Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Garbuglio Gomitolo Gnommero Groviglio
(e Guazzabuglio)

Massimo Riva

Troppo poveramente si schematizza, troppo arbitrariamente si astrae dal monstruoso groviglio della totalità… (Meditazione, SVP 842)

1. Le cinque G qui allineate in alfabetico ordine disegnano e delimitano una caotica galassia semantica, autentico nucleo e paradossale emblema del gaddiano esprit de système. E tanto vale, dunque, prendere abbrivio dal discorso sul metodo del nostro autore, la Meditazione Milanese (II stesura), Paragrafo 2o. In questo paragrafo, dedicato a La grama sostanza, l’ingegnere collauda e brevetta, appunto, «una grama e imperfetta sostanza», autentico quid filosofale, immaginando «un permanere inalterato di alcuni elementi come necessaria correlazione al proprio deformarsi di altri» (Meditazione, SVP 868, corsivo nel testo). In questa sostanza puramente relazionale si coagulano e conflagrano le due cosmiche forze, centripeta e centrifuga, parmenidea ed eraclitea che, lungi dal neutralizzarsi a vicenda, generano quel garbuglio o gomitolo (o gnommero) o groviglio che altro non è che la forma e il pensiero dinamico, in atto, del deforme. (1) All’informe rimane invece legato, per ipotesi, il manzoniano guazzabuglio.

Una rapida ricognizione nel resto dell’opera ce lo può confermare. Ancora nella Meditazione: «la deformazione della figura comporta deformazione interna degli elementi colpiti; i quali non m’è dato di concepire se non pensando a grovigli o nuclei o gomitoli di rapporti, privi affatto di un contorno polito, e ciò contrariamente a quanto li raffigura la consuetudine pigra del pensiero comune» (SVP 869). Che poi ogni elemento di quella figura sia «a sua volta groviglio o figura o sistema» (ove si noti l’allineamento e la sostanziale equivalenza di queste tre parole emblematiche) non fa che confermare, in senso inverso, l’aggrovigliata e non polita sostanza dell’universo, fin nei suoi più infimi dettagli, grande scacchiera su cui si giocano le partite dell’accadere: ed anche i «pezzi non giuocati» risultano (virtualmente) «un garbuglio o gomitolo di rapporti logici attuali» (SVP 870).

Questa logica del deforme, instancabilmente all’opera nelle costruzioni linguistiche e mentali del nostro, ci fornisce, sorprendentemente, una sorta di araldica mise-en-abîme e uno specchio adeguato a cogliere la verità in atto di un mondo in cui alla pura razionalità, aspirazione di ogni sistema, si è sostituita una impura, rizomatica e caotica relazionalità. Di fronte alla quale occorre educarsi «a concepire ogni cosa come un groviglio o somma di rapporti nel senso più elato; e non nel senso della sola possibilità (che è un’idea mediocre) ma in quello più proprio della realtà attuale e storica» (SVP 870). La metodica mente gaddiana si dilata così alla ricerca di una digressiva, dissociante e reticolare scrittura che (a differenza della lineare scrittura filosofica perseguita nelle pressoché contemporanee Meditazioni cartesiane di Husserl, 1929) sia capace di inseguire, oltre il soggetto, oltre il libro, oltre un’unica, univoca mente, tutti i collegamenti necessari tra il sé e il mondo. È il nucleo, attualissimo, di un pensiero multicultural-democratico: «E poi i collegamenti necessarî non sono tutti consegnati a una sola mente, come i libri della Biblioteca Nazionale non ad uno scaffale unico, né la cultura di un popolo a un libro unico, né le sorti d’una patria a un unico soldato». Perché «errore profondo della speculazione» è quello «di veder ad ogni costo l’io e l’uno dove non esistono affatto, di veder limiti e barriere, dove vi sono legami e aggrovigliamenti» (SVP 647).

E finalmente, su questo abbrivio, si giunge alla metaforma epistemologica portante, paradigmatica della nostra epoca: «L’ipotiposi della catena delle cause va emendata e guarita, se mai, con quella di una maglia o rete: ma non di una maglia a due dimensioni (superficie) o a tre dimensioni (spazio-maglia, catena spaziale, catena a tre dimensioni), sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti» (SVP 650). In questo spazio-maglia, apparentemente aperto e interminabile ma in realtà sempre più stretto e avvolgente, siamo oggi (non solo mentalmente) avviluppati.

Ha ragione Roscioni a ricordarci, nell’introduzione alla Meditazione, che «il costruttivismo di Gadda ha una matrice fondamentalmente biologica e vitalistica» (Roscioni 1974: xii). Il groviglio, d’altra parte, ha una radice botanica (e l’accostamento di parole come grumo e nucleo ce lo confermano). Proprio per questo esso suggerisce una modalità di pensiero (e un linguaggio) in grado di cogliere quella «pulsante deformazione logica» che unisce l’organico e l’inorganico in un feedback loop sempre più «coinvolutivo». (2) Si prenda ad esempio la meditazione sui sensi, pietra miliare, se ce n’è una, del pensiero moderno. Il quale pensiero, racconta il nostro, «ha girato e rigirato» intorno a quel «complesso di relazioni (da lui supposto individualità)» che sono «i cinque o sei o sette o dodici sensi… come il pazzo farfallone di primavera intorno al faro voltaico, escogitando ogni sorta di miti»; senza mai domandarsi «se per avventura il faro fosse non persona o individuo ma grumo o nucleo o groviglio di rapporti, in cui le condizioni stabilite dalla lontana centrale elettrica e dai presenti carboni e da infinite determinazioni della realtà trovano espressione di luce dal centro di un globo di vetro». Soggetto a queste emanazioni, da lampadina pitagorica, «cadaun senso non è persona ma un polipaio di relazioni […] lentamente nucleatesi nei millenni di millenni sopra il soppalco logico di preesistenze reali; sopra la luce (già essa complesso di relazioni) si è nucleata una conoscenza della luce» (SVP 661-62). E via dicendo (o affabulando), queste pagine contengono già in sé il nucleo generativo di future cosmicomiche. (3)

Le metafore telefoniche ed elettriche ci riportano alla tavolozza (ma sarebbe il caso di dire piuttosto al graticcio, alla pulsantiera) modernista su cui il nostro ingegnere abbozza e digita le sue descrizioni più sintomatiche. (4) E questo vale anche per la metafora principe del barocco gaddiano, quella architettonica: «Enunciazione disegnata ed estrutta ad arte sulla sommità di quello che doveva essere stato nei lontani secoli il “monte”, il Viminale, l’architettura secentesca della basilica, come d’una dimora fastosa del pensiero, aveva sue radici nell’ombra, nell’oscurità della diritta via discendente e nell’intrico di tutti i rami: un accenno, il campanile a cuspide, al di là del groviglio dei rami e delle alberature che la fiancheggiavano» (Pasticciaccio, RR II 263).

Pausa e contraddittorio passaggio della parola al criticone, o azzecca-garbugli:

«Ciò che dite è un guazzabuglio indescrivibile, che nessun uomo sensato potrà mai decifrare. Relazioni che hanno relazioni come fattor comune: che vuol dire tutto ciò? Sarebbe come dire: dieci asini hanno un asino fattor comune. Ciò è privo di senso […]»
Rispondo: «La mia prosa è necessariamente imperfetta, sebbene io abbia compiuto gli studi di retorica […]». (Meditazione, SVP 663).

L’asininità come pura relazione fa effettivamente riflettere (non a caso ci avevano già riflettuto a lungo i filosofi, da Bruno a Nietzsche).

Ma di retorica sia ben chiaro che non si tratta, bensì della realtà al lavoro, come la si può cogliere solo nei momenti di più lucida epifania intellettuale. (5) Che la galassia semantica che stiamo dipanando si ammanti di afflati o almeno singulti metafisici, non vi è dubbio. Ma la sua spinta fondamentale rimane quella esistenzial-realistica, sempre all’insegna del difforme come norma: «Ho già avvertito in principio che io parto dal traballante ponte della mia caravella (bateau ivre) per osservare […]» (SVP 676). Una sintesi quasi definitiva ce la dà un passo di Come lavoro (I viaggi e la morte) in cui la teoria del soggetto e quella della (abnorme) normalità trovano la loro co-evoluzionistica sintesi:

Il cosiddetto «uomo normale» è un groppo, o gomitolo o groviglio o garbuglio, di indecifrate (da lui medesimo) nevrosi, talmente incavestrate (enchevêtrées), talmente inscatolate (emboitées) le une dentro le altre, da dar coagulo finalmente d’un ciottolo, d’un cervello infrangibile: sasso-cervello o sasso-idolo: documento probante, il migliore si possa avere, dell’esistenza della normalità: da fornire a’ miei babbioni ottimisti, idolatri della norma, tutte le conferme e tutte le consolazioni di cui vanno in cerca, non una tralasciata. Tra queste l’idea-madre che quel sasso, o cervello normale, sia una formazione cristallina elementare, una testa d’angelo di pittore preraffaellita: mentre è, molto più probabilmente, un testicolo fossilizzato. (SGF I 440)

Impenetrabile reperto ultimo – fossile, sarebbe il caso di dire – della vicenda sublime della nostra specie, che il nostro (su modello leonardesco) disseziona nel suo grumo bio-estetico, producendo la sua anastomosi («[…] il disegnatore e notomista Leonardo: che il groviglio dell’anse intestinali ha saputo ritrarre in bellezza e rotondità, e quasi nel vigore del travaglio, turgide d’un ragionevole accantonamento, gonfi di loro adempiute prestazioni» – Anastomosi, SGF I 268). In questa pratica pseudo-chirurgica: «I visceri venivano presi ed estratti come una sequenza di molli enigmi (per me) [...] non geometrica espressione dell’io vivo [...] l’intimo e insostituibile dispositivo della organicità, che si rivela invece così sconvolto, informe, superfluità rossa ed inane, o anzi beffa d’un pupazzo sventrato senza Battesimo, alla mia cognitiva d’ignaro d’ogni antropologio e groviglio, smemorata di lontani studi, scarsa, incerta» (SGF I 269). Per ricongiungersi infine alla sintesi di Come lavoro: «Ognun di noi mi appare essere un groppo, o nodo, o groviglio, di rapporti fisici e metafisici: (la distinzione ha valore d’espediente). Ogni rapporto è sospeso, è tenuto in equilibrio nel “campo” che gli è proprio: da una tensione polare […]» (SGF I 428). E via inanellando citazioni su citazioni, tra le molte possibili, negli Scritti Dispersi, troviamo questo riferimento conclusivo, e capitale, a Leibniz: «La mònade (cioè l’unità conoscitivo-operativa, cioè l’io centrale di un sistema, di un organismo) è lo specchio del mondo, sostiene Leibniz: ogni mònade, a suo modo, è un grumo di coscienza che definisce l’universo: è un centro, o groviglio di rapporti (conoscitivo-operanti) a cui si può riferire la totale realtà» (Un testimone, SGF I 945).

2. Nella declinazione o variazione di quella che abbiamo fin qui (sulle tracce del compianto Dombroski) duplicemente definito master-metaphor epistemologica ed emblematica, araldica mise-en-abîme, (6) al gomitolo spetta (con la sua variante vernacolare, gnommero, su cui torneremo in chiusura) una domestica sofficità, che ha come referente da una parte il ventre molle degli affetti (con la loro viscerale degradazione cognitiva) e dall’altra – e veniamo qui al punto – l’arte del narratore, ossia di chi tesse e ritesse, dipana e sdipana le trame di quelle esistenze normali che, sia pure fittizie, nascondono, incavestrato e imbossolato dentro, il nocciolo duro (fossilizzato e tragico) del nostro destino. Due reperti. (7) Cominciamo con un passo emblematico della tessile araldica di questo etimo, nel campionario del nostro, degna di un Arcimboldo da passamaneria. Dall’Adalgisa:

In un battibaleno, nonostante l’impendere del mezzogiorno, tutta la sciagurata novecenteria dell’architetto Basletta – cristalli, e cassetti di radica, e maniglie e pomi anticorodal – andava per la centesima volta a soqquadro. Altro che vigilia di San Babila! Una babilonia di scatole, di matasse, di matassine, di trecce, un’insalata di pezze sciorinate sui bancali in tutte le sfumature dell’iride; quasi solo si possono concepire a carico di oneste e servizievoli Seterie e Passamanerie Milanesi Carugati & Bondanza S.A. [...] Pezze su pezze, scatole su scatole, si montonavano sul banco: o ne tomborlavano fuora, e giù dal banco e dalle scatole, rocchetti, gomitoletti, gomitoloni di più tinte, tubetti e telaietti in cartoncino, a cariche multicolori, come piccoli aspi, gli aspi infiniti della servizievole possibilità. Compatte o scarmigliate matassine, in tutta la gamma del campionario, campioni d’ogni tipo e d’ogni risma, venivano pasticciosamente dislocati, a quell’ora, da una scatola nell’altra, in un’angoscia e in un arruffìo da non dire: poi ricercate nervosamente, poi ritrovate, poi riperdute […]. (RR I 366)

Quell’avverbio, pasticciosamente, situato lì, come per caso, ci conduce dritto dritto al passo forse più noto, vera sintesi del nostro ingarbugliato argomento, che riannoda temporaneamente le fila del nostro sfilacciato percorso. Intendo la metafisica meditazione romana del commissario Ingravallo alle prese col pasticciaccio (un vero guazzabuglio, in verità) degli indizi e dei motivi che governano le più antiche azioni e passioni umane, con la loro viscerale (in)decifrabilità, infinitesima parte dell’enigma universo, quello stesso che si condensa e si aggruma nel rinsecchito, fossilizzato, quasi siliceo, reticolare (e testicolare) viluppo dell’umana, grama sostanza:

Sosteneva, fra l’altro [Ingravallo], che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo […]
«...quacche gliuommero... de sberretà...» diceva, contaminando napolitano, molisano, e italiano. (RR II 16-17)

Avvertenza, ancora dagli Scritti Dispersi:

La narrazione è condotta in modo che i lettori vengano frastornati, non più e non meno degli indagatori, dagli atti stessi della investigazione regolamentare, obbligatoria. Lo snodarsi impreveduto del groviglio è simultaneo col bagliore folgorante che illumina al commissario protagonista la realtà dell’epilogo. Il nodo si scioglie a un tratto, chiude bruscamente il racconto. (Incantagione e paura, SGF I 121)

Fine.

Postscriptum. Breve meditazione (postmoderna) sulle relazioni pure, ovverossia gli operatori logico-poetici di un verso famoso di un gran Lirone (alias Ugo Foscolo) – dalla chiusa degli Accoppiamenti giudiziosi:

Eppure, stava a rimuginare lo zio, eppure… spèta on moment... Il più e il non, non meno o non più del non e del più, non sono separabili in proposizione negativa a opera di interposto soggetto della proposizione stessa, mentre sono separabili, spèta…, a opera del verbo… La legge stenterellava a uscir fuori. «Ma no! Nel caso del più, prima, e del non, dopo, guarda on poo, non sono separabili… nemmeno per opera del verbo!» Tantoché si può dire «il Sole non più fecondi», o anche «il Sole non fecondi più», la sperata legge ecco ecco ecco gli pareva lì lì per germogliare nella primavera, ma non si può dire in nessun caso, a non voler suscitare di mille secoli il cachinno, «Il Sole più fecondi non», e, cioè né, «il Sole fecondi più non»: e nemmeno beninteso, con che la legge finiva per ingarbugliarsi del tutto, «il più Sole fecondi non», o anche, cioè tanto più ovverossia tanto meno, secondo è data licenza ossia licenza è data alla lira, d’un gran Lirone però sol, «il Sol mi fa fa re la do si do – la re fa fa la mi fa re – no no si si fa fa do Sol»… (RR II 919-20)

Gnommero e gnente hanno la stessa radice.

Brown University

Note

1. Si veda la mia voce Iper-romanzo dove cito questo passo: «Tendo a una brutale deformazione dei temi che il destino s’è creduto di proponermi come formate cose ed obbietti: come paragrafi immoti della sapiente sua legge» (Castello di Udine, RR I 119).

2. Il riferimento è alla teoria della «coinvoluzione dei sistemi», nella terza parte della Meditazione, su cui vedi Roscioni 1974: xxi.

3. «L’essere luce implica una distinzione tra luce e non luce […]: il mondo cioè l’infinita totalità dei rapporti ha allora lentamente stabilito che l’essere luce o non luce fosse accompagnato da relazioni riflesse come in una centrale telefonica automatica la chiamata di un utente determina un particolare automatismo, che è, oltre tutto il resto, anche il “simbolo” di quella chiamata» (Meditazione, SVP 661-62).

4. è il caso, ad esempio, di questo passo della Cognizione del dolore, che vale la pena di citare per esteso: «Il fulmine infatti, quando capì di non poter più resistere al suo bisogno, si precipitò sul parafulmine piccolo; ma non parendogli, quella verga, abbastanza insigne per lui, rimbalzò subito indietro come una palla demoniaca e schiantò su quell’altro, un po’ più lungo, della torre più alta […] Lì, sul riccio platinato e dorato, aveva accecato un attimo il terrore dei castani, sotto la nuova veste d’una palla ovale, – fuoco pazzo a bilicare sulla punta, – come fosse preso da un bieco furore, nell’impotenza: ma in realtà sdipanando e addipanando un gomitolo e controgomitolo di orbite ellittiche in senso alternativo un paio di milioni di volte al secondo: tutt’attorno l’oro falso del riccio, che difatti aveva fuso, insieme col platino, e anche col ferro: e smoccolàtili anche, giù per la stanga, quasi ch’e’ fussero di cera di candela» (RR I 587).

5. «Nelle stanche albe, al risveglio, in quei pochi attimi di intuizione che precedono il risveglio, e che Dante e S. Caterina dicono propizî alla recezione della luce, quando l’anima alle sue visïon quasi è divina, quante volte, in guerra, i comandanti, i generali, ecc. mi apparvero non come persone, ma come non-persone. In essi la realtà lavorava, per essi si esprimeva. Ed esprimeva il suo pulsante palpito, il suo aggrovigliato vivere; e tale espressione era difforme da quello che i grossi e bovini occhî imbambolati dalla luce del giorno e dalla sua falsa dialettica, soglion vedere» (Meditazione, SVP 699-70).

6. Un breve scritto disperso, raccolto da D. Isella (SGF I 1221-224), reca il titolo Divagazioni e garbuglio (si veda la nota al testo di Isella che riporta un ricordo di Giulio Cattaneo, SGF I 1368-369), di fatto una serie di divagazioni genealogiche («il divagare si addice a una varia e molteplice casistica, qual è data dal rapporto genitori-figli […]»).

7. Altri, ovviamente, se ne potrebbero aggiungere, laddove ne avessimo lo spazio e il tempo, varianti da una personale ad una estraniata verità, come il seguente ricordo del narratore del Castello di Udine: «Dimenticai perfino le aule del Politecnico […] Dimenticai le tavole di proiettiva coi loro inviluppi di linee: o gli inviluppi divennero dei gomitoli, ingarbugliati dal gatto […]» (RR I 151). E in una recensione al Male oscuro di G. Berto: «I cittadini e le cittadine della Città folle (è il mondo) […] La drammatica realtà del mondo è rappresentata in dolorosa e pur fuggente evidenza, a tratti il racconto ha l’aria di precipitare a un delirio: le ingarbugliate fissazioni di tutti si ingarbugliano ulteriormente fra loro come gioco e stridio molesto di bambini pazzi, fino a indestricabile viluppo» (SGF I 1202).

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ISBN 1-904371-00-0

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