Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
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Tecchi
Riccardo Stracuzzi
Nominato nel Diario di guerra e di prigionia varie volte, ma per lo più fuggevolmente, Bonaventura Tecchi (1) appare per la prima volta sulla scena dell’opera gaddiana nelle Note autobiografiche redatte in Cellelager, entro una lunga pagina iniziata il 22 luglio del 1918, poi ripresa e conchiusa il 31 luglio. In essa il tenente Carlo Emilio Gadda, del quinto reggimento Alpini, passa in rassegna con larghezza di dettagli la tempra morale dei suoi compagni di prigionia. E tra gli altri, per l’appunto, anche di Tecchi:
magro, nervoso, dagli occhiali, ora un po’ malato; è un signore del Lazio, al confine umbro: Bonaventura da Bagnorea. Come il suo grande omonimo e concittadino, ch’io venero nel 12.° del Paradiso con fervore immenso, è una volontà e un ingegno di prim’ordine, splendido esemplare della nostra stirpe dov’essa è migliore; e un animo oltremodo puro e onesto. Volontario di guerra, volontario in fanteria e sul Carso, volontario sul Col di Lana, volontario dopo esser stato esentato, ha due medaglie e tre ferite e mi eguaglia nell’ardore per la guerra; mi supera certo per merito e per quello che si chiama lo «stato di servizio». Giudizio maturo, fermo, sicurissimo, in un’età in cui sono rare queste qualità così nobili; è del ’96. (SGF II 804)
Il ritratto è ampio, a differenza delle menzioni precedenti e successive, (2) e si appoggia soprattutto sugli aggettivi e sugli avverbiali («un ingegno di prim’ordine», «splendido esemplare», «dov’essa è migliore», «animo oltremodo puro e onesto», «giudizio maturo, fermo, sicurissimo»). Vi si scorge prefigurato uno dei due atteggiamenti con cui Gadda, nel corso degli anni, esperirà l’ambivalenza del suo rapporto con Tecchi: iperbolica ammirazione da un lato, e dall’altro più sincera sottovalutazione dell’uomo e dello scrittore. Sullo stesso versante di questo appunto diaristico, infatti, si colloca la menzione di Tecchi in Compagni di prigionia, stampato quattordici anni dopo dall’Ambrosiano, e poi raccolto nel Castello di Udine:
Tecchi (3) rientrava, con quella sua andatura tremenda di persona che s’è proposta camminare a tutti i costi, contro a tutti. Riponeva i suoi libri, salutava breve e secco, e come distratto ne’ suoi avventurosi pensieri, e un po’ stanco dallo studiare. «Come va Gaddone? Hai lavorato?» mi chiedeva… togliendosi e ripulendosi il pince-nez. Non osavo dirgli la verità, tutto il lavoro erano stati il saccone e la barba e il far fronte alle bestemmie bergamasche di Enzo, fiorite di qualche estrapolazione dal Pentateuco. […] Natura nobilissima di giovane, tre volte ferito, [Tecchi] divideva con me il mio rabbioso militarismo e guerrismo, con Betti e con gli altri compagni l’alto spirito di italianità, che li faceva così puri nella mia idea. (RR I 159 e 164)
Solo due anni prima, tuttavia, era uscita a firma gaddiana una recensione al volume di Tecchi Il vento tra le case: gli affabili rimproveri del recensore erano, fuori di eufemia, assai duri, e testimoniavano di uno sfavore che, con il senno di poi, si può credere letterario in senso propriamente ideologico. (4) La medesima oscillazione, del resto, si registrerà anche nel Gadda ormai alla fine della vita: «Il caso mi diede come compagno di prigionia Bonaventura Tecchi, uno scrittore molto sensibile», dirà l’Ingegnere in una intervista del 1969; mentre tre anni dopo, con tono caustico, alla domanda di un altro intervistatore circa gli amici che avesse durante la prigionia, rileverà: «No, veri amici no. C’erano i compagni di baracca, che erano Tecchi e Betti. Tecchi era preoccupatissimo fino all’ultimo del pensiero di quello che sarebbe stata la sua fama nel mondo». (5)
Tra il ’30 e il ’40, Gadda dedica tre recensioni ad altrettanti volumi pubblicati da Bonaventura Tecchi. (6) è sin troppo evidente, leggendole, che i testi non convincono il recensore, e tuttavia qualcosa lo ritiene dall’esprimere il suo vero parere. A Tecchi, infatti, si deve se Gadda entra in rapporto con il gruppo di giovani letterati fiorentini che hanno dato vita a Solaria, come lo stesso Gadda ricorda nella Scheda autobiografica menzionata sopra. E a Tecchi, per giunta, si deve una parte del finanziamento necessario a pagare, all’editore Parenti, la stampa del primo volume gaddiano: La Madonna dei Filosofi (1931). Insomma, tra il 1925-26 e i primi anni trenta, Tecchi costituisce per Gadda senz’altro il principale mediatore presso l’ambiente letterario, e per ciò stesso finisce per incarnare, agli occhi di uno scrittore esordiente e privo di credenziali letterarie comuni (la formazione tecnico-scientifica), quel tipo di letterato che egli ancora non è (cfr. Gadda 1984a: passim). Nella sua biografia del giovane Gadda, Roscioni ha riferito dettagliatamente il dibattito riservato che precede gli articoli su Tecchi e le ragioni, non solo ma anche pro domo sua, per cui è spesso l’Ingegnere a proporsi in qualità di recensore (Roscioni 1997: 288-92).
L’intreccio di tornaconti, favori e disagi fa sì che Gadda imposti le sue recensioni a Tecchi sulla scorta di un registro eufemistico, da una parte; e dall’altra che finisca per inviare gli articoli redatti all’amico perché li vagli, ne attenui ulteriormente i giudizi poco graditi e ne caldeggi infine la pubblicazione su giornali prestigiosi – cosa che non sempre si verifica, del resto. Sicché Guarnieri ricorda che «quando gli giungeva l’ultimo suo libro [di Tecchi], Gadda entrava in uno stato di agitazione, di inquietudine, dibattuto fra sentimenti diversi […] da un lato riconoscendosi vittima di una tacita imposizione, anche di una sorta di ricatto, e deprecando quell’impegno cui non sapeva sottrarsi; dall’altro incapace di sottrarvisi per fedeltà ad una amicizia dalla quale aveva avuto più di quanto gli spettasse» (Guarnieri 1989: 82). Mentre Vigorelli, indulgendo in un aneddoto forse caricato, riferisce di aver messo gli occhi su un esemplare del Vento tra le case, durante una sua visita del 1935 alla casa milanese di Gadda: «Non credevo ai miei occhi: il libro di Tecchi era zeppo di sottolineature, cancellazioni, punti esclamativi, interrogative, invettive, insulti, rivendicazioni, “no, non è vero, minchione…, bell’anacoluto,…”. Gadda, neanche fosse entrato in punta di piedi era alle mie spalle. Imbarazzato io, annichilito lui. So di non poter essere creduto, ma cadde in ginocchio davanti a me: “Sono rovinato, no no no… Vigorelli, la scongiuro abbia pietà di me…, giuri che non lo dirà a nessuno…, che bestia sono stato…» (Vigorelli 1989: 242).
Memorie indiscrete a parte, chi legge le recensioni gaddiane su Tecchi è costretto a misurarsi con la raffinata strategia apofantica grazie alla quale l’autore scivola tra rilievi elegantemente positivi e negativi, benché quelli negativi siano spesso più rilevati. Più importante, tuttavia, è che le prime due recensioni escono prima e subito dopo quella professione di poetica, singolare e alquanto misteriosa – nonché futura prefazione al Castello di Udine – che è Tendo al mio fine (RR I 119-23). Essa compare sulle pagine di Solaria nel dicembre del 1931; la prima recensione a Tecchi, quella al Vento tra le case, esce sull’Arena di Verona il primo luglio del 1930, unica pubblicazione di Gadda per quell’anno; mentre la seconda, quella a Tre storie d’amore, vedrà la luce sul Tevere il 5 febbraio 1932. Un tale incrocio di commento, scrittura in proprio e nuovo commento suggerisce di avvicinare i tre testi.
Una volta letto Il vento tra le case, per esempio, Gadda rimprovera all’amico una disposizione narrativa troppo concentrata sui conflitti interiori dei personaggi; il che è quanto dire troppo avara nella raffigurazione di quelle istanze polifoniche, carnevalesche e satiriche che Bachtin, allora ignoto in Italia, andava individuando a partire dai romanzi di Dostoevskji:
E quest’angoscia riporta necessariamente il Tecchi verso l’intimità morale: il mondo esterno, i colori, le cose, gli eventi non sono che pretesti. La sua prosa stessa è vigorosa verso l’interno, distratta e talora financo imprecisa nei confronti della contingenza episodica […] ci sarebbe da chiedere al Tecchi […] di pensare che anche l’immediatezza beota di certo lasciarsi vivere, di certo ardere così come comporta la qualità della stipa, può costituire buona materia a significazioni d’arte. «Tu spem reduciis mentibus anxiis», dice il poeta immortale a un bicchiere di vino. Mangiamo, beviamo, e crepi la malinconia. (SGF I 699 e 701)
Il rilievo gaddiano, non privo d’un accento irridente, poggiato com’è sul celebre verso oraziano (Carm. III xxi 17), si potrà accostare a quel luogo di Tendo al mio fine in cui l’autore riferisce uno dei suoi propositi rappresentativi: «tendo a far che vàdino contenti li eroi; darò loro cignale e vitellozzo a mangiare e molto mescerò perché molto bevino; i maschi li farò sanguigni, con orecchi rossi, carnosi; li farò incalorire con i vini meglio nostri della Italia, dentro tutte le vene del Chianti e del Barolo ai signori, del Trani di Capitanata a’ povari ed a’ meccanici» (RR I 120, corsivi miei come nel séguito).
Nella seconda recensione a Tecchi, per fare un altro caso, l’Ingegnere osserva: «Non ultima causa di disagio, la notazione: e financo il vocabolo. Talora essa è viva, potente […]. Tal’altra, invece, è trascurata e arbitraria. Talora il vocabolo è improprio e impropriamente usato». A prefigurazione logica di ciò, anche nei suoi addentellati di nuova denuncia d’angustia rappresentativa, sembravano esprimersi quei brani in cui Tendo al mio fine dettava un vero, e per certi versi dannunziano, inno al vocabolo propriamente usato: «ma farò sentirvi grugnire il porco nel braco: messi il grifo e le zampe dentro e sotto dal cùmulo della gianda, dirà la sua cupida e sensual fame con vèntole balbe degli occhi»; «Coglierò ghirlande di rose e sentirò musiche di dolcissimi commodori e armirati, e corbe di bròccoli: e tutto saravvi: pomposi funebri, orazioni bellissime, atti inimitabili, suspir, lacrime, intenerimenti e indurimenti alterni» (RR I 119 e 121).
Ancora: nelle recensioni il tono posatamente elegiaco del dettato («Quando il vento (dell’angustia dei perché) soffia tra le case gli uomini non chiederebbero altro se non di vivere tranquilli e certi sul suo»), slitta improvvisamente nella chiosa ironica, con effetti quasi di scherno («succedono dei casetti interessanti, che il Tecchi narra con perizia e con garbo e talora con vivo senso lirico», SGF I 700). Oppure: «[Tecchi] Viene da una tormentata adolescenza, da una guerra eroica: né il secolo un po’ leziosetto se ne dà pena. Ma c’è in lui un amore doloroso della vita e la volontà di pur viverla. Il suo recente volume, “Tre storie d’amore” (Treves, 1931) si legge con desiderio ininterrotto e son certo che il pubblico andrà cercandolo avidamente a’ librai» (SGF I 740). Lo smaccato asserto di certezza e l’immagine d’una avida caccia da parte dei futuri lettori del libro, evidentemente, confluiscono in un effetto sarcastico abbastanza rilevato, e tutt’altro che preterintenzionale: evidentemente la narrativa di Tecchi appare a Gadda tutta concentrata sopra piccole storie, sopra un piccolo romanticismo non meno edificante che convenzionale. Si vedano in Tendo al mio fine affini scarti, benché più articolati, tra quotidianità e vita spirituale:
Umiliato del destino, sacrificato alla inutilità, nella bestialità corrotto, e però atterrito dalla vanità vana del nulla, io, che di tutti li scrittori della Italia antichi e moderni sono quello che più possiede comodini da notte, vorrò dipartirmi un giorno dalle sfiancate sèggiole dove m’ha collocato la sapienza e la virtù de’ sapienti e de’ virtuosi, e, andando verso l’orrida solitudine mia, levarò in lode di quelli quel canto, a che il mandolino dell’anima, ben grattato, potrà dare bellezza nel ghigno. (RR I 119)
Ora, se si tiene a mente che Gadda, ben prima di metterlo a premessa del suo secondo volume, scrive Tendo al mio fine per un’inchiesta promossa dalla rivista Solaria intorno alla letteratura italiana di quegli anni, si può desumere che l’enfasi ironica di quelle pagine comporti anche un sottinteso riferimento a quel tipo di scrittore che Tecchi incarnava agli occhi dell’Ingegnere. Sotto questo rispetto, bisognerà prima o poi verificare se e quanto la raffigurazione di Bodoni Tacchi, che De’ Linguagi deride ripetutamente in Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo (SGF II 375-429), debba qualcosa a Tecchi, autore di uno studio sul Dramma del Foscolo. (7)
Università di BolognaNote
1. Nato a Bagnoreggio nel 1896 e morto a Roma nel 1968, Tecchi fu studioso di letteratura, specialmente germanista, e scrittore (valga qui il rinvio al volume Bompiani delle Opere, uscito con prefazione di A. Bocelli nel 1974). Su di lui si vedano: R. Frattarolo, Bonaventura Tecchi (Roma: L’Italia che scrive, 1960); G. Pischedda, Bonaventura Tecchi (l’Aquila: Japadre, 19692); G. Amoroso, Itinerari stilistici di Tecchi (Firenze: Le Monnier, 1970); Id., Bonaventura Tecchi (Firenze: La Nuova Italia, 1976); S. Marini, Tecchiana: bibliografia degli scritti di e su Bonaventura Tecchi (Ravenna: Longo, 1980); R. Caira Lumetti & D. Ferrara (eds.), Bonaventura Tecchi. Scrittore e germanista (Roma: Studium, 1999); F. Belski (ed.), Bonaventura Tecchi e le novelle goethiane (Milano: Le Edizioni Universitarie, 2003).
2. SGF II 747, 818, 827-29 e 829-31; i corsivi nelle citazioni sono miei, come nel séguito. A leggere i contemporanei diari di Tecchi, risulta che il suo rapporto con Gadda negli anni di prigionia fosse meno idilliaco: «Certo la tua posizione oggi con G.[adda] è totalmente cambiata. Ti crede un carattere debole, lunatico, fuori dal mondo e un buono a niente» – B. Tecchi, Taccuini del 1918. Sulla letteratura e sull’arte, a cura di F. Lanza (Milano: Mursia, 1991), 80; vd. anche a p. 85. Più tardi, nel 1961, Tecchi pubblica presso Bompiani le sue memorie di prigionia. Nel capitolo dedicato a Gadda (il VII), egli dà dell’amico un ritratto benevolo e partecipato (Tecchi 1961: 67-75 e passim).
3. La nota d’autore, puntigliosa e inappuntabile, riferisce: «Bonaventura Tecchi, da Bagnoreggio, onora oggi le lettere italiane. Fu ufficiale d’ordinanza del generale Napoleone Fochetti, caduto prigioniero a sua volta. Tecchi, tre volte ferito, è decorato di medaglia d’argento al valore militare» (RR I 166).
4. Vd. principalmente SGF I 699 e 701, e Nota al testo, SGF I 1337-338 – ma su ciò infra.
5. La prima intervista, concessa a Giuseppe Greco, uscì su Gente, a. 13 (1969), n. 20: 64-67 – ora la si legge in Gadda 1993b: 185-203 (citazione a p. 277). La seconda, a Ludovica Ripa di Meana e Gian Carlo Roscioni, fu trasmessa sul secondo programma Rai il 5 maggio 1972, e poi pubblicata in trascrizione dall’Approdo letterario, n.s., a. 18 (1972), n. 58: 103-26 – ora in Gadda 1993c: 167-92 (citazione a p. 148). Si aggiunga che proprio il Diario di guerra e di prigionia, pubblicato nel 1955, è suggellato da una dedica a «Bonaventura Tecchi | ricordando la sua fermezza nei giorni difficili» (SGF II 435). Altre tre volte Tecchi è nominato, nell’opera gaddiana, escludendo ovviamente le recensioni ai suoi testi, su cui si dirà tra breve, e le menzioni puramente referenziali. Ciò accade una prima volta in un racconto pubblicato da Epoca nel ’45 (cfr. Andreini 1988), in un accenno difficilmente decifrabile, ma forse non troppo laudativo: «il soprabito di Tecchi, due scarpe giallo-zampa d’oca da questurino 1905, mi conferiscono quella finta rispettabilità di cui ho tanto bisogno» (Fuga a Tor di Nona, in RR II 981); una seconda volta nella terza delle schede autobiografiche da lui dettate dal ’57 in poi: «Il N. conobbe negli anni 1926-30 diversi scrittori e critici italiani e la catena delle conoscenze fu innescata dalla sodalità di Bonaventura Tecchi, suo compagno di prigionia a Rastatt e a Celle, che primo lo presentò a Carocci e Franchi a Firenze» (SGF II 875); e la terza volta – con accenno più indecifrabile della prima, ma forse riferito a un semplice episodio degli anni di guerra – in una poesia affidata ad Alfabeto nel 1953: «Non ho visto le tre bottiglie del Tecchi | – se le son bevute stradafacendo i dorìfori» (Nel ’52 non ho visto… Imitazione da Villon, vv. 24-25, in SGF II 896; cfr. anche Gadda 1993a: 84 e 96).
6. Un narratore-B. Tecchi (1930), rec. a Il vento tra le case, Torino, Buratti, 19302 (SGF I 698-701); Tre storie d’amore (1932), rec. al volume uscito per Treves-Treccani-Tumminelli, nel 1931 (SGF I 739-44); e Bonaventura Tecchi, «Idilli Moravi» (1940), rec. al volume uscito per Treves, nel 1939 (SGF I 847-55).
7. Lo studio fu stampato a Firenze, presso Parenti, nel 1927.
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
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