Storie, storiografia e memoria in Gadda

Gian Mario Anselmi

È difficile non percepire quanto la riflessione di Carlo Emilio Gadda su storia e storiografia abbia pesato sul senso ultimo della sua scrittura e sulle raffinate tecniche delle sue procedure narrative non meno che sulla stessa lettura della realtà così come riteneva di doverla trasporre nelle dinamiche romanzesche. Il manzoniano filo della storia, con tutte le metafore tessili connesse (Bologna 1998), si apparenta alle ben note metafore gaddiane intorno al garbuglio, al gomitolo, alla matassa degli eventi del mondo (e dell’uomo nel mondo) così difficili da dipanare. Ma la sicura ascendenza manzoniana delle riflessioni filosofiche ed etiche sul senso della Storia e sulla responsabilità di narrare storie. È solo un tassello (fondamentale, certo, e studiatissimo) di un ben più ampio scacchiere di riferimento per Gadda.

Va cioè subito messo in campo un elemento decisivo e filologicamente determinante per comprendere l’insieme del cantiere narrativo di Gadda: ovvero la presenza continua, quasi ossessiva, nella sua biblioteca e nelle sue letture, di testi storiografici di ogni tempo, anche contemporanei, con una sorprendente predominanza dei grandi storici classici (Livio e Sallustio in primis, Cesare, Svetonio, Tacito, Plinio, Tucidide, ecc.) e dei grandi storici rinascimentali italiani quali Machiavelli e Guicciardini. (1) Del resto l’interesse di Gadda per il pensiero politico e le opere di Machiavelli e Guicciardini, la sua consonanza col loro pessimismo antropologico sono ben noti così come la vera passione per il loro lessico (cognizione è termine ermeneutico decisivo in Machiavelli, e Gadda lo riprende e ripropone con un alone semantico del tutto simile). (2)

Quello che forse è meno noto è che uguale interesse va alle Istorie fiorentine di Machiavelli come alla Storia d’Italia di Guicciardini come a molta storiografia barocca. Gadda approda in effetti alla grande prosa del nostro Rinascimento e del nostro Seicento attraverso le sue costanti letture sette-ottocentesche più che dalla pur rilevante riflessione crociana: ovvero i suoi riferimenti passano da Voltaire a Vico a Muratori e soprattutto via Leopardi (che aveva nella Crestomazia già consacrato il primato della prosa storiografica rinascimentale) e Manzoni e i grandi storici moderni tra Otto e Novecento. Lo storicismo razionalistico di Croce di impronta idealistica-hegeliana è molto lontano infatti dall’approccio gaddiano alla storia la cui esposizione narrativa non ne presuppone alcuna ratio accettabile per l’uomo e ne esibisce al contrario le contraddizioni insanabili secondo i termini di un machiavelliano pessimismo antropologico.

Certo, lo storicismo di Croce (con la sua infaticabile opera di filologo, erudito e studioso di tanta storiografia e della sua storia) aveva segnato il Novecento italiano e non solo, ed è indubbio che abbia contribuito ad aprire (anche in virtù del suo antifascismo) fra gli intellettuali della generazione di Gadda e dintorni l’ineludibile dossier-Storia se non altro, come per Gadda, per contrapporvi polemicamente un’altra possibile ermeneutica, ancorata a certa tradizione storiografica letteraria specie rinascimentale e barocca; che poi per altro proprio Croce aveva rimesso al centro dell’attenzione critica e filosofica, da vero rifondatore, dopo Muratori, e in parallelo con Dilthey, della storia della storiografia o della storia dell’uomo attraverso la storiografia come genere al tempo stesso letterario e filosofico.

Un grande fiume carsico insomma, mai sufficientemente indagato, percorre la tradizione narrativa italiana ed europea e presiede all’origine stessa del moderno romanzo nella sua accezione più radicalmente innovativa ovvero al romanzo storico. La storiografia (specie la storiografia cinquecentesca e secentesca italiana) non è solo serbatoio di spunti narrativi e di figure eroiche, avventurose o demoniache a disposizione del moderno narratore ma influisce direttamente sulle procedure del narrare stesso: la dispositio degli eventi (tecnica sostanziale fin dall’epoca classica del narrare storiografico che influenza direttamente le tecniche narrative del romanzo); la puntuale articolazione tra grande Storia e storie di individui anche minimi come senso stesso dell’uomo nel mondo (riflessione già cara a Dante e ripresa poi magistralmente  da Lorenzo Valla, Machiavelli, Guicciardini, Bandello in una trafila che giunge a Manzoni ed oltre); la elaborazione sempre più complessa della celebre categoria aristotelica (e poi kantiana) di verosimile (categoria su cui oggi occorrerebbe di nuovo riflettere con molta attenzione sia in campo critico letterario che in campo storiografico). Questi sono solo alcuni dei decisivi punti di incrocio della storiografia classica e rinascimentale con la grande tradizione ottocentesca del romanzo: Scott, Mary Shelley, Stendhal, e da noi Manzoni, D’Azeglio e cosi via. (3)

Gadda è così consapevole di simile imponente fiume carsico e delle sue conseguenze sul romanzo moderno che proprio di tale nodo in definitiva fa il cuore pulsante della sua riflessione: prima ancora che le elaborazioni filosofiche e scientifiche dell’Otto/Novecento sono proprio Machiavelli e forse ancor più il Guicciardini della Storia d’Italia che gli suggeriscono la rete complessa e sfuggente delle famose cause plurali cui ricondurre gli eventi dei massimi come dei minimi protagonisti, in un intreccio spesso inestricabile di conflitti insanabili tra la casualità generale delle cose in cui l’uomo è calato e la sua continua lotta per arginarla e farvi fronte. Lo storico allora, come il narratore, si assumono la responsabilità, attraverso la scrittura, di dare un ordinamento al fluire degli eventi, di indagarne le relazioni nel labirinto degli intrecci, di fornire indizi per una ricerca di senso che ancorché inafferrabile dia conto della narrabilità del reale come pista quasi unica per esperirlo e conoscerlo.

La riflessione storiografica in Gadda appare perciò inscindibile dalla sua peculiarità narrativa; ciò che è evidente non solo nella sua costante esplorazione curiosa e talora dissacrante sui nessi tra passato e presente ma nel costante monitoraggio che fin dalla giovinezza egli va effettuando sulle vicende storiche contemporanee in cui si trova coinvolto: la straordinaria diaristica da lui elaborata nel partecipare alla Grande Guerra ne è testimonianza esemplare. Qui il genere autobiografico di gloriosa ascendenza francese e inglese del Journal si coniuga con precise disamine storiografiche in presa diretta con l’accadere degli eventi; né mai a Gadda sfugge il contesto complessivo e spesso inesplicabile in cui la sua singola vicenda e quella di tanti altri militari in campo suoi commilitoni si dipana attraverso inarcature ora tragiche ora eroiche ora sconsacrate (e certamente il modello-Stendhal vi ha giocato un ruolo non secondario).

Ne esce un quadro che va ben oltre il diario del protagonista e oltre persino la descrizione generale delle dinamiche belliche per attestarsi sovente, attraverso la lente spietata della guerra, sul costume (si direbbe con Leopardi) degli italiani, sulle loro non sempre nobili peculiarità quando vagliati alle soglie di prove dure ed estreme. Sicché la memoria e il rammemorare divengono in Gadda subito esercizio di storia contemporanea e riflessione antropologica e sociale, quasi in ideale dialogo con le nuove tendenze storiografiche che appena si andavano affacciando allora sullo scenario specie francese (Bloch e Febvre) che Gadda ancora non poteva conoscere ma che, tutte nell’insieme, testimoniano del nuovo clima storiografico europeo in cui Gadda si colloca ad un punto notevole di sperimentazione, tanto più rilevante in quanto immediatamente da lui ritradotto, anche nelle prove diaristiche, in sicura trascrizione narrativa.

La dinamica tra ansia di ricostruzione storica al crinale tra antropologia , storia del costume e straordinaria sperimentazione narrativa pronta a sfociare nel genere classico dell’invettiva appare dominante poi ovviamente in Eros e Priapo e in ogni pagina (specie nel Pasticciaccio) in cui ferocemente Gadda fa i conti con l’esperienza del Fascismo e la sua maschera grottesca e tragica: qui, pur nella orditura a forti tinte polemistiche e sarcastiche, la retorica dell’esposizione narrativa non prescinde mai da un modello a lungo consacrato nella tradizione storiografica italiana e classica, con radici in Tacito e Svetonio, e poi con Machiavelli, Guicciardini, Sarpi, Giannone e via per li rami.

Anche nel caso della stagione fascista la memoria autobiografica dell’autore sa tradursi in ansia di ricostruzione storica e antropologica  rafforzata da potenti linfe di un gran narrare. Pochi autori in definitiva (e pochi storici), dopo Manzoni, in Italia avevano saputo così ben coniugare i due terreni, ancorandosi a una reinvenzione geniale del verosimile come categoria non solo narrativa ma ermeneutica in senso pieno.  Nasce forse di qui la maestria ineguagliabile di Gadda nell’orchestrare, specie nell’Adalgisa, un testo plurimo tra le storie narrate, dominio del verosimile romanzesco e fortemente radicate nell’Otto/Novecento lombardo (la linea appunto lombarda di Bandello, Manzoni, Gadda), e le note al testo, le chiose d’autore (in un’altalena di rimandi ora giocosi ora ironici ora drammatici tra nota e testo secondo la lezione, cara a Contini, di quell’altro grande lombardo rinascimentale che era stato il Folengo nella sua Macaronea); chiose in cui si accampa il dominio della Storia importante, delle digressioni di lunga durata, dei grandi protagonisti, degli eventi emblematici, degli squarci di storia sociale e di antropologia.

Sicché al testo romanzesco delle storie si appaia, in controcanto, nelle chiose, la Storia, quasi che l’uno mostri l’inestricabilità ultima dell’altra e però al tempo stesso mettendo in campo un ordito testuale di straordinaria originalità proprio perché collocato al crinale tra il verosimile del romanzesco e l’inafferrabile vero della storiografia. Con una sorta di bachtiniano rovesciamento carnevalesco: il narrare d’invenzione o verosimile pertiene al testo principale mentre la Storia viene relegata alle chiose; ma, pare suggerirci il beffardo Gadda/Folengo, è davvero una gerarchia rovesciata o sono le note a determinare il senso del testo o tutto è indeterminabile nelle gerarchie testuali e concettuali come, per la fisica quantistica, nei postulati del principio di indeterminazione di Heisenberg così ben noti a Gadda?

Gadda è nell’Adalgisa (come in quasi tutti i suoi testi, e con mescidanze variabili) perciò al tempo stesso romanziere e storico, consapevole di rielaborare secondo le inquietudini novecentesche la lezione manzoniana non meno che quella degli scrittori rinascimentali e barocchi che richiamavamo. Né è da dimenticare che l’età di Gadda è anche l’età, come ci ha ricordato sovente Ezio Raimondi (Raimondi 1995 e 2003), di Longhi, della grande critica d’arte e della riscoperta del colore eloquente capace di accompagnare e arricchire di suggestioni, descrittive ed ermeneutiche insieme, le più innovative partiture romanzesche del Novecento: non è infatti casuale ad esempio che l’apertura stessa della Cognizione sia innanzitutto una sorta di ritrascrizione letteraria della Ronda di notte di Rembrandt, ulteriore specola secentesca, oltre a quella del romanzo manzoniano e delle scritture storiografiche barocche, entro cui da subito si iscrive la grande opera gaddiana. L’intreccio tra storiografia, pittura, tradizione romanzesca definisce così lo statuto forse più originale e innovativo di Gadda anche rispetto al coevo panorama europeo: le scelte linguistiche così peculiari in lui, insomma la lingua gaddiana con il suo inconfondibile pastiche sono come l’impasto indispensabile a dar conto non solo del gomitolo ingarbugliato, del labirinto (e quindi linguisticamente dissonante) della vita ma anche della pluralità di saperi e suggestioni da cui l’intreccio narrativo/conoscitivo prende il via.

Guardiamo appunto all’Adalgisa, al capitolo Quando il Girolamo ha smesso…: la nota 10 parte da uno spunto sarcastico del testo e sviluppa una straordinaria, ampia, ironica disamina su Napoleone e l’età napoleonica in Italia. O si pensi in Un «concerto» di centoventi professori alle note linguistiche che tracciano, in parallelo al testo, una sorta di storia antropologica milanese e italiana di grande pregnanza. Al Parco, in una sera di maggio alla nota 3 Gadda dispiega squarci storici su Maria Teresa d’Austria, e alla nota 4 fondamentali riflessioni sulla pittura rinascimentale padana. Così nell’Adalgisa la nota 8 è uno straordinario affresco di storia sociale e di costume in continuo andirivieni tra narrazione verosimile del testo e scrutinio graffiante e ironico dello sfondo storico complicato e brulicante. E ovviamente gli esempi potrebbero continuare a lungo, essendo questa tecnica di stratificazione testuale precipua dell’Adalgisa in quanto tale.

C’è una sorta di necessità di memoria in Gadda, un rammemorare continuo che attraversa tutte le sue opere e i suoi testi, innervandone, insieme alla lingua, la peculiarità più distintiva: ma quella di Gadda poco ha a che vedere con la memoria proustiana, è piuttosto una memoria in debito con l’Ottocento lombardo, con la riflessione sulla storia, sul garbuglio dei singoli nel mare inarginabile del fluire del tempo e dei tempi. È una memoria che si appoggia ai saperi del narrare ed è curiosa di geografia: spazio e tempo intrecciano universi paralleli e comunicanti, cronotopi, in cui l’uomo assume la responsabilità del suo esserci. E se nella partita doppia tra testo e note dell’Adalgisa tutto ciò è già ben definito, è nella Cognizione che l’ansia storiografica come memoria e come bricolage tra geografia e storie narranti si fa carta costitutiva dell’ermeneutica gaddiana.

C’è un punto biografico di frattura che porterà Gadda, come tanti altri della sua generazione, a questa altezza di riflessione, come già ricordavamo: ovvero la traumatica esperienza della prima Guerra mondiale, vissuta da ufficiale in presa diretta e poi continuamente ripensata, riscritta, rielaborata quasi a saldare la necessità della propria memoria con l’intreccio della storia degli Stati e delle storie dei singoli che tragicamente l’avevano attraversata.

Altrettanto Gadda, e lo richiamavamo, lavorerà da storico e narratore sull’altra grande frattura della sua generazione, il fascismo, conferma tragica di quel machiavelliano/guicciardiniano pessimismo antropologico di cui già si diceva: tra Eros e Priapo, il Pasticciaccio e tanti altri testi e notazioni Gadda nel narrare una Storia che è anche memoria personale e collettiva al tempo stesso, con ferocia quasi, ne deforma le maschere dei protagonisti colpevoli (Mussolini per primo) mostrando della Storia ufficiale il doppio inquietante e disumano in una sorta di straordinario gioco delle parti tra storico e voce narrante (nel citare in Eros e Priapo il Foscolo di: «Italiani! Io Vi esorto alle Storie» vi chiosa minaccioso: «Pure io. Ma arriva la mia»). Non è casuale che proprio in Eros e Priapo Gadda accusi gli «storici magni» di trascurare la vita quotidiana (gli echi manzoniani e persino valliani sono evidenti) e nel parlare degli appetiti degli uomini (termine per eccellenza machiavelliano) sembra voler scavare, alla Arendt potremmo dire, le radici dei totalitarismi, le ragioni del loro consenso, il senso anche quotidiano della sconfitta di fronte alla terribile banalità del male. (4)

Storia e memoria continuamente insomma operano nella poetica gaddiana a determinarne lo statuto. Addirittura, e con grande efficacia divulgativa, Gadda pratica la storiografia vera e propria in quello straordinario affresco sulla storia francese (cui continuamente Gadda guarda) che è dato dai Luigi di Francia, biografie raffinate e documentate con rigore da vero storico, dei Re Luigi XIII, XIV e XV. E non casualmente ancora una volta ci troviamo di fronte a un affresco storico che si interroga sulle dinamiche del Potere e delle sue articolazioni nella stagione dell’affermarsi dei grandi Stati nazionali e delle Monarchie con le loro vocazioni assolutistiche, guardate in tralice dalla terribile storia novecentesca. Progetto concepito  negli anni Cinquanta per una serie radiofonica mai realizzata ma che quasi certamente (e anche in questo caso non mi pare lo si sia notato) influenzerà profondamente il Rossellini della Presa di potere di Luigi XIV.

E del resto, sul crinale della Storia intrecciata alle storie, sarebbe davvero interessante scavare sui nessi diretti e indiretti entro cui collocarono la loro straordinaria arte narrativa, in letteratura e nel cinema, due protagonisti assoluti e pure così linguisticamente diversi, come Gadda e Rossellini. Il nesso fra loro come fra altri nostri novecenteschi Maestri così apparentemente difformi va forse ricercato in quella responsabilità del narrare  che Gadda evoca nei Viaggi la morte, quando, manzonianamente,  definisce la poetica come un capitolo dell’etica (temi carissimi appunto a Rossellini e al nostro migliore neorealismo come al troppo dimenticato oggi Bacchelli).

È forse da questo crogiuolo che attinge radici in Italia quel filone rigoroso, sferzante, anticonformista che si dirama anche nel grande giornalismo e nelle migliori prove di divulgazione storiografica e di riflessione disincantata e leopardiana sui nostri costumi che prende i nomi ora di Montanelli o di Longanesi, di Malaparte o di Flaiano, di Gianni Brera o di Enzo Biagi fino ai romanzi storici di Sciascia o di Camilleri (per non parlare del grande debito di tutti con Gadda nell’affrontare ciascuno a suo modo il nodo della lingua letteraria con le soluzioni atte a rompere gli impacci retorici del tradizionale bello stile italiano di frigida eleganza formale).

Un filone cui occorrerebbe guardare con attenzione e senza spocchie accademiche, di grande interesse, forse minoritario nelle nostre patrie lettere ma sicuramente uno dei pochi a vera vocazione laica che le abbia attraversate nel Novecento e per cui certamente anche quel Gadda di cui qui si è parlato è stato un referente primario. È il Gadda della Meditazione milanese che parla di «infiniti allacciamenti, inestricabile nodo o groviglio di relazioni», il leit motiv ricorrente e dominante delle sue riflessioni dove il tempo della storia e quello della letteratura si incrociano a formare la partitura straordinaria della sua narrativa.

Università di Bologna

Note

1. Cfr. Nota di E. Ferrero in C.E. Gadda, La Madonna dei Filosofi (Torino: Einaudi, 1973), 133-138.

2. Anselmi & Bonazzi 2008; Vela 1994: 177-194.

3. Cfr. G.M. Anselmi, L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento. Le radici italiane dell’Europa moderna (Roma: Carocci, 2008).

4. In particolare per Eros e Priapo si veda Italia & Pinotti 2008: 7-102.

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-21-3

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