Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
Bruno
Federica G. Pedriali
Bruno è il Ciclista. Come già il Velocipedastro di Racconto italiano, suo prototipo, si muove all’Ora topica, nella «sera più bella» (SGF I 98), per incontrare la Ragazza. Lo osserva nel suo progresso il Testimone multiplo – era singolo, per l’occasione, l’Osservatore di Racconto.
Di professione Garzone, anzi «aureo garzone» (Gadda 2000b: 125), il Ciclista è in rapporto di Disuguale con la Ragazza, Castellana e Moglie Male Impiegata, dunque trasgressiva di diritto. Il diritto tuttavia non esenta dalla Retribuzione: qui e alfine (ma è un finale che Gadda abbozza subito, di primo getto, poi non eseguirà il resto che in parte) distribuzione di chilowattora sugli amanti. Da cui il titolo ad alto voltaggio del progetto, Un fulmine sul 220.
Il «racconto del garzone del macellaio», che nei primi anni ’30, a sentir Gadda, si faceva «terribilmente lungo» (Gadda Conti 1974: 39), con gli anni ’40 viene ridotto ad una scena in due cartoni, i due disegni conclusivi dell’Adalgisa (Al Parco, in una sera di maggio; L’Adalgisa). Nella scena Bruno è più che mai Ciclista ossia Uno che isolatamente giravolta e ripassa e andando si rivolta «col sorriso nel volto» (RR I 496). Si conferma pertanto ceduto alle Meraviglie d’Italia, col titolo Ronda al Castello, il momento a piedi in cui Ciclista e Castellana sono infine coppia, unità riuscita ed osservabile (la osserva difatti incredulo l’Osservatore anonimo di cui si compone la ronda), in inesorabile allontanamento «lungo le allineate degli ippocàstani» (SGF I 100).
Del Sottrattore di Madonne e Rivale del Soggetto Bruno ha età (dal Monello al Soldato), vitalità (il Teppista caravaggesco) e umbratilità (nel senso caratteriale e poi letterale di figura d’ombra e per estensione di Trapassato). Si accentua, dal Fulmine all’Adalgisa, il motivo funebre associato al Tipo, che s’intenebra per un nonnulla, o appare «ombra già ripentita d’aver appena attraversato lo Stige» nella cucina di via Pontaccio dove il Tempo è cuoco (RR I 444). In teoria «Cuoco di vita», ma i suoi piatti, in quell’«erebo casalingo», sono cotture di riflessi, pietanza della Memoria.
Del resto, persino sotto il profilo biologico il Rivale – così evolutivo, così venuto fuori dai «verdi regni» della Vita (RR I 519) – fa pensare, anche a chi Rivale non gli è, e dunque alla Castellana, ad una Resurrezione: «il raggiunto essere, alfine, come di chi emunto alfine risorga: nel giorno» (RR I 520). Pensiero, questo, formulato con occhi «dilatati nell’ora del fulgore» (RR I 493), allucinati cioè dall’Ora topica e dal Sogno. Sogno dell’impossibile Ritorno del Trapassato, che se ripassa è Copia Insostanziale dell’Originale perduto al Tempo — eppure copia da amare e da preferirsi. Non a caso, nella versione definitiva dell’episodio la Signora diviene la Sonnambula:
[…] una povera sonnambula, che si affida ai vertiginosi cammini della notte: dove il cieco consequenziare della categoria di causa vale ed agisce, però al di fuori del suo sogno. Gli occhi della sonnambula parevano inseguire in idea in un remoto spazio un fuggente: forse uno che ripasserà, sulla sua bicicletta: che rivivrà nella immagine: una seconda, una terza, una ventesima, una cinquantesima volta. (1)
Con «brevi ali di mistero» (RR II 26) che s’allungano, nonostante i tagli, da Fulmine all’Adalgisa, Bruno è, allora, Ermete — l’Ermete di Gadda o meglio delle sue Madonne, ergo non un Ermete qualunque. In versione Bruno, oltre al sorriso, i capelli a vampata, i segni della morte, porta già nel nome il colore delle cose della terra all’Ora Topica, nell’ora della tragressione, l’imbrunire. Al Declino dell’Ora e con declinazione cromatica corretta, Bruno esprime cioè i contenuti verdi, verdissimi, del sogno della Madonna, quella «verde carne del sogno» della Castellana che nel bilancio fattone dalla Retribuzione nel Pasticciaccio risulterà non meno verde degli Spinaci esorbitati dal piatto alla Serva (RR II 108, 18).
Ha come Rivale diretto, endodiegetico, l’uomo del sacco, l’uomo nero del Parco: il Derelitto cui è stata negata la Luce, la Porcheria e Non-persona che si nutre di sporco e produce sporco tra le rovine, figura di Nessuno e quindi alter ego perfetto del Narratore, qui inesistente Testimone extradiegetico e Soggetto pertanto già buio (si dà però esistenza e retoricamente del noi, per una mezza pagina, all’idea della perdita di Lei, «dopo bruni alberi»: «era, in noi, nell’animo nostro, e in quel declino dell’ora, un disperato sgomento», RR I 499).
Osservano il tutto, capendovi poco ma registrandolo correttamente come inquietante, i «quattro occhi sincronici» (RR I 494) dei due figli, maggiore e minore, dell’Adalgisa. Dovevano, secondo il piano originale, essere quattro i figli e otto gli occhi. Ma la moltiplicazione sarebbe stata superflua e dunque non ha luogo.
Edinburgh UniversityNote
1. L’Adalgisa, RR I 500 – cfr. lo stesso brano in versione Fulmine: «una povera donna mezzo straziata dalla stupidità degli eventi, […] una signora che insegue con gli occhî signorili un ciclista! Il quale, fatto il giro del Parco, ripasserà un’altra volta; una seconda, una terza, una ventesima, una cinquantesima volta» (Gadda 2000b: 139). È intervenuto, tra i due brani, il «Vagava, sola, nella casa» (RR I 673) della Madre nella Cognizione, un vagare che è un inseguire lo Scomparso, il Figlio minore, lungo ellissi mentali di Dolore da cui è escluso il Sopravvissuto, il Figlio maggiore.
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2002-2024 by Federica G. Pedriali & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).
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