Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Orazio

Emanuele Narducci

Tra gli autori antichi, Orazio è probabilmente il più familiare a Gadda, che si vantava di conoscerne a memoria buona parte della produzione poetica – negli anni in cui lavorava ai programmi culturali della radio, avrebbe rivendicato con orgoglio questa competenza in materia oraziana nel corso di una vivace polemica con il classicista Ugo Enrico Paoli e con il traduttore Enzio Cetrangolo (Cattaneo 19912: 56).

Le riflessioni sull’ars poetica hanno un ruolo di rilievo nelle note compositive del Racconto italiano (ad esempio, a proposito della maniera in cui conferire coerenza psicologica ai personaggi). E un apprezzamento altissimo Gadda dimostra spesso per la lirica politica, il cui valore poetico è stato profondamente ridimensionato nella seconda metà del secolo scorso – la valutazione è del resto comprensibile nel clima politico e intellettuale degli anni intorno alla prima guerra mondiale; al pari dell’ammirazione per Cesare, quella per l’Orazio civile è in Gadda assai anteriore alla divulgazione fascista del culto della romanità, e da essa va tenuta distinta.

Il combattente volontario, il reduce dal fronte e dalla prigionia, non riesce, difatti, a frenare la propria ammirazione per la maniera in cui Orazio ha cantato la vittoriosa resistenza dei romani all’invasore cartaginese: la celebrazione della battaglia del Metauro (carm. IV 4), che vide la sconfitta e l’uccisione di Asdrubale, è ricordata nel Racconto italiano, nel Castello di Udine, e ancora in Eros e Priapo, con una frequenza che può essere accostata solo a quella con cui ritorna il ricordo della campagna di Cesare contro Ariovisto (Narducci 2003: 98 sgg.). Di particolare interesse è poi l’utilizzo della medesima ode nel contesto di una riflessione sul simbolismo nella poesia antica e in quella francese tra Otto- e Novecento ne I viaggi, la morte (SGF I 577 sgg.).

In poeti come Baudelaire e Rimbaud, scrive Gadda, la continua ricerca del simbolo fa sì che, da mezzo, esso divenga fine; il risultato è che talune loro composizioni, «veri vivai di simboli, sono tutta pittura e niente espressione». A questo tipo di simbolismo Gadda contrappone quello, affatto diverso, che si manifesta nei carmi di Orazio: «come la misura dell’arco romano è perfetta, così perfetta e impeccabile è la sua tecnica simbolistica». A esempio, adduce I 9, l’ode sul Soratte, e IV 4, spiegando la felicità del simbolismo oraziano col fatto che esso non costituisce un’evasione dalla realtà in un mondo di immagini e di sogni; al contrario, è radicato nella concretezza della civiltà romana, e nei valori morali che l’hanno sempre sorretta nei momenti più difficili.

Non mancano, nel corpus gaddiano, citazioni e riprese da altri componimenti dell’Orazio civile – un caso particolare è tuttavia rappresentato dal carmen saeculare; pur ricordando il carme oraziano con esplicito consenso, Gadda assume talora un atteggiamento caustico nei confronti di alcune delle tematiche da esso veicolate, specie quelle fatte proprie dal fascismo al fine di conferire una patina nobilitante alla campagna demografica. Verso questa propaganda Gadda, scapolo impenitente, ostenta spesso, e con notevole asprezza, il proprio fastidio.

Si comprende, allora, la scarsissima consonanza dello scrittore con ciò che gli sarà apparso come il convenzionalismo e il perbenismo del carmen saeculare, la volontà, da parte del poeta latino, di adeguarsi alle esigenze del regime augusteo. L’anticonformismo di Gadda si rivela a partire, prima che dalle scelte politiche, da quelle della vita personale. Già al ’28 risale il progetto di un Lavoro avente per tema il malumore di un feroce misogino (Roscioni 1997: 298). Interlocutori dovevano essere uno scapolo, e un uomo ammogliato, con prole: «nevrastenico, sarcastico, spleenetico» il primo; il secondo «salubre, blando, umano, Carmen saeculare, entusiasta, patriota, famiglia e nazione». E ancora in uno scritto del ’66, che offre una rapida caratterizzazione del Pasticciaccio, Gadda farà in larga parte dipendere la tragicità della vicenda dal costume che, specie in Italia, fa avvertire come colpa, od onta, la mancanza di figli – costume di cui il carmen saeculare è eletto ad archetipo e manifesto (Incantagione, SGF I 1214).

Un peso non trascurabile nell’esperienza letteraria di Gadda ha avuto l’Orazio delle meditazioni più intime, quello maggiormente apprezzato nella seconda metà del Novecento. Alcuni versi di un’ode in cui Orazio ha espresso mirabilmente il senso della precarietà del tempo (I 9 – di nuovo, la cosiddetta ode del Soratte) alimentano più di una volta le riflessioni di poetica di Gadda, a partire dal Racconto (Narducci 2003: 108 sgg.). Della stessa ode I 9 ricorre con frequenza la fresca rievocazione degli appuntamenti serali degli innamorati: lenes… sub noctem susurri (La Penna 2002).

Un altro passo oraziano frequentemente citato e ripreso da Gadda è la strofa conclusiva del carme di commiato del libro II, in cui il poeta auspica per sé funerali senza lamenti e inutili fasti (carm. II 20, 21 sgg.) :

absint inani funere neniae
luctusque turpes et querimoniae;
compesce clamorem ac sepulcri
mitte supervacuos honores.

[Dalle mie inani esequie siano lontane le funebri nenie, i pianti che sfigurano, e le lamentazioni; vieta le grida, e lascia da parte le superflue onoranze del sepolcro].

In Eros e Priapo la citazione oraziana ricorre nel contesto di una polemica contro la pompa funebre in quanto manifestazione della follia narcisistica (SGF II 372). Nella Cognizione del dolore il ricordo ritorna, con dolorosa insistenza, almeno un paio di volte:

A Gonzalo, no, no! non erano stati tributati i funebri onori delle ombre; la madre inorridiva al ricordo: via, via!, dall’inane funerale le nenie, i pianti turpi, le querimonie. (RR I 678)

Sapeva benissimo che cosa sarebbe arrivato dopo tutta la fatica e l’inutilità, dopo la guerra e la pace e lo spaventoso dolore; in fondo, in fondo a tutto, c’era, che lo aspettava, il vialone coi pioppi, liscio come un olio. […] Nessun dolente, certo, dopo di lui, e ghignava tra sé e sé dalla gioia solo a pensarci: absint inani funere neniae luctusque turpes et querimoniae: il Municipio lo avrebbe preso in gobbo, stavolta. (RR I 730)

Nel secondo passo va notato il brusco sbalzo di registro, dalla dolente meditazione con la quale l’inserto si apre, al sarcasmo violento delle parole finali: i versi di Orazio sono utilizzati a mo’ di commento della soddisfazione di Gonzalo nel prefigurarsi la delusione del Municipio alla mancata riscossione della tassa sulle sue esequie.

Altra ode di cui Gadda si ricorda più di una volta è quella di chiusura del libro III (30), dove il poeta latino associa la propria fama letteraria con la durata, nei secoli, dell’impero di Roma. I vv. 4 sg. (innumerabilis | annorum series et fuga temporum [la serie innumerabile degli anni, e il fuggire dei tempi]), la cui musicalità rende in maniera incomparabile il senso della corsa infinita del tempo, sono citati con insistenza notevole (SVP 734 e 873, SGF II 78, SGF I 1208). In un caso la solennità del dettato poetico oraziano è usata ironicamente, per segnalare la degradazione della realtà cui applicare il confronto. Nell’Adalgisa Gadda riprende infatti con questa funzione degradante i versi di III 30 in cui Orazio aveva celebrato la perennità del monumento innalzato con la propria poesia:

[il nobile Gian Maria Caviggioni] aveva costruito a Costa Masnaga, presso Lambrugo, un po’ dopo Inverigo, una solida e scombinata casa che, a idea, nessun tormento o ciclone riescirà mai a debellare: «non imber edax, non aquilo impotens» [non la pioggia che corrode, non il vento, sfrenato nella sua violenza]: e nemmeno un cataclisma geofisico. E nessun nato di donna gli verrà fatto di abitarci d’inverno. (RR I 409)

All’intensa confidenza di Gadda con l’Orazio lirico fa riscontro, e la cosa può stupire, una presenza alquanto più rada del poeta satirico; non molti neppure i riferimenti alle epistulae. In un passaggio della Cognizione è tuttavia incastonato un verso proveniente dalla seconda epistola del libro I:

Gonzalo […] era forse lontano dall’aver mente ai ladri in quanto ladri – ut iugulent homines surgunt de nocte latrones [i ladroni si levano di notte per scannare la gente]: epist. I 2, 32 (ma il testo di Orazio ha hominem, non homines)] – ma lo accorava il pensiero della mamma. I ladri erano alla sua angoscia il simbolo d’una offesa che potesse venir recata alla mamma. (RR I 653)

Citazione che suona come presagio della notte in cui la madre troverà la morte per mano omicida (Flores 1964: 385 sg.).

Università di Firenze

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

© 2002-2024 by Emanuele Narducci & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).

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