Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Giardino

Maurizio Rebaudengo

Per giardino, intanto, bisogna intendere un luogo proprio della civiltà italiana, portato al suo massimo splendore in epoca rinascimentale. Fa parte di quel canone di civiltà classica a cui Gadda guarda con inconsolabile rimpianto, perché perduto nella quotidianità storica della sua esistenza individuale e in quella di una nazione ancorata alla verbosa e vacua difesa di una tradizione gloriosa, che non sa rendere attuale.

Fin dal suo esordio narrativo in fieri, Gadda considera il giardino un elemento fondamentale: all’inizio del I° studio – «L’assassinio di Maria de la Garde» – nel Racconto italiano di ignoto del novecento, steso il 27 marzo 1924, Gadda enuncia una norma estetica, secondo cui il giardino conferisce ordine armonicamente, seppur artificiosamente, alla natura grazie all’equilibrata mescolanza di elementi vegetali e minerali:

La regola del giardino italiano placa nella compostezza del suo stile i drappeggi della lussuosa follia, inquadra i veli diafani ed infiniti della malinconia e della sera. (SVP 401)

Il giardino fa parte, insieme alle ville e alle torri, di quel paesaggio lombardo che figurerà deturpato dalle «villule» della Cognizione; il 26 luglio 1924, non a caso a Longone al Segrino, Gadda fissa sulla pagina i leitmotive della Iª sinfonia del Racconto italiano: si tratta di un’osservazione del paesaggio lombardo, ripresa ed ampliata nel brano di apertura dell’Adalgisa, Notte di luna (pubblicato nel giugno del ’42 su Primato), dove i giardini diventano lo spazio privilegiato della requie e dell’immaginazione:

Da presso: le ville si vedevano avere un tepido tetto, o una torre. | Nei giardini vi erano ornamenti e sedili, dove la persona potesse adagiarsi e l’animo riconfortarsi giovevolmente nell’immaginare tra le ombre la presente bellezza di così pregevoli artefatti. | Che fine sentire, che dolce immaginare sospinge i possessori dei giardini misteriosi a popolarne di sogni viventi il cupo profumo! Una mormorazione religiosa accompagna gli aliti della notte e certo un pensiero e molti altri verranno nella mente dei possessori. Essi accolgono talora degli ospiti che percorsi lontani paesi, vogliono conoscere anche questo e bere questo caldo e profondo respiro. (SVP 421)

Nell’altro laboratorio narrativo degli anni Venti, La meccanica – siamo nell’autunno del ’28 –, il giardino diventa per Zoraide un luogo onirico su cui proiettare la sua prorompente sensualità costretta dall’indigenza e negatale dal dogmatismo del marito – così poco attento all’educazione dei sensi –, e liberata nell’incontro con un giovane sano e vigoroso, che la tiene al riparo della violenza della Storia (RR II 489, 494):

I giardini erano invece il suo sogno, come i fiori, come i profumi: i fiori turgidi del giugno, li ardenti profumi, che mai non s’era potuta comperare, che nessuno le aveva mai regalato. […] Vi doveva pur essere, sulla terra di tutti i dolori, un giardino profondo, lontano, silente, dove solo fossero sognati alberi un un loro comune pensiero e lucidissime stelle! E veli de’ profumi più cupi, quelli che son dentro la morte un respiro d’amore: e una gorgogliante fontana cancellasse il gemito sospiroso della sua bocca, nel fuoco de’ baci. (RR II 494)

Il giardino ha valenze non meramente estetiche ma simboliche, poiché il disegno che lo traccia può rivelare la biografia del fruitore-proprietario. Il giardino è luogo che permette un dilettevole caos, di gran lunga preferibile ad una uniformità imposta senza alcun riguardo al contesto territoriale, causando danni irreparabili, com’è il caso della robinia nella Brianza-Serruchón della Cognizione e per i larici della favola 4 (SGF II 13-14). Al suo interno si stratificano significati simbolici e funzioni narrative: luogo di convivenza di uomo ed ambiente naturale, regolato dalla ragione estetica, diventa, in alcuni casi, manifestazione clamorosa della non più sanabile distonia tra individuo e concause che lo determinano.

In Prima divisione nella notte la scogliera, su cui è posta la casa, è la rappresentazione dell’idea naturale di giardino, anticanonica rispetto all’idea culturale; la signora si contraddice, vantando, prima, le qualità di «giardiniere» del figlio Vittorio, e negando istericamente, poi, la qualità topiaria al terreno intorno alla villa; eppure, anche questo spazio offre al fruitore il conforto della sospensione del tempo, il miraggio di una sfolgorante salute:

Mi piaceva discendere nel solleone il sentiero delle rocce di puddinga, come d’un caro e caldo se pure artificioso Presepio: […] Sostavo lungo il sentiero, ad ogni strapiombo sul mare. Amavo le agavi e le loro spine, così truci su quella costa affocata, nella pienezza del meriggio mi dilettavano con mille forme non pensate le grasse piante spinose verde pisello, o verde sottaceto, che un giardiniere sapiente aveva inserito nella luce e nel sasso, contro il sole, davanti al cobalto del mare. (RR II 873)

Lo spazio del giardino è custode del tempo: quello storico, esterno, è interrotto sia dall’onda di ricordi, che inevitabilmente travolge il visitatore, sia dalla presenza delle erme, doppi lapìdei della presenza umana di ispirazione mitologica, (1) a cui Gadda dedica uno spazio più ampio in Notte di luna che nella redazione originaria del Racconto italiano:

la cupidità de’ silvani, e l’ignudo e fuggitivo pavore di perseguitate nereidi: ruscellando linfe perennemente, o stillando, in un chioccolìo loro, da sorta di montanine docce, o caverne. I pregevoli artefatti, in pietra da mola, morsi già dalla nobile morsura del lichene: ed erano come amanti incontro a ventura, nel favore della notte. (RR I 293)

Nel giardino di Villa L’Alloro, in Una buona nutrizione (uscito su Comunità nel novembre ’48), tra i lauri s’inoltra Lisa con il suo ingombrante e silente corteggiatore; a sorvegliare i loro incontri vi è un gruppo scultoreo ritraente Apollo alla caccia di Dafne, che, per quanto levigato dall’azione del tempo, esibisce senza falsi pudori la significazione erotica del mito. Il giardino è l’unica area non raggiunta dall’occhiuta sorveglianza della mamma e diviene pertanto lo stimolatore parodico di pulsioni generalmente bandite dal piano nobile della villa, e coltivate solo al livello basso della servitù.

Questo giardino costituisce una curiosa sperimentazione di pastiche pastorale, con la correlata suddivisione dei personaggi tra il piano alto dei proprietari, che godono di una falsa Arcadia – assediata dalla Storia, con la presenza della Pensione Wedekind –, in cui gli istinti vengono sublimati, e il piano basso della servitù, parodiante il gineceo padronale in chiave erotica, tramite il factotum di evidente memoria barocca, il Baciccia. Esterni a questa dialettica sono i due personaggi che violano tale universo altrimenti asfittico: il giovane Claudio, che nega l’articolazione del linguaggio, e dà sfogo ai bisogni primari – cibo e sesso –, ripuliti dalle falsità salottiere; e la pittrice Violante, che soddisfa gli ospiti maschili delusi dalla Arcadia frivola e parolaia della famiglia alla Villa.

La connessione tra solacium estetico e spirituale del giardino, propria del canone rinascimentale di idea topiaria connessa con la cultura asolante della villa, viene definitivamente e irrimediabilmente dissolta dal «piccolo giardino […] triangolare» restrostante la villa di Gonzalo nella Cognizione, adibito più ad orto che ad hortus, reso dalla distorta smania filantropica del padre di Gonzalo facile accesso alla casa, così negando al legittimo padrone il privilegio della sosta, dell’isolamento e della meditazione, o anche solo della conversazione; di coltivare e godere, cioè, dell’unico giardino che gli interessi, vale a dire il giardino «della propria anima».

Università di Torino

Note

1. L’erma è il termine di riferimento metaforico nel caso di Giuliano Valdarena: «Apollo […] de quelli che so’ in giardino, de marmo» (Pasticciaccio, RR II 65).

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

© 2002-2024 by Maurizio Rebaudengo & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).

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