Le cinque maniere

Gian Carlo Roscioni

Non bisogna fidarsi troppo dell’elenco che Gadda fa, in una nota compositiva, delle sue cinque maniere. Intendiamoci: la lista e le definizioni sono interessantissime. Pare d’aver tra le mani il Vocabolario toscano dell’arte del disegno, dove alla lettera M Filippo Baldinucci puntigliosamente registra, tra le «guise» e le «forme di operare» degli artisti, la Maniera cruda, la Maniera ideale, la Maniera Lombarda, la Maniera risentita, la Manierona, e via di seguito.

L’accostamento invita a cogliere nella classificazione di Gadda, più che la risposta a interrogativi d’ordine teorico, uno scrupolo artigianale di adeguatezza e accuratezza tecnica, forse più comune tra i cultori delle arti del disegno che tra gli inventori di storie. Se parlavo di cautela nell’affrontare l’elenco è perché le maniere di Gadda non sono soltanto cinque. Sfogliando il Racconto italiano si incontrano note che ne registrano, implicitamente, diverse altre: vi si parla, per esempio, di tono «sereno e nobile, virile, non panziniano, un poco tacitiano», oppure di «sarcasmo dispositivo».

Così numerose sono le maniere di cui Gadda dispone che invece di tentarne un censimento esaustivo, preferiamo compiere un’operazione di segno opposto: sfrondando, aggruppando, fino a indicare, se ci riesce, le direzioni principali del suo lavoro. L’impressione è che queste siano «fondamentalmente due. Da una parte c’è la tendenza a una prosa di tono alto, sostenuto, anche enfatico, cui egli affida volentierile riflessioni generali sulla natura delle cose e sul destino degli uomini. È una prosa articolata, ornata, numerosa, che non rifugge tuttavia da ritmi e forzature in netto contrasto con la simmetria e l’armonia della concinnitas classica.

Importante, sotto questo profilo, la menzione d’un tono «tacitiano»: che evoca una scrittura e una tradizione espressiva nobilissime, ma inclini a violentare le forme consuete della rappresentazione con – le parole sono di Eduard Norden – un «inaudito arbitrio soggettivo». A richiamare le esasperazioni, specie seicentesche, d’una maniera tacitiana sono soprattutto le inversioni e le torsioni sintattiche; o procedimenti, in Gadda piuttosto frequenti, come la personificazione di concetti e l’impiego di sostantivi astratti al posto dei concreti. Le sincopi espressive che ne risultano conferiscono al discorso una fortemente suggestiva, talvolta enigmatica densità. Quando poi l’uso spastico della scrittura è associato a temi di grande respiro, riconosciamo subito uno dei registri più specifici di Gadda, a metà strada – si direbbe – tra la «manierona» e la «maniera risentita» di Baldinucci. Un esempio è nella pagina iniziale del pezzo che, estrapolato dal Racconto italiano, sarà un giorno intitolato Notte di luna: «Un’idea, un’idea non sovviene mentre i sibilanti congegni degli atti trasformano in cose le cose»…

Apparentemente dissonanti con una prosa risentita di tono alto sono, nel Racconto italiano, le pagine umoristiche, di timbro spesso anche se non sempre ilare. Quest’ultima precisazione è necessaria, perché l’uso corrente delle parole umorismo, umoristico ha fatto un po’ dimenticare il significato che esse avevano una volta nel linguaggio letterario: «Per il gran numero, – deplorava già un secolo fa Enrico Nencioni scrittore umoristico è lo scrittore che fa ridere». L’aggettivo originariamente alludeva invece alla teoria dei quattro umori galenici e, in particolare, alla combinazione nella scrittura di qualche spirito bizzarro – di quelli che sembravano tra loro più inconciliabili. «Il motto di Bruno ricordava Dossi in una “nota azzurra” – era “in tristitia hilaris, in hilaritate tristis”, che potrebbe essere il motto dell’umorismo.» E di questa miscela, proprio all’insegna di Giordano Bruno, abbiamo già colto qualche traccia nelle lettere e nelle asinerie o asinità del nostro giovane divino

Più specie di umorismo vengono del resto menzionate sia nella nota sulle cinque maniere che in quella dove si parla di «sarcasmo dispositivo». Quale che sia il significato di volta in volta attribuito al vocabolo, inequivocabilmente umoristici (nel senso genuino della parola, cui Dossi scrupolosamente si era attenuto) sono alcuni tratti non secondari del Racconto. Il più rilevante è nelle riflessioni sul rapporto tra narratore e materia narrata, le quali prevedono, e quasi prescrivono, che lo stesso «autore entri nel gioco». Quando Dossi affermava «Un umorista descrive piuttosto lui stesso che i suoi eroi» non aveva in mente il soggettivismo e l’autobiografismo romantici. L’io dell’umorista poteva – forse doveva – avere qualcosa in comune con la persona storica dello scrittore, ma di questa era soprattutto una proiezione, più o meno fantastica e ironica, elaborata con il pantografo al tavolo da disegno: idea implicitamente fatta propria dal Gadda che proclama la «necessità di creazione di una personalità dell’autore».

Il ruolo decisivo ad essa attribuito all’interno della narrazione – una «ferma misura, che non si può trascurare» – non è associato alla rappresentazione di speciali virtù o qualità: ottime misure possono anzi essere lo snobismo, la fatuità, persino l’«indegnità morale». Ed ecco un esempio: «Il Cellini […] megalomane millantatore nella Vita ci diverte e ci interessa». È la terza volta che incontriamo in Gadda un elogio del Cellini scrittore. A giudicare da questa nota, la sua ammirazione va al narratore che ha saputo schizzare un autoritratto curioso, seducente. Ma altri riferimenti sembrano anteporre al personaggio la mutevole natura delle sue memorie, da Gadda accostate, per la loro «scapestratura», nientemeno che alle tragedie shakespeariane: più ancora delle avventure di Cellini lo affascinano, insomma, quelle di un’affabulazione anch’essa estrosa, discontinua, imprevedibile.

Tuttavia, il «Dramatis persona ego quoque» annunciato in una nota non significa che l’autore debba necessariamente figurare tra i personaggi dello spettacolo; ma che allo spettacolo egli contribuisce, oltre che con il canovaccio, con la regia. Non per nulla ci sono, nel romanzo, luoghi in cui la nostra attenzione è distolta dai fatti raccontati e richiamata sul racconto che l’autore, a suo sindacabilissimo arbitrio, ne fa: «Uno scrittore di polso procederebbe altrimenti, nel presentare»… «Ci dispiace doverlo confessare, perché pare un espediente da romanzieri a corto d’inventiva, ma»… In questa chiave è anche il cenno alle molteplici divagazioni: «Siamo usciti dal seminato: cosa che sarà per capitarci altre volte: finché dai critici, ne sentiremo di belle». Alla responsabilità dell’autore nella presentazione dei fatti non può non corrispondere, inoltre, quella del lettore nel recepirli. Gli appunti preparatorî del Racconto italiano prevedono momenti di «tensione spastica dell’intelligenza dell’autore e del lettore». E un’altra nota ammonisce:…«la materia poetizzata […] arriva a lui lettore, e lui compie in sé l’ultima creazione».

è appena il caso di ricordare che questa ironica messa a nudo dei procedimenti utilizzati, queste chiamate in causa del lettore, sono aggiornamenti di tecniche peculiari d’una specifica, gloriosa tradizione narrativa. Non aveva Swift inserito nel Tale of a Tub una «Divagazione in elogio delle divagazioni»? Il coinvolgimento del lettore nel processo creativo era poi, nella letteratura umoristica, un ingrediente indispensabile. «Nessun autore che conosca i limiti prescritti dalla creanza e dalle buone maniere – Sterne aveva detto – pretende d’essere il solo a pensare: il rispetto dell’intelligenza del lettore consiglia di dividere amichevolmente il compito, lasciando qualcosa da immaginare anche a lui.»

Quanto al ruolo del narratore, Gadda aveva preso in considerazione l’ipotesi di sottolinearne l’ambiguità sin dal frontespizio. Tra i titoli candidati a figurarvi c’era infatti l’ironico Racconto italiano di mediocre autore del novecento: dove quel mediocre aveva forse il compito di preparare il lettore a una delle maniere meno prevedibili, quella «che chiamerò la maniera cretina, che è fresca, puerile, mitica, omerica, con tracce di simbolismo, con stupefazione-innocenza-ingenuità». Più volte richiamata in altre note, questa maniera fintamente goffa è tra le predilette dell’autore: «tocco ironico-scemo», «mia maniera stupita, quasi idiota»… leggiamo in successivi appunti compositivi.

Altri umori prevalgono là dove è in gioco il rapporto del protagonista con il mondo che lo circonda. Si ricordi la sua «irritazione» davanti a certi «tipi utilitarî e pieni di saggezza e di decoro». In un appunto dedicato allo svolgimento del tema Gadda scrive: «Maggior ferita all’orgoglio, maggior ira, maggior follia: quasi Don Chisciottismo, ma non caricaturale, sì reale». Il passo è significativo, perché sembra indicare un terreno sul quale i registri espressivi di matrice umoristica possono intersecarsi con quelli di tono alto delle pagine «filosofiche». A favorire l’incontro è la tendenza degli uni come degli altri a una rappresentazione diversa dalle consuete: ilare o drammatica, ma comunque risentita, «spastica».

Le spinte dispersive, anarchiche che hanno ostacolato lo sviluppo del Racconto italiano non sono venute meno con l’interruzione dell’opera. Se il romanzo si arresta all’inizio del secondo capitolo, la tendenza centrifuga della sua materia continuerà a manifestarsi anche a distanza di anni: rielaborate, le pagine migliori vedranno la luce in vari, eterogenei contesti.

è d’altronde grazie a processi di questa natura che prenderanno forma non pochi libri di Gadda. Visti dall’esterno, in un’ottica puramente bibliografica, alcuni di essi sembrano oggetti costruiti con il «Meccano» o con il «Lego», all’insegna della provvisorietà. Non è però l’artificio combinatorio proprio di questi giochi che ha presieduto a destini così bizzarri, ma la perplessità e la mutevolezza dell’autore: perplessità e mutevolezza cui si associava – non dobbiamo dimenticare – un’insopprimibile vocazione di pasticciante. Penso a quegli operisti del Sette e Ottocento che usavano trasferire la musica di arie o di atti interi delle loro o delle altrui composizioni da uno spartito all’altro. «Più di uno spunto – dice Gadda del Barbiere di Siviglia – il Rossini lo dové togliere ad imprestito dalle sue precedenti opere: altri, se li ritrovava già nell’orecchio, come versi inediti in un cassetto». È comunque segno non piccolo dell’intrinseca qualità di molte pagine del Racconto italiano l’aver esse conservato, in queste peripezie, il loro originario, intenso sapore.

published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859

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