Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

«Le meraviglie d’Italia»

Riccardo Stracuzzi

Si legge, nella chiusa al I tratto della Cognizione:

E c’era, per lui [Gonzalo], il problema del male: la favola della malattia, la strana favola propalata dai conquistadores, cui fu dato raccogliere le moribonde parole dello Incas. Secondo cui la morte arriva per nulla, circonfusa di silenzio, come una tacita, ultima combinazione del pensiero. È il «male invisibile», di cui narra Saverio López, nel capitolo estremo de’ suoi Mirabilia Maragdagali. (RR I 607)

Il brano, com’è noto, rappresenta una sorta di auto-citazione (1) che segnala una qualche rispondenza tra il romanzo autobiografico e la raccolta di prose, più o meno manifestamente odeporiche, intitolata Le meraviglie d’Italia. Del resto, mentre Gadda pubblicava il I tratto della Cognizione su Letteratura (luglio 1938), aveva da lungo tempo intrapreso il progetto di un volume, da stampare presso Parenti, che sarebbe apparso l’anno dopo con il titolo suddetto. (2)

Al gioco autoreferenziale della Cognizione, si aggiungeva poi, quasi raddoppiandolo, il gioco dei riferimenti colti, allusi dal titolo magniloquente: Meraviglie d’Italia come Mirabilia Urbis Romae, (3) testo «fortunatissimo come guida della città ad uso dei pellegrini», il quale «tende (più che il più tardo e critico De mirabilibus Urbis Romae, scritto verso l’inizio del XIII secolo da un Magister Gregorius forse di origine inglese) a una lettura dei monumenti classici, circondandoli di un alone leggendario non dissipato dall’ affastellamento dei dati storici con cui vengono illustrati». (4) Ma anche Meraviglie d’Italia come De magnalibus Mediolani di Bonvesin da la Riva, di cui probabilmente l’Ingegnere aveva avuto notizia. Se l’abbia letto non è dato sapere: (5) certo gli sarebbe piaciuta la quasi catastale impresa dell’autore medioevale, e l’elencazione di luoghi, di edifici, di spoglie sacre, di conquiste e di distruzioni, etc.

E gli sarebbe piaciuta la descrizione del dovizioso popolo milanese intento ai suoi traffici, tanto tra i prosperi cumuli delle merci («Pises etiam salsi diversi generis huc a longe feruntur in copia; hic lanarum, lini, sciricis, bombacis et cuiusque preciosi generis pannorum; preterea sallis, piperis, et aliarum speciarum transmarinarum et omnium bonorum, que corporibus humanis possint sufficientem cum voluptate prestare, per mercatores a diversis locis deducitur copia» – cap. IV, dist. XVI); quanto tra le grida dei venditori ai mercati generali («Ad quas omnes innumerabilles fere mercatores variarum rerum et emptores mirabiliter confluunt. […] imo, quod plus est, cotidie etiam omnia fere hominibus necessaria non tantum in certis locis, imo per plateas abondanter feruntur et clamoribus declarantur venalia» – cap. IV, dist. XVII). (6)

Similmente, lo strumento retorico del catalogo sarà usato anche dal Gadda delle Meraviglie d’Italia, soprattutto in quelle prose che descrivono bozzetti di vita milanese, ma più lievemente anche nelle prose, le cinque dell’ultima parte, dedicate alla descrizione inorgoglita e commista di lirismi del lavoro italiano:

La città, vorace acquirente, alletta al suo mercato indefettibile commissionari e negozianti di porci, mediatori, macellari ed augusti bovari. È la più popolosa del nord, una delle più ricche, attivissima (Una mattinata ai macelli, SGF I 19);

Celeri lampi, rossi, bianchi, qualche verde insistente, da tutte le scatole numerate delle pareti, montate in architetture di batterie: alterne queste con le alte finestre, fino al velario altissimo: gli avvisatori di chiamata telefonica reiteravano i loro muti segnali, mute squille dalle postazioni lontane (Alla borsa di Milano, SGF I 33);

Gli idrati ed i grassi, i sali e gli acidi e le inimitabili vitamine […], sono voracemente domandati, pagati a contanti dal locomobile popolo di sangue rosso: il qual fonda ogni miglior salute nei sèdani: come pure negli spinaci, ne’ carciofi, nelle mele, nelle patate, nelle zucche e zucchette, nelle noci, nei fichi, nei cacchi, nei finocchi: e nei funghi non velenosi, nelle dolcissime uve, nelle diureticissime carote, nelle barbabietole cotte e ustulate al forno, e messe in agra insalata. (Mercato di frutta e verdura, SGF I 38)

Più di tutto, però, è una breve lode delle bellezze architettoniche milanesi a rappresentare il luogo in cui si possono confrontare gli intenti di Bonvesin, e quelli dell’anonimo autore delle Mirabilia Romae, con le pagine delle Meraviglie d’Italia. Come a dire che è nella lode della città, in quanto luogo della visione, di là dalla sua popolazione e dai suoi costumi, che le pagine gaddiane rimandano più apertamente a quei modelli che esse, in qualche modo, hanno evocato.

La brevissima e laudativa frase di Bonvesin: «Sunt (in ista) civitate vie satis late, satis (pulcra) pallatia, domus frequentes, (non disperse sed) continue, (decentes), decenter ornate», (7) all’inizio del capitolo secondo, intitolato non a caso De comendatione (Mediolani ratione habitationis), sembrerebbe ad esempio dare a Gadda – in un suo De reprehensione o anche De vituperatione Mediolani ratione habitationis – il la per quelle prose in cui riconosciamo il tono ironico e indignato, caratteristico della satira dell’Ingegnere.

Ecco allora l’apologo di Pianta di Milano – Decoro dei palazzi, che precede quelli del Primo libro delle Favole, nel quale: «L’Uggia disse un giorno al Cattivo Gusto: “Fabbrichiamo una città dove poter imperare senza contrasti: tu sarai re, ed io la regina”» – così, i due deliberano:

primo: tutti gli alberi maggiori di cinque anni venissero adibiti a far legna; secondo: non una piazza fosse quadrata o rotonda, ma tutte bislacche; terzo: l’angolo di sessanta gradi, quello di novanta e i loro mezzi fossero banditi dai piani, e così pure ogni allineata o rettilineo; quarto: non una casa fosse pari in altezza alla casa contigua, specie nei nuovi fori e vie nuove; quinto: i muri scialbati e senza finestra delle fiancate si levassero ovunque, conferendo alla città urbanizzata la sua «fisionomia architettonica»; sesto: i tetti fossero combinati alla meglio, e con ogni aggeggio: pentoloni, caminacci, fette di panettone, canne da pesca, parafulmini arrugginiti, disposti scientemente in visuale ed in fuga. (SGF I 57-58)

Sembra quasi che Gadda, a distanza di secoli, voglia contraddire Bonvesin: nulla dei satis pulcra pallatia, le case non decentes, e certamente non decenter ornate. E il tono indignato dell’Ingegnere si riversa anche in Libello:

Il fatto sta che i tetti della boreale Milano palesano inclinazioni diverse, ma tutte pessime; poi dislivelli e salti quanto mai leggiadretti; poi fratture e interruzioni e gobbe e foruncoli d’ogni maniera. Vi si aggrappano lucernari e abbaini, vi si ergono birilli rossicci, i camini della miseria. C’è di tutto, sui tetti, a Milano. Tubi di sfiato, rugginosi come le scarpe della Befana, serbatoi di lamiera o di cemento, torricole che paiono stie per i polli, (con qualche piccionaia autentica e assai mèmore e cara), gabbie, antenne, reticoli, fili a vento, piccioni, gatti e ratti. E nei regni della marsigliese, che ha sostituito il vecchio coppo nostrano, c’è invece la chiara piattezza d’un avitaminico buon mercato, la tranquilla accettazione della noia, l’utile combinato con l’ordinario, e un’idea di capannone-magazzino che ti fa scender le calze. (SGF I 93)

Non è difficile ripensare, qui come in altri luoghi, alle invettive gaddiane contro l’archittetura brianzola, nella Cognizione, ma anche ai sapidi commenti anti-borghesi ed anti-milanesi, nella Fidanzata di Elio, nel San Giorgio in casa Brocchi, o nell’Adalgisa.

Certo, l’idea stessa di una raccolta come Le meraviglie d’Italia è debitrice d’altre suggestioni letterarie: quella del grand tour o del Voyage en Italie – di cui Gadda scriverà con la consueta ironia elencatoria in Viaggi in Italia (SGF I 1116-119)– soprattutto in alcune delle prose della parte terza delle Meraviglie: Apologo del Gran Sasso d’Italia, Fatti e miti della Marsica nelle fortune de’ suoi antichi padroni, Genti e terre d’Abruzzo, Le tre rose di Collemaggio; o quella più latamente intesa della letteratura di viaggio – verso la quale aveva manifestato un certo interesse sin dai primi progetti letterari (Roscioni 1997: 240) – nelle prose di ricordo dei soggiorni all’estero: Da Buenos Aires a Resistencia, Un cantiere nelle solitudini, Il pozzo numero quattordici. E vi sono poi le pagine ove Milano è teatro di immagini elegiache e quasi liriche, come in Una tigre nel parco, o in Ronda al Castello.

Ma forse è proprio la consistenza satirica di un certo ritratto di Milano, specchio di qualcosa che trascende la pura e semplice immagine meneghina, a rappresentare il centro espressivo delle Meraviglia d’Italia, come se l’autore avesse voluto alludere già nel titolo a una sorta di non-guida per pellegrini: non una guida ad loca santa, ma semmai all’irrisione dei luoghi cittadini.

Università di Bologna

Note

1. Lo stesso si può dire per la «ripresa quasi letterale» (così Manzotti in Gadda 1987a: 109) del brano nel IV tratto della parte seconda (RR I 690).

2. Circa l’intreccio tra il progetto di una raccolta di prose varie – terzo volume gaddiano dopo La madonna dei Filosofi e Il castello di Udine – e la faticosa elaborazione della Cognizione, si vedano: Nota introduttiva [anonima, ma: G.C. Roscioni] a Gadda 1970a: x-xiii; Gadda 1987a: 109, n. 1608; Orlando 1991a (SGF I 1231-245).

3. Citato da Gadda di sfuggita ne L’istituto di studi romani, articolo dai tratti enfatici pubblicato nel 1942 su Primato. Lettere ed arti d’Italia, la rivista di Bottai e Vecchietti (SGF I 870).

4. V. De Caprio, Roma e Italia centrale nel Duecento e Trecento, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia, vol. I: L’età medievale (Torino: Einaudi, 1987), 499-500. Riguardo alla fortuna delle Mirabilia Romae e ai volgarizzamenti di esso, cfr. I. Baldelli, La letteratura dell’Italia mediana dalle Origini al XIII secolo, ibidem, pp. 61-62; Le Miracole de Roma, in C. Segre e M. Marti (a cura di), La prosa del Duecento (Milano-Napoli: Ricciardi, 1959), 427-39. Il testo dell’opera anonima si legge nel recente N. Robijntje Miedema, Die «Mirabilia Romae». Untersuchungen zu ihrer überlieferung mit Edition der deutschen und niederländischen Texte (Tübingen: Niemeyer Verlag, 1996), 327-56.

5. Tre i riferimenti gaddiani al Doctor gramatice di Porta Ticinese, in realtà limitabili a due: in Cinema (RR I 62), dov’è ricordato «Buonvicino della Ripa e le sinquanta cortesie ch’ei prescriveva si serbassero almeno a desco» – allusione al De quinquaginta curialitatibus ad mensam che Gadda doveva conoscere quantomeno nell’edizione di Contini, in Cinque volgari di Bonvesin de la Riva (Modena: STEM, 1937), 53-63, da lui posseduto; in Domingo del señorito en escasez (RR II 1015), rielaborazione spagnoleggiante del precedente, dove la lezione del nome è «Bonvesìn de la Riva»; e in Immagine di Lombardia (SGF I 856), dove l’autore annota che «Il dialetto milanese, da Bonvesin de la Riva a Carlo Porta, sarà lessicalmente una parlata neolatina al cento per cento».

6. Cito da Bonvesin da la Riva, De magnalibus Mediolani – Le meraviglie di Milano, trad. di G. Pontiggia, introd. e note di M. Corti (Milano: Bompiani 1974), 100 e 102. Cfr. in Gadda: «o sono invece dei gobbetti membruti, e trascineranno il loro carretto ai mercatini lontani lamentando a scatti, con urli ritmati, e per quanto duri tutto il tragitto, i rinviliti prezzi dell’üga bell’üga» (Mercato di frutta e verdura, SGF I 44).

7. Bonvesin da la Riva 1974: 36.

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ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

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