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Nel «garbuglio dei tubi».
Le lettere dell’ingegner Gadda
Claudia Carmina
L’oscillazione tra letteratura e ingegneria segna l’intera vicenda biografica di Gadda, condizionandone profondamente le scelte inventive. Nell’immaginario dell’autore il conflitto tra le due discipline sancisce una dissonanza e rispecchia una dolorosa scissione interiore. Troppo integrato nel mondo dell’ingegneria, e ingegnere troppo a lungo, per considerarsi con disinvoltura un uomo di lettere; troppo allettato dalle lettere, per sentirsi a pieno titolo un ingegnere, Gadda è diviso tra due culture discordanti ma non inconciliabili. Questa opposizione, che resta a lungo problematicamente aperta sul piano dell’esistenza, si risolve invece su quello della letteratura: l’esperienza scientifica si trasforma in una risorsa narrativa, mentre il linguaggio tecnico diventa una componente fondamentale dello stile. Armonizzando insieme le acquisizioni derivate dalla pratica parallela di due mestieri, lo scrittore-ingegnere riesamina le cose della tecnica con l’occhio del letterato, e le lettere con l’occhio del tecnico. Così, scrivendo a Tecchi nel 1926, l’autore difende con convinzione l’originalità di un’opzione letteraria in cui l’urgenza realistica della scrittura sia corroborata dall’adozione dell’«espressione impura (ma non meno vivida) della marmaglia, dei tecnici, dei ragionieri, dei notai, dei redattori di réclames, dei compilatori di bollettini di borsa, ecc.» (Gadda 1984b: 47).
Dalla percezione angosciante di una lacerazione al suo superamento: questa parabola frastagliata, piena di faglie e di discontinuità, è fedelmente registrata nelle lettere che Gadda scrive nella sua veste d’ingegnere, affrontando questioni attinenti ad un ambito strettamente tecnico. In questa prospettiva il carteggio con l’«Ammonia Casale», pubblicato in cinquecento copie a cura di Dante Isella nel 1982, costituisce un osservatorio d’eccezione da cui mettere a fuoco le contraddizioni dello scrittore-ingegnere. L’epistolario comprende 54 messaggi di Gadda e 26 dell’«Ammonia Casale S.A.» e copre l’arco di tempo decisivo che va dall’aprile 1927 al gennaio del 1940 (con una lunga interruzione tra l’autunno del 1931 e la primavera del 1936): sono gli anni cruciali dell’apprendistato letterario, in cui il romanziere fa le sue prime prove pubbliche. Nella corrispondenza si deposita quindi un collaudato repertorio di situazioni e di temi, che riappariranno, variati, nell’opera: il tema del viaggio, inteso come illusoria via di fuga da un reale opprimente e come nomadismo, con la frenetica peregrinazione da un alloggio all’altro; il conflitto tra la passione per la tecnica e la vocazione letteraria; la nevrosi, le ansie, le titubanze che inducono l’ingegnere a rassegnare di continuo le dimissioni, per poi chiedere immancabilmente di essere riassunto; la malattia reale e quella immaginaria, convocata sulla pagina nel preciso intento di differire sine die «gli inevitabili rapporti umani» (Gadda 1983c: 74).
Tuttavia il lettore che, sfogliando l’epistolario con l’«Ammonia Casale», si aspetti di imbattersi nell’ebbrezza verbale e nei guizzi inventivi del narratore lombardo, sotto questo profilo rimane inevitabilmente deluso. Se si escludono certe repentine accensioni dello stile, la parsimoniosa precisione di queste lettere è in apparenza quanto di più lontano possa esserci dai virtuosismi del Gadda scrittore. La sobrietà, la chiarezza espositiva, la linearità della comunicazione, sempre compita e a tratti cerimoniosa, testimoniano una completa adesione alle ragioni del destinatario, salvaguardano la piena accessibilità del messaggio e, al tempo stesso, si fanno specchio di una mente pratica, esatta, geometrica.
Gadda ha un istintiva avversione del disordine: le frequenti missioni all’estero, svolte per montare e collaudare gli impianti dell’azienda nel paesaggio ferroso dei bacini carboniferi della Ruhr e della Lorena, lo mettono davanti all’incoercibile disarmonia del vivere. I fumi e i vapori delle officine, le vampe luciferine delle fabbriche, la mescolanza delle etnie e delle lingue, nella loro ressa irregolare, scompigliano e offendono ogni astratta esigenza di disciplina: il caos rischia di sopraffarlo. Dinanzi ai pericoli del lavoro agli impianti, a fronte della selvatichezza dei luoghi la retorica scarna delle lettere assume una precisa funzione: l’ingegnere affida alla scrittura il compito di «mettere in ordine il mondo», di ripristinare la coerenza e la compostezza là dove scorge il molteplice e il confuso. Ma non sempre l’intelligenza riesce a dominare razionalmente il garbuglio e la bêtise del reale: quando il disordine prende il sopravvento, la controllata impassibilità del dettato s’incrina e l’oggettività del tono espositivo cede il passo all’enumerazione caotica, alla torsione espressionistica. Si tratta però solo di lampi della scrittura, di smagliature prontamente ricucite che sfrangiano, per un attimo appena, la trama rigorosa del discorso.
Se dunque non è possibile concepire questa corrispondenza come un’opera letteraria, se qui la voce del Gadda epistolografo non ha quasi mai la stessa intensità, lo stesso spessore di quella dello scrittore, tuttavia il carteggio con l’«Ammonia Casale» riserva al lettore più di una sorpresa: consente di guardare al mondo dalla prospettiva risentita e parziale dell’ingegnere lombardo, osservando in presa diretta, contemporaneamente a lui, le circostanze, i luoghi, gli incontri, i traumi che popolano la sua vita, pedinando le tappe di quel laborioso cammino che conduce dalla professione tecnica alla letteratura. In altri termini l’epistolario prolunga e alimenta la nostra ammirazione per l’opera attraverso la frequentazione postuma del suo creatore e costituisce una straorinaria cassa di risonanza in cui vibrano, seppur sommessamente e quasi in sordina, le note, i timbri, le voci che poi esploderanno, con improvvisa estroversione, nella partitura narrativa.
Ad emergere dalle lettere è un’immagine mossa e vivida dell’ingegner fantasia, il cui profilo viene a sovrapporsi, senza mai coincidere del tutto, con le tante controfigure dell’autore che s’incontrano nei racconti e nei romanzi: dall’ingegner Baronfo all’Emilio della Madonna dei Filosofi, dal Prosdocimo della Cenere delle battaglie a Gonzalo, dal commissario Ingravallo al commendator Angeloni, da Alì Oco de Madrigal al capitan Gaddus.
Ma c’è di più. Il ritratto di Gadda che ci viene restituito da questa corrispondenza collima solo approssimativamente con la raffigurazione, talvolta stereotipata, fatta circolare dopo la sua morte da tutta una nutrita aneddotica biografica, nella quale il Gran Lombardo è solitamente tratteggiato come un personaggio da commedia: misantropo, goffo, irascibile, vorace, involontariamente grottesco. E se gli autoritratti umoristici disseminati nella prosa narrativa hanno finito per accreditare l’autenticità di questa maschera deformata, forgiata dallo scrittore stesso ad uso letterario, l’epistolario ne smentisce in parte la verosimiglianza. Chi scrive queste lettere è un ingegnere apprezzato, rigoroso, diligente: la considerazione e la stima che gli tributano i colleghi e i dirigenti dell’azienda è tale, da far sì che ne vengano tollerati anche i comportamenti più inopportuni.
Per ripercorrere le diverse tappe di questo lungo percorso che approda all’emancipazione dal giogo fatale dell’ingegneria, occorre però fare un passo indietro e ritornare al settembre del 1925, quando Gadda è assunto dalla società «Ammonia Casale» in qualità di ingegnere dirigente, addetto «ai progetti d’impianti» (Schede autobiografiche, SGF II 874). «La Società “Casale Ammonia” presso cui sono impiegato», spiega Gadda in una lettera a Betti del 14 febbraio 1926, «fornisce a tutto il mondo impianti per ammoniaca, sfruttando un intelligente brevetto italiano del Dottor Casale. Esporta macchinario italiano, lavorato a Napoli, a Firenze, a Milano, a Genova. Io penso con ammirazione a questi miei colleghi e superiori e a voi altri che con tanto onore lavorate in altro campo: e capisco che sono un cretino» (Gadda 1984a: 106). L’ingegnere milanese accetta di buon grado il nuovo lavoro allettato dalla prospettiva di viaggiare per l’Europa. Eppure, sin da subito, percepisce una frattura tra sé e il mondo produttivo che lo circonda. Un senso ossessivo di estraneità e di mutilazione emerge dalle lettere che lo scrittore invia da Roma ad amici e familiari: nonostante la buona accoglienza e la disponibilità dei colleghi, Gadda si sente solo e straniero in un ambiente che non gli appartiene. «Il nuovo lavoro, come prevedevo, è pesante, assorbente», confessa allora a Betti, declinando per lettera il «bollettino della sua vita priva di senso»:
«La sera, tardi, esco stanco dall’ufficio, dopo aver messo a posto un numero inverosimile di tubi che fanno dei garbugli inimmaginabili.» Ecco l’ultimo bollettino della mia vita priva di senso. – […] Adesso devo progettare dei pentoloni per fare il solfato ammonico, che è una sorta di letame, ma dall’aspetto pulito del sale: questi pentoloni pesano più di un elefante, perché sono di piombo; e devono andare in Russia. (1) Io non so come fare perché temo che me li sconquassino sul più bello. – Insomma mi trovo alle prese continuamente con dei problemi a cui non avevo mai pensato: abbiamo mai parlato a Celle dello spedire in Russia pentole di piombo? Che cosa è questa Russia, questo piombo, queste pentole? Credo di impazzire. Voglio propormi a Pirandello per protagonista di un suo dramma. (Gadda1984a: 105-106)
Solo qualche mese più tardi, il 13 aprile 1926 s’inaugura la corrispondenza con l’«Ammonia Casale». La data del telegramma che apre l’epistolario segna l’inizio di un periodo di viaggi e di peregrinazioni. Al 1926 infatti risale la prima missione all’estero dell’ingegnere, che segue la costruzione e il collaudo degli impianti Casale installati in Francia. Dall’Italia al Belgio, passando per la Francia e la Svizzera: queste sono le tappe dell’itinerario malinconico percorso dall’autore tra l’aprile del 1926 e il maggio del 1927. Gli spostamenti sono diligentemente appuntati nel carteggio che, per la puntualità e per la continuità dell’annotazione, può essere paragonato ad una sorta di meticoloso taccuino di viaggio. In queste lettere l’ingegnere si trincera dietro la cortina di una lingua ad alto quoziente di specializzazione e di professionismo per dissimulare la frustrazione e il disagio.
Al di sotto della superficie referenziale e pragmatica del discorso però si iniziano a scorgere, pagina dopo pagina, le spie di un malessere inconfessato, di un’ansia inespressa ma ingovernabile. Un’inquietudine sempre sul punto di manifestarsi, pronta ad esplodere per il più fragile, inconsistente pretesto. Il 28 maggio del 1927, recandosi a Milano, Gadda si accorge di avere dimenticato il passaporto nella sua abitazione romana. Questo contrattempo, in linea di principio affatto rimediabile, lo getta in uno stato allarmante di prostrazione e di irrequietezza. Mosso da un’apprensione irragionevole e via via crescente, nel giro di poche ore, con insistenza sempre più assillante ed esasperata, invia ai colleghi dell’«Ammonia» ben cinque tambureggianti richieste di assistenza:
DIMENTICATO PASSAPORTO SCASSINATE CASSETTO TAVOLO MIA ABITAZIONE INVIATE PER ESPRESSO TRENO PIÙ RAPIDO TRANQUILLATEMI – GADDA – (Telegramma «urgente» del 28.5.27 spedito da Milano alle 12, Gadda 1982c: 15)CONFERMO MIO STOP PASSAPORTO TROVASI MIA ABITAZIONE CASSETTO TAVOLINO STOP ROSSI CONOSCE PADRONA STOP INVIATEMELO URGENTEMENTE PREGO TRANQUILLARMI – GADDA CARLO – (Telegramma «urgente» del 28.5.27 spedito da Milano alle 17 e 30, Gadda 1982c: 15)
Ho dimenticato a Roma il mio passaporto e sono perciò immobilizzato a Milano.
Ho avvertito i Sign.ri Santagostino e Calissano (2) – che mi dissero di fare il possibile per avere il passaporto qui.
Vi ho spedito oggi due telegrammi urgenti rimasti da Voi inevasi.
Per mia norma e tranquillità Vi prego telegrafarmi qualcosa – anche se negativamente – a casa mia:
Via San Simpliciano 2 – Milano
Il passaporto trovasi nel cassetto centrale, chiuso a chiave, della piccola scrivania nella mia camera: Via Ovidio 7 – presso Barelli.
Ho io la chiave.
Prego farlo aprire da un fabbro o tentar di aprirlo: non sarà difficile, essendo la serratura piccola.
Nel cassetto cercate dovunque – ma piuttosto a destra – sotto o dentro una scatola in cartone bianco da dolci. Rovistate, prego, fra le carte.
È urgente me lo inviate per espresso a Milano – Via S. Simpliciano 2. (c’è anche la Piazza per disgrazia).
Scusate il disturbo. Cercate ottenere dalla padrona ciò che chiedo. Se no la cosa ha per me gravi conseguenze.
Confido sulla V. amicizia perché vogliate cortesemente interessarVi di quanto Vi chiedo e dirmi almeno qualcosa.
Attendo con ansia.
(Lettera manoscritta datata «Sabato, 28-5-27. Ore 21. Milano.», Gadda 1982c: 16)PASSAPORTO NON ARRIVATO PREGOVI INFORMARVI POSTA ET CONFERMARMI TELEGRAFICAMENTE CON QUALE MEZZO SPEDITO CALISSANO RICHIEDE URGENTEMENTE MIA PRESENZA LUCERNA – SCUSATE GADDA (Telegramma «urgente» della mattina del 29.5.27, Gadda 1982c: 16)
RICEVUTO PASSAPORTO RINGRAZIO PREMUROSO INVIO PREGO SCUSARMI STOP ANNULLATE MIO PRECEDENTE – GADDA (Telegramma «urgente» della mattina del 29.5.27, Gadda 1982c: 17)
Questa vertiginosa sequenza epistolare scandisce un vero e proprio diagramma dell’angoscia: come un paralizzante lapsus verbale, nella sua anomalia, lascia affiorare i segni della nevrosi che Gadda porta dentro di sé, facendo però ogni sforzo per nasconderla. L’inattesa emergenza dei sintomi di una debolezza nervosa è tanto perentoria da smentire il tono di ostentata convenzionalità delle lettere precedenti, gettando luce sullo scontento dello scrittore e, al contempo, lasciando presagire nel rapporto con l’«Ammonia» la comparsa di un’incrinatura che, di fatto, si andrà acuendo nei mesi successivi.
Non sorprende allora che le lettere scritte tra il giugno del 1927 e il luglio dell’anno successivo ruotino tutte intorno all’asse tematico della malattia. Il leitmotiv della malattia fa la sua prima apparizione nella lettera del 25 giugno 1927, in cui l’ingegnere annuncia che, a causa della febbre, non potrà recarsi al lavoro («ho la febbre e devo stare a casa», Gadda 1982c: 17), per poi ripresentarsi in termini più radicali nell’epistola successiva: «mi sento molto stanco e sono impensierito e scoraggiato per la mia salute: mentre di solito due o tre giorni di riposo bastano a riprendermi, sento già da diverso tempo un grave malessere» (lettera del 23 settembre 1927, Gadda 1982c: 19).
Da questo momento in poi, nelle forme frammentate e discontinue della sintassi epistolare Gadda declina un lunghissimo bollettino medico, in cui il minuzioso elenco dei più svariati malesseri assume la valenza di un espediente per svincolarsi dagli obblighi e dalle costrizioni esterne. Tra lui e il mondo si frappone senza tregua l’ingombrante impaccio del corpo: invariabilmente la produzione epistolare è contrassegnata dal sovrabbondare di riferimenti alla sfera semantica della patologia, della medicina, della corporeità. In questo contesto la malattia acquista il valore di una sorta di marchio di autenticità, da apporre volta a volta alle missive per giustificare i tentennamenti e le mancanze dell’epistolografo e per rendere incontestabile la distanza che lo separa dai suoi corrispondenti.
I segni del disagio e dell’abbattimento si fanno sempre più evidenti: così nell’ottobre del 1927 Gadda comunica oralmente ai superiori la sua intenzione di rassegnare le dimissioni dall’azienda Casale. Si tratta di una decisione sofferta, maturata da lungo tempo: già nell’estate del 1926, a meno di un anno dall’assunzione, Gadda ha annunciato alla sorella Clara il proposito di abbandonare il lavoro. Anche più avanti, scrivendo a Betti l’anno successivo, torna a riconsiderare il progetto di lasciare l’«Ammonia»: «sto pensando di lasciare definitivamente questa vita da adultero, che mi assicura un pane», confessa il 16 luglio, «e di fare uno di quei colpi di testa che fruttano il più delle volte una revolverata al cervello» (Gadda 1984a: 116).
La scelta è però accompagnata da dubbi e tentennamenti: «e se non riesco?», s’interroga ancora nella lettera a Betti, «se la vena è un’illusione del dopo pranzo, se sono uno scalzacane qualunque, cui accoglieranno lo scherno e i rimorsi di aver mancato una vita utile per cercare le farfalle?» (Gadda 1984a: 117). I dirigenti dell’azienda però non sembrano prendere troppo sul serio questa tormentata risoluzione, attribuendone le determinazioni ad un disagio passeggero più che ad una precisa volontà di rottura. A risolvere l’impasse interviene, pochi giorni dopo, una nuova malattia che allontana giocoforza l’ingegnere dal posto di lavoro. Gadda è affetto da un’ulcerazione del duodeno (che darà lo spunto al celebre episodio della Cognizione in cui si descrivono le iperboliche disavventure di Gonzalo sofferente a causa di un’ingorda abbuffata di pesce): l’improvviso manifestarsi del disturbo gastrointestinale si rivela quanto mai provvidenziale, perché collabora a dirimere il nodo che lo tiene ancora legato all’«Ammonia Casale».
In realtà l’allontanamento dalla società, più che dal precario stato di salute, è motivato dalla volontà di dedicarsi alla scrittura e allo studio. Il periodo di lontananza dall’ingegneria, che si protrae dalla fine del febbraio 1928 al maggio del 1929, rappresenta un momento di svolta nella carriera letteraria di Gadda, di cui la stesura della Madonna dei filosofi costituisce l’effetto più appariscente. Sul piano esistenziale i benefici che gli fornisce pretestuosamente la malattia sono impareggiabili: sotto il profilo della maturazione letteraria e del fervore creativo, l’anno trascorso in licenza è tutt’altro che improduttivo.
Alla fine del periodo di congedo, nel 1929 Gadda riprende a lavorare per l’«Ammonia Casale», questa volta in qualità di «consigliere tecnico». Nel febbraio del 1929 scade infatti il termine dilatorio concesso dalla società, che già dall’estate dell’anno precedente è in attesa di una risposta definitiva circa la sua disponibilità a rinnovare il rapporto di collaborazione. Ritornare all’«Ammonia» è un approdo obbligato: «mi fanno delle pressioni perché torni a far l’ingegnere», confida per lettera a Tecchi, «non ne posso più, e solo una risoluzione disperata potrà mettere a posto tutto: e allora capiranno finalmente che cosa significa annoiare la gente» (Gadda 1984b: 75).
Riannodato il legame con la società, dopo un periodo trascorso a Terni, nella seconda metà del gennaio 1930 l’ingegnere è inviato in missione prima a Sterkrade nella Ruhr e poi a Carling, in Lorena, nel dipartimento Moselle, posto «al limes etnografico franco-germanico» (MdI SGF I 122). Questi mesi trascorsi nella zona livida e inospitale dei bacini carboniferi verranno poi rievocati nella prosa Il pozzo numero quattordici. «Non era Francia, non era Germania», si legge nel Pozzo numero quattordici, «c’era una prevalenza di polacchi, di croati, di cechi. C’erano anche, forse, degli italiani. Dei caffè chiusi, da Fratelli Karamazoff, dove si entrava come in una chiesa, per trovarci molti giornali col mànico e certi ceffi!» (SGF I 123-124).
Nell’immaginario dello scrittore Carling è il luogo emblematico del disordine e della confusione. Nella babele delle genti e delle lingue, nella mescolanza delle etnie, questa terra di nessuno si fa specchio di un caos più generale ed esteso, racchiude in sé lo scompiglio di un universo costituzionalmente barocco. Qui Gadda fa esperienza della disgregazione sociale di ogni ordine apparente, immergendosi in «un clima senza passato e senza intimità, dove lo straniero incontra e non saluta lo straniero» (SGF I 123-124), dove le armoniose geometrie della natura sono oltraggiate dalle «vampe rosse» delle fabbriche che «irrompevano a un tratto come lingue del cane infernale e palesavano, illividendoli di una luce improvvisa, gli aspetti faustiani delle officine, i gasometri, i tubi, le torri; apparivano nella notte quelle inaspettate presenze, come pensieri materiati» (SGF I 122).
Dopo Sterkrade e Carling, Gadda si sposta a Tertre in Belgio, per poi tornare a luglio in Germania. I messaggi stesi dal febbraio del 1929 al luglio 1930 consegnano al lettore l’immagine dolente di un «ingegnere viaggiatore», impegnato in una lotta impari con l’avverso destino. Il viaggio reale non appaga quel desiderio illusorio di evasione, da cui sempre Gadda è allettato, ma finisce piuttosto col rivelare «la gelida uniformità degli oceani e dei continenti» (VM SGF I 565). La scena epistolare drammatizza allora la tragedia della solitudine del viaggiatore malinconico che si aggira in un paesaggio popolato di rovine, tra i contorni grigi di una geografia tellurica e infernale. I luoghi in cui sorgono gli impianti si somigliano tutti: ovunque s’incontrano cieli bassi «di cenere», alberelli che emergono all’orizzonte con il loro «scheletro nero, scontorto» (MdI SGF I 249), lande fangose, pantani, miniere, fumi, vapori, officine… In questo senso la descrizione di Tertre tratteggiata nella prosa Tecnica e poesia assume una valenza paradigmatica e sembra compendiare in un unico quadro le diverse immagini delle regioni carbonifere a volta a volta visitate:
E Tertre era proprio una tertre: (3) due metri di sopralivello compatti ed asciutti sublimavano quel luogo in uno spiazzo di gran pregio; tra melme e torbiere un’isola virtuosa, profumatamente pagata. E vi erano approdati mattoni, ruote grandi, enormi casse, ma non di biscotto, lamiere, vergellai, e vi vedevo cumuli di materiale d’ogni genere, travi di acciaio, legname accatastato, assi, cilindri, del macchinario gigante: sparsi un po’ dovunque, come fette di colonne corinzie in certe marine di DeChirico 1931, tra l’erbe, di sotto al radente migrare de’ piovaschi: un volo basso, greve. Baracche di legno per i pezzi più delicati, per i sacchi del cemento, i registri, i magazzinieri (occhialuti vecchietti): e pali con terne di fili maltirati, neri, a raggiungere motori provvisorî. Qualche fucina da campo, alla meglio, braci di coke intenso verso i geli imminenti. Incudini sotto le nuvole fuggitive; come paracarri.[…] Il caos, mesi e mesi, generò l’organismo: «Fabbrica per il fissaggio dell’azoto atmosferico in sali fertilizzanti. Idrogeno dalla cocchiera». Dalla brughiera gasometri, e torri di lavaggio, e colonne; e le allineate dei tetti e dei vetri; e, dentro, i compressori, le pompe; e, più là, muri di laterizio, le casse parallele dei forni a coke. E tubi d’ogni maniera, sfiati, spurghi, ciminiere metalliche: nella landa che fumerà solfo, vapori: tetra. (SGF I 248-249)
Il vagabondaggio nella «tetra» Europa del carbone, per Gadda, è qualcosa di straordinariamente avvincente a pensarsi ma, al tempo stesso, di terribile a viversi. E tuttavia l’autore si riscatta dall’isolamento e dalla disillusione, compensando il frastornante senso di perdita che lo accompagna con la creazione di un mondo di finzione, tutto da governare. Non sorprende allora che nelle pause dal lavoro si dedichi intensamente alla scrittura letteraria, abbozzando la stesura della novella Notte di luna, poi lasciata incompiuta, che, nei suoi progetti, avrebbe invece dovuto concludere il volume della Madonna dei Filosofi.
Nel novembre del 1930 accade una tragedia destinata a segnare profondamente lo scrittore: il 5 novembre si verifica un’esplosione nell’impianto francese di Anzin, nella regione delle miniere di carbone descritta da Zola in Germinal. Gadda invia ai dirigenti dell’«Ammonia casale» un «Rapporto» sulle cause del guasto. Con pazienza, con cautela ricostruisce ed elenca tutti i motivi, le spiegazioni, le cause eventuali e parallele della tragedia. Nessuna ipotesi viene trascurata, ma la proliferazione di dati contrastanti sembra eludere ogni tentativo di razionalizzazione. Così il tentativo di individuare le cause dell’esplosione naufraga e si disperde soverchiato dalla ricognizione della pluralità dei nessi e delle motivazioni concomitanti. L’obiettività del resoconto cede il passo ad una prosa sempre più emozionata e risentita: la pagina epistolare viene assediata e gremita dalla calca disarticolata dei tubi portaresistenza aperti «“a tulipano” (en tulipe)», dalla ressa delle schegge volate via o conficcate nel pavimento, dall’«ammasso di rottami, travi divelte e contorte, tubi contorti e spezzati» che si accumulano accanto alla resistenza «convulsivamente contorta» (Gadda 1982c: 42).
Il disastro di Anzin s’incide nella memoria dell’ingegnere che, nell’intervista rilasciata a Dacia Maraini nel 1968, ancora ricorda con orrore gli «shock gravissimi» subiti in Lorena a seguito «dei lavori che sono falliti, degli impianti che sono scoppiati» (Gadda 1993b: 167). Il contraccolpo emotivo prodotto dall’incidente condiziona le scelte professionali di Gadda che medita di abbandonare ancora una volta il mondo dell’ingegneria.
Nelle lettere successive si mescolano pubblico e privato: per tagliare i ponti con l’azienda, l’autore chiama in causa le urgenze della vita privata. Le epistole del gennaio 1931 indirizzate a Calissano (che è il direttore dell’azienda e il principale interlocutore dell’ingegnere) aprono uno squarcio sul dramma che si abbatte sulla sua famiglia: dopo pochi giorni dalla nascita, ai primi del mese muore l’unica nipote di Carlo, la piccola Lydia, a causa di una complicazione intestinale. Rientrato precipitosamente in Italia, Gadda assiste impotente al dramma della sorella:
Purtroppo queste settimane, che avrebbero dovuto e dovrebbero essere di serenità e di relativo riposo, sono state per me turbate da un doloroso avvenimento famigliare, la morte della mia piccola nipotina, che era nata a mia sorella lo stesso giorno di Natale. L’avvenimento, date speciali circostanze, ha assunto un carattere tragico e ci ha gettato nel più profondo dolore (Gadda 1982c: 47).
Così Gadda informa della disgrazia Calissano, pregandolo di esentarlo dal lavoro e lasciando intendere di non essere più in grado, anche per altri motivi, di svolgere serenamente la pesante opera di montaggio e di collaudo negli impianti esteri. Questa volta però il superiore si mostra inflessibile. Invia sì al dipendente le proprie condoglianze per telegramma e per lettera, ma contestualmente gli rivolge un discorso che non ammette repliche: anche lui ha perso una bambina in circostanze affini ma, a malincuore, si è imposto di anteporre i doveri professionali a quelli familiari e, a soli otto giorni dalla disgrazia, si è allontanato da casa. «Così oggi», conclude Calissano nella lettera del 5 gennaio, «il dovere non permette a lei il conforto di raccogliersi a lungo presso i suoi cari» (Gadda 1982c: 48). Gadda dapprima cerca di prendere tempo, poi, messo alle strette, dopo ripetuti tentativi di mediazione rimasti senza esito, a metà gennaio rassegna le sue dimissioni dall’«Ammonia»:
Lo stato di mia sorella è tuttora preoccupante e già si è dovuto ricorrere a due interventi chirurgici. Io non posso assolutamente lasciarla, se non quando sia avviata la convalescenza. Occorrerà almeno una diecina di giorni. [...] Mi duole assai che questo mio doloroso caso famigliare debba avere una ripercussione sul mio lavoro, ma non posso agire altrimenti. (Gadda 1982c: 53)Esprimo a mia volta il vivo rammarico di dover lasciare la Società: al rammarico, si aggiungono altresì preoccupazioni d’ogni genere. Ma la Provvidenza, che ha voluto così duramente provarci, in qualche modo vorrà sovvenirci dipoi.
[…] Purtroppo lo stato attuale di mia sorella richiede la mia presenza qui per diversi giorni: è il periodo delicato e pieno di inquietudini che segue alla grave operazione subita: la febbre ritorna, a intervalli. Perché Ella possa meglio rendersi conto del vero stato delle cose, mi permetto aggiungere che la nostra mamma, per l’età e le occupazioni, non è più materialmente in grado di affrontare le fatiche morali e materiali di un trasferimento qui, di una continua presenza nella clinica: mio cognato ed io, sebbene impreparati, abbiamo assolto a questo dovere e la nostra continua e vigile presenza ha dato coraggio all’ammalata e ha provocato da parte dei sanitari interventi pronti ed efficaci. –
Se mia sorella guarirà prontamente, come fervidamente spero, sarò ben lieto di esserle stato vicino in questo grave periodo. –
Ho accennato alle circostanze di cui sopra perché Ella possa avere la certezza che, chiedendo una dilazione al mio ritorno sul lavoro, non ho ascoltato se non la voce del dovere famigliare, ben sapendo come in certe situazioni la presenza degli interessati possa avere un valore decisivo. (Gadda 1982c: 54)
Il mistero della morte sancisce, una volta per tutte, il destino infecondo dei Gadda: il processo della generazione e la catena della discendenza si inceppano irrimediabilmente. Lo scrittore è assalito da una disperazione violentissima; il dolore della sorella Clara è immenso. Da questo momento la donna precipita in una follia ossessiva e malinconica: cerca di surrogare con ogni mezzo la sua maternità mancata, progetta di adottare sempre nuove figlie. Di lì a poco, nel Pasticciaccio la nevrosi di Clara diventa la nevrosi di Liliana. O piuttosto l’una alimenta l’altra, perché Clara finirà per ripensare la propria storia sovrapponendola a quella fittizia del personaggio ritratto dalla penna del fratello. Come in un gioco di specchi, la realtà e la fantasia si riflettono a vicenda, entrano in collisione e s’influenzano reciprocamente.
Il lutto del 1931 ha delle inevitabili ripercussioni sulla parabola esistenziale del narratore. L’abbandono dell’ingegneria ne rappresenta la conseguenza più estrema ed immediata: Gadda utilizza i soldi della liquidazione per autofinanziare la pubblicazione della Madonna dei Filosofi che in primavera esce in volume per le Edizioni Solaria. Nel giro di pochi mesi lo scrittore stende la novella San Giorgio in casa Brocchi, che viene pubblicata a giugno; inizia a collaborare con L’Ambrosiano; comincia ad ideare lo schema di Un fulmine sul 220.
«Adesso mi propongo di dare un tal colpo di timone», si ripromette scrivendo al cugino, «che nessuno oserà più chiamarmi “ingegnere” e “competente”, ma solo “scribacchino fesso”» (Gadda 1974c: 21). Così, compilando il 27 settembre 1931 un formulario dell’esercito, per la prima volta dichiara di svolgere la professione di «scrittore-pubblicista». Purtroppo, però, come ha modo di ricordargli Calissano, «la letteratura, quando non si esprime in opere teatrali […] non dà che gioie spirituali, e queste non sono, per disgrazia degli umani, sufficienti a tutte le necessità della vita…» (Gadda 1982c: 70). Gadda non tarda ad accorgersene e, dopo avere inutilmente contattato la «Pirelli», il 23 ottobre chiede all’«Ammonia» di essere assunto nuovamente. La sua richiesta è respinta. Da qui la necessità di trovare un’altra occupazione nel campo dell’ingegneria e il conseguente trasferimento a Roma, per lavorare presso i Servizi Tecnici della Città del Vaticano.
A questo punto il carteggio con l’«Ammonia» s’interrompe per alcuni anni, per poi riprendere nel 1936. Se fino al 1931 il dialogo epistolare è stato caratterizzato dalla regolarità e dalla tempestività del botta e risposta, adesso invece s’infittiscono gli intervalli di silenzio che s’inseriscono tra una lettera e l’altra, a tutto vantaggio di una scrittura occasionale, sempre legata a circostanze e ad occorrenze concrete.
La lettura di queste ultime missive solleva più di un problema. Un primo elemento di complicazione deriva dal fatto che Gadda, sia negli epistolari coevi sia nelle tante dichiarazioni autobiografiche, non fa alcun riferimento al rinnovarsi del suo rapporto di collaborazione con l’«Ammonia». Vale a dire che l’ingegnere mente per omissione, tralasciando di menzionare una circostanza biografica che pure è palesemente documentata dal carteggio. Al più, compilando nel 1963 una scheda biobibliografica su richiesta di Angelo Guglielmi, accenna cautamente ad un «ritorno di fiamma» per l’ingegneria nel biennio 1936-1937 (Schede autobiografiche, SGF II 875).
Analogamente, scrivendo al cugino nel novembre del 1937, allude sommariamente a «passaggi da Milano per lavoro» e a «nuovi incarichi […] meglio retribuiti» che «sorgono all’orizzonte» e rappresentano «una tentazione per lui che ha bisogno di campare in qualche modo» (Gadda 1974c: 45-46). Ma l’ingegnere resta estremamente reticente a questo riguardo e fornisce soltanto pochi ragguagli vaghi ed ambigui. Per ricostruire la trama di rapporti che lo lega in questi mesi alla società, occorre risalire allo scambio epistolare con Calissano del maggio ’36. Il 2 aprile è morta la madre di Carlo, Adele Lehr. Il figlio sprofonda in una «disperata solitudine» (Gadda 1984b: 125), assillato dai rimorsi e da un «tormento» senza requie.
Informato del fatto, Calissano rivolge prontamente le sue condoglianze all’ex dipendente; dal canto suo Gadda, nel ringraziare l’«Egregio Dottore», coglie l’occasione per avanzare una proposta: chiede l’autorizzazione per scrivere un articolo sugli esperimenti che l’«Ammonia» sta conducendo al fine di utilizzare l’ammoniaca come carburante. Nel 1937 escono Azoto atmosferico tramutato in pane, Pane e chimica sintetica e Automobili e automotrici azionate ad ammoniaca. La pubblicazione di questi articoli è il frutto di una scelta strategica: per vie traverse l’autore si guadagna la gratitudine dell’«A.C.S.A.» che, lusingata dalla sua opera di promozione giornalistica, non tarda a riassumerlo.
Così dal 1937 al 1940 Gadda riprende a lavorare per l’azienda in veste di collaboratore esterno, col compito di espletare degli incarichi temporanei, occasionali, ma estremamente problematici. L’impressione, in altre parole, è che la nuova incombenza sia senz’altro spinosa o, per meglio dire, «delicata», come l’autore la definisce in un’epistola a Calissano: «voglio darLe assicurazione che Lei avrà in me la più ferma volontà di adeguamento alle necessità di una collaborazione anche varia e discontinua, e comunque delicata» (Gadda 1982c: 78).
Già dalla lettera del 4 ottobre 1937 si comprende immediatamente quanto sia ardua e riservata la missione affidata all’ingegnere, che prende contatto con diverse ditte del settore per trattare l’acquisto di una condotta forzata «di tipo saldato e blindato per alte cadute» e per richiedere dei preventivi in merito alla fabbricazione di turbine idrauliche, di valvolame speciale, di macchinari raffinati e di apparecchiature elettriche. Queste acquisizioni sono destinate alla costruzione e all’istallazione di una centrale. Ma la questione si complica. Gadda ha l’obbligo di non rivelare il nome della «società od ente interpellante (cioè la Ammonia Casale S.A.)»; non può indicare «il paese (Messico)» nel quale è previsto che sorga l’impianto; non può specificare «in quale valuta estera verranno fatti gli eventuali pagamenti – o una parte di essi» (Gadda 1982c: 75). In queste condizioni è impossibile concludere la trattativa. Le industrie consultate, che, a giudizio dell’ingegnere, sono «serissime e abituate ai segreti», hanno comunque bisogno di ricevere maggiori informazioni in proposito.
La risposta di Calissano non si fa attendere. Il 6 ottobre il direttore comunica le nuove disposizioni della società, insistendo sul fatto che tutta la pratica deve necessariamente passare attraverso la mediazione di Gadda. A questi è raccomandato di fornire le poche notizie indispensabili in termini assolutamente generici, occultando il più possibile le significazioni troppo esplicite:
Deve restare ferma la raccomandazione fatta di evitare l’intervento degli Agenti Regionali.
Qualora i costruttori insistessero per conoscere il Paese al quale questo materiale dovrebbe essere destinato voglia indicare «che si tratta di un Paese dell’America del Sud» senza dare ulteriori precisazioni in proposito.
Circa la valuta si può indicare che si cercherà di indicare che il pagamento venga fatto in Lire Sterline o in Dollari (U.S.A.). (Gadda 1982c: 77)
Non si hanno notizie circa l’esito della contrattazione. L’unico dato certo è che in Messico non è mai stato allestito nessun impianto dell’«Ammonia Casale». Resta il fatto però che proprio nel Centro America sorgono gli stabilimenti della BASF, l’industria tedesca che in previsione della guerra produce ammoniaca convertibile in esplosivi, aggirando così il divieto imposto alla Germania in materia di armamenti. Se negli anni Venti la BASF costituiva il più temibile concorrente dell’«Ammonia», a quest’altezza cronologica i rapporti tra i due gruppi industriali si sono normalizzati a seguito degli accordi stipulati tra il governo fascista e la dirigenza dello Stato tedesco. Che gli sforzi dell’ingegnere lombardo abbiano finito col potenziare involontariamente la macchina bellica della «belva tedesca» (Gadda 1974c: 66)?
Nessun documento permette di ricostruire fedelmente la vicenda; ogni ipotesi è azzardata e sfuma in altre ipotesi possibili. Né lo spoglio delle lettere aiuta a districare completamente il groviglio degli eventi. E difatti nelle ultime battute del carteggio si snoda tutto un fitto reticolo di silenzi eloquenti ed enigmatici.
Sul piano delle vicende private queste epistole dicono di più, restituendoci l’immagine complessiva di un globe-trotter irrequieto e volubile che si sposta senza sosta tra Milano, Roma e Firenze, passando da un alloggio all’altro, da una pensione all’altra, tanto da considerarsi «reduce da tutte le pensioni e da tutte le camere d’affitto dell’universo» (RR II 812). I frenetici pellegrinaggi, i mutamenti di domicilio, gli obblighi lavorativi adesso convivono con l’impegno letterario.
Nel suo complesso l’epistolario di Gadda con l’«Ammonia Casale» disegna una parabola. All’inizio, nel 1927, lo scrivente è un ingegnere con segrete aspirazioni letterarie; col passare del tempo si accresce la sua insoddisfazione per la schiavitù imposta dall’ingegneria e, di pari passo, tra dubbi e tentennamenti, si va rafforzando in lui la volontà di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e agli studi filosofici. La giostra epistolare delle richieste di congedo e delle dimissioni, ogni volta puntualmente ritirate, è il segno più appariscente di questa oscillazione incessante tra letteratura e ingegneria. Le ultime pagine dell’epistolario ci consegnano però un quadro del tutto diverso. Quando nel 1937 inizia a stendere La cognizione, Gadda ha passato i quarant’anni e, guardandosi alle spalle, scorge solo un cumulo di esperienze contraddittorie che lo hanno condotto alla maturità senza un lavoro definitivo, quasi ignoto al pubblico dei lettori, con al suo attivo qualche racconto, alcuni saggi e pochi romanzi incompiuti.
Mentre deluso dal grigiore dell’esistenza s’impegna nel disbrigo di tortuose pratiche industriali per conto dell’«Ammonia» e redige, su incarico di Calissano, una relazione sulle capacità dei forni Didier-Fiorelli, contemporaneamente va scrivendo quello che giudicherà il più importante tra i suoi libri. Gli anni dell’ingegneria non sono stati spesi inutilmente: adesso le relazioni complesse che intervengono a comporre il tessuto del reale non gli sembrano poi tanto dissimili da quelle chiamate in causa nel montaggio di una centrale. Finalmente Gadda può guardare alle lettere con l’occhio del tecnico e costruire la sua opera, rigo dopo rigo, con la logica analitica e la perizia artigianale dell’ingegnere. La voce onnivora del narratore è pronta ad accogliere l’«espressione impura (ma non meno vivida) della marmaglia, dei tecnici» (Gadda 1984b: 47) e si abbandona con furia mimetica a rappresentare il guazzabuglio del mondo.
Il cerchio si chiude. Il lungo racconto epistolare, protrattosi in modo intermittente per più di dieci anni, rivela di non essere altro che la rappresentazione, fatalmente incompiuta, di un destino. Dopo innumerevoli prove, al termine di questo percorso l’ingegnere diventa a tutti gli effetti uno scrittore.
Università di PalermoNote
1. In U.R.S.S., a Rastiapino, l’‹‹Ammonia Casale›› ha costruito una fabbrica nel 1926.
2. Guido Santagostino è il direttore tecnico dell’«Ammonia». Come documentano le lettere conservate nell’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti», Santagostino intrattiene frequenti contatti epistolari con Gadda. Oltre ai messaggi concernenti questioni di lavoro, assai spesso le sue lettere ospitano incoraggiamenti e consigli dispensati al riottoso dipendente milanese nel tentativo di confortarlo nei momenti di difficoltà. Luigi Calissano è invece il Direttore Generale dell’azienda. Dal dicembre 1927, Calissano sarà anche il più assiduo corrispondente e il principale interlocutore di Gadda all’«Ammonia Casale».
3. Il gioco di parole tra Tertre, nome proprio di località, e tertre, nome comune, è così commentato da Gadda in una nota al brano: «Tertre, nome di località, significa elevazione del terreno, a superficie pianeggiante: piattaforma elevata» (SGF I 248). Il gioco di verbale si prolunga nelle ultime battute del brano, dove l’aggettivo «tetra», per l’assonanza del significante, richiama fonicamente il nome «Tertre».
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-19-1
© 2011-2023 Claudia Carmina & EJGS. First published in EJGS, Supplement no. 9, EJGS 7/2011-2017.
Artwork © 2011-2023 G. & F. Pedriali. Frame image: after a detail from Vittore Carpaccio, Arrival of the English Ambassadors at the Court of the King of Brittany, 1495-1500, Galleria dell’Accademia, Venice.
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