanitosi e sciocchi architetti. L’ideale d’ordine implicito nella vecchia fede positivistica per il Progresso è soppiantato dalla moderna disarmonia del mondo metropolitano.

La città costituisce una delle principali figure del disordine costruttivo. Nella trasfigurazione toponomastica della Cognizione Milano prende il nome di « Pastrufazio»: nome che viene da «pastrügn facere», dunque dal far pasticci. È insomma il luogo privilegiato del pasticcio. Immagine tipica della stupidità metropolitana è l’architetto, specialmente l’architetto «razionalista» o del «funzionale Novecento», incapace di concepire altra figura dal rettangolo ed ossessionato dal feticcio dell’innovazione funzionale. È nell’ambito di un mondo regolato dall’irragionevolezza che si spiega il disordine architettonico della Brianza, degli «arzigogolati» castelli a metà fra «l’Alhambra e il Kremlino», dei palazzoni che come Giani bifronti si sdoppiano in facciata e retro. È anche a partire da questa visione dell’architettura come regno dell’«Uggia» e del «Cattivo Gusto» che si articola la catastrofica visione gaddiana del mondo. Così il mito dell’ ingegneria si forma in opposizione all’insensatezza della vita comunitaria.

S’è detto che l’architettura mostra in Gadda una debolezza propria d’altri sistemi: il corpo, il soggetto, la famiglia, la società. La scatola muraria, il «cubo bianco» dell’edificio, è un sistema fisicamente legato alla vita corporale, così come la famiglia contiene etnicamente il soggetto, e la proprietà privata è socialmente «superordinata» al cittadino. Queste tre queste categorie d’organizzazione (fisica, etnica, sociale) dei sistemi «superordinati», convergono nel sistema domestico. Allo stesso tempo la «dimora del corpo» è immagine del corpo stesso, a sua volta «dimora dell’anima»: quasi che l’anima soggettiva fosse contenuta in un gioco di scatole cinesi, una matrioska nella quale il muro domestico non è che uno dei tanti involucri. Per questo la rovina delle case gaddiane – la loro violenta invasione, a volte la loro esplosione e il loro incendio – è proiezione della debolezza dell’umanità che le abita. Alla «rovina» della soggettività e del corpo si affianca insomma quella dello spazio costruito che li contiene.

Dopotutto per Gadda è l’idea stessa del romanzo come grande architettura, come totalità costruita, a mostrarsi fragile sotto i colpi del caos. L’incompiutezza del plot romanzesco, la sua impossibile conclusione, oltre a dichiarare conoscitivamente l’irrealizzabile «chiusura» del «sistema-romanzo», dimostra come il progetto costruttivo sotteso alla gnoseologia gaddiana sia destinato ad incrinarsi a contatto con la complessità della vita. Scrive Gadda di certi grandi edifici:

Un’idea non in tutti è viva al momento del disegnare l’opere e deliberarne la esecuzione: l’opere saranno perfette in un domani a noi forse ancora invisibile, e protratto e strascicato nel futuro mentre che il disegno è dell’oggi e la conseguente deliberazione di mettervi mano si fonda sui dati, sulle reali circostanze dell’oggi. Molti e molti edifici nel mondo andarono consunti o unicamente proni allo spirito della magnificenza e dell’orgoglio di quelli che li architettarono senza presagirne la dipoi sopravvenuta fatiscenza, o già rovinarono nei secoli stessi della lor fabbrica. Una laboriosa e angosciata manutenzione del quanto di fatto ebbe inizio prima ancora di poter inaugurare la lor forma adempiuta, dedicandola alle speranze della eternità. (Il dolce riaversi della luce, SGF I 1208)

Il progetto di «organare il groviglio conoscitivo» dichiarato sin dai tempi della Meditazione (SVP 742), può essere in fondo assimilato all’immagine di questi edifici destinati a crollare «nei secoli stessi della lor fabbrica». Il filosofo della Meditazione, pur celebrando la varietà del mondo e dei punti di vista dai quali può essere osservato, sembra piuttosto preoccupato d’ancorarsi egoisticamente ad un sicuro metodo di conoscenza.

Forse la stessa costruzione del romanzo serve a questo: a celebrare, come certe magniloquenti architetture, il lavorìo d’una razionalità architettante contro lo sfacelo del tempo. Il filosofo-artefice di tale mastodontica costruzione, con la sua scrittura divagante e bizzosa ed il suo stile sovrabbondante, celebra continuamente la propria magnificenza, il proprio orgoglio, la severità del proprio arbitrio, quasi ad esorcizzare l’idea che l’entropia ed il tempo debbano finalmente vincere su qualsiasi costruzione e qualsiasi ordine.

Università di Venezia

Note

1. Cfr. R. Wittkower, Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo (Torino: Einaudi, 1994; titolo originale Architectural Principles in the Age of Humanism, London: Academy Editions, 1962), in particolare si veda la parte quarta, dedicata al «problema della proporzione armonica in architettura». Nella concezione umanistica, proprio attraverso l’architettura si esprime armonicamente il rapporto fra uomo e dio. Negli edifici la composizione degli spazi secondo i rapporti armonici fra numeri interi realizza l’identificazione fra micro e macrocosmo. Analogamente la figura dello spazio centrale in cui si iscrive geometricamente l’uomo di Vitruvio simboleggia l’unità fra uomo e dio: così sotto una cupola l’intellettuale rinascimentale può «percepire una debole eco dell’inaudibile musica delle sfere» (Wittkower 1994: 135). La figura umana stessa si configura come progetto.

2. «Quale geometra, quale musico dev’essere stato, che ha formato l’uomo qual egli è?» si chiede il trattatista Pomponio Gaurico nel trattato De Sculptura del 1503 (cit. in Wittkower 1994: 116). Sempre nell’Adalgisa l’entomologo Carlo vede capitolare il proprio « rubesto edificio» o «casotto daziario» sotto le carezze di una donna (Adalgisa, RR I 544).

3. G. Lukács, Teoria del romanzo (Milano: SE, 1999; trad. it. a cura di G. Raciti di Theorie des Romans, Ferenc Jánossy, 1920), 23 (miei corsivi).

4. Secondo Lukács, il nuovo romanzo si caratterizza per «la scomposizione della forma in una vaga, afigurata successione di stati d’animo e riflessioni sugli stati d’animo» e per «il proposito di surrogare il carattere sensibilmente figurato della fiaba mediante l’analisi psicologica» (Luckács 1920: 106). È insomma carattere tipico dell’opera moderna il convergere di «romanzo e filosofia, o meglio di romanzo e saggio» – cfr. G. Di Giacomo, Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento (Bari: Laterza, 1999), 38. Questa mescolanza di «riflessione sul mondo e sull’opera stessa» oltre ad essere caratteristica del romanzo moderno, come nota Di Giacomo, è uno degli elementi tipici della Cognizione. Secondo Manzotti in essa si realizza appunto «la subordinazione dell’invenzione narrativa ad un dibattito di idee: alla enunciazione e dialettizzazione di posizioni filosofiche ed esistenziali che ad un tempo fondano la rilevanza […] della componente fittiva e le impongono principî di combinazione del tutto diversi dagli usuali» (Manzotti 1987a: xxiv). Gli spazi domestici divengono così sfondo d’una narrazione che «gravita attorno alla rappresentazione contrapposta di due quotidianità e di due solitudini, entro una angosciosa assenza di azioni» (xviii). Dombroski scrive giustamente che le mura della Villa «contengono letteralmente l’anima autobiografica del racconto»; al di fuori di esse «le esistenze inseparabili di Madre e Figlio si ripiegano e dispiegano nel mondo» (Dombroski 2002a: 17).

5. G. Debord, La società dello spettacolo – Commentari sulla società dello spettacolo (Milano: Baldini&Castoldi, 1997 – traduzione di Paolo Salvadori; titolo originale La Société du Spectacle e Commentaires sur la Sociétè du Spectacle, Paris: Gallimard, 1992), § 189, 164-65.

6. «L’elaborazione architettonica Duomo di Milano o di Colonia è solo pensabile sulla realtà pietra: e le aeree guglie poggiano sulle fondamenta profonde. Esse guglie, con smorfie romantiche, diranno: “Come sono banali le pietre che stanno sotterra, sporche ed oscure e umide. Noi invece viviamo ricamate nel sole!”» (Meditazione, SVP 766).

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

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ISBN 1-904371-00-0

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