Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Amici milanesi

Marco Gaetani

Gli amici milanesi di Gadda appartennero tutti al «ceto mercantile e politecnico»: compagni di studi (nel caso di Luigi Lulù Semenza fin dai banchi liceali: questa ed altre notizie, quando non diversamente specificato, si desumono dalla Introduzione e dalle note della curatrice Emma Sassi alla raccolta di Lettere agli amici milanesi – Sassi 1983: passim) e di giovinezza con i quali i rapporti andranno fatalmente attenuandosi (e profondamente modificandosi) nel tempo, demandati quasi del tutto allo scambio epistolare e a sporadici incontri non certo dovuti all’iniziativa del sempre più distante Gadda. Ambrogio Gobbi, Domenico Meco Marchetti e il già citato Luigi Semenza furono tutti destinati, per estrazione di classe e per formazione, a quella carriera ingegneristica cui invece l’autore riuscirà infine, e pur non senza fatica, a sottrarsi. Ecco allora che gli antichi compagni di gioventù («gli unici amici milanesi di Gadda, gli unici compagni di giovinezza con cui egli rimarrà in contatto per tutta la vita» – Sassi 1983: viii) saranno guardati dall’autore ormai maturo e dedito esclusivamente alla letteratura con un misto di invidia (per la normalità borghese delle loro esistenze di solidi professionisti con mogli, prole ed infine nipotesca discendenza) e di malcelata insofferenza: per il filisteismo lombardo che alla lunga li ha rivelati lontanissimi, oltre che dagli ideali giovanili, dagli interessi e dalle frequentazioni cui il Gadda fiorentino prima e romano poi sarà soprattutto dedito.

è anzi forse possibile definire il gruppo degli amici milanesi dello scrittore anche in rapporto contrastivo rispetto a quello fiorentino – cui l’autore rimase sempre affettuosamente legato ad onta degli inevitabili scatti d’umore (cfr. Cattaneo 1991: 137-38) –, e a quello romano, composto dai vari Parise, Pasolini, Roscioni, Citati, dallo stesso Cattaneo e da altri. Se nei confronti degli amici fiorentini e poi di quelli romani il ruolo di Gadda si definisce sempre di più (e per il gruppo romano valgono inoltre considerazioni di carattere anagrafico) come quello dell’outsider, del personaggio originale dickensiano ben presto al centro di una succulenta aneddotica, solo nel caso degli amici milanesi del periodo giovanile è possibile parlare di un sodalizio d’impronta invece propriamente fraterna, con tutte le implicazioni che l’aggettivo può comportare quando sia riferito all’esperienza di Gadda. I compagni della giovinezza costituirono infatti quel gruppo di pari i cui componenti, nei ben noti termini sartriani, appaiono reciprocamente coesi in virtù di un caldo sentimento di fusione (con ogni probabilità quello stesso struggentemente rievocato nella rappresentazione degli adepti dell’Adalgisa, nel racconto omonimo). Con l’apporto della particolare sensibilità gaddiana: è verosimilmente possibile allargare ai vari Gobbi, Marchetti, Semenza (e sarà forse da aggiungere a questi nomi anche quello del nipote-cugino-amico Emilio Fornasini) l’osservazione di Roscioni circa l’eccessivo tasso di affettività che lega reciprocamente i membri della famiglia Gadda (Roscioni 1997: 114-15). Ciò non significa certo che l’investimento affettivo dovesse essere unidirezionale: si pensi anche soltanto, per comprovare il contrario, all’episodio (rievocato da Roscioni 1997: 190) che vide protagonista Luigi Semenza alla partenza di Gadda per l’Argentina: l’amico (quello cui forse lo scrittore fu maggiormente legato: cfr. ad esempio la lettera del 9 settembre 1961 a Domenico Marchetti, in cui si commenta la scomparsa dell’«amico degli anni lontanissimi e di tutta una vita» come «un po’ il segno della fine anche per ») non solo riempie il partente di «attenzioni commoventi» ma addirittura si preoccupa di attenuarne la prevedibile prossima nostalgia precedendolo all’estero con una affettuosa lettera.

Indubbiamente, tuttavia, la caratteristica serietà dell’impegno affettivo gaddiano (quale si evince soprattutto, e ad onta del prevalente tono goliardico-cameratesco, dall’epistolario superstite: «esattamente trentuno lettere vere e proprie, dodici cartoline postali, tre biglietti e cinque cartoline illustrate»; e si consideri che manca, ad eccezione di un unico esemplare fortunosamente conservato, la corrispondenza indirizzata da Gadda proprio al giovane Semenza – cfr. Sassi 1983: xi-xii; ma si avverte che nel computo della curatrice appena riportato sono comprese anche le lettere e le cartoline a Maddalena Marchetti, sorella di Domenico) esorbita rispetto ai canoni, per quanto tradizionalmente improntati a trasporto e larghezza, dell’amicizia giovanile.

Ciò che unisce il futuro scrittore ai suoi giovani sodali sembra essere – oltre che la esperienziale condivisione dei vissuti – una comunanza di ideali, di sogni, di progetti, di valori (si pensi ad esempio alla presa di posizione nazionalistica, sancita dalla «lettera ardentemente irredentista» a firma comune inviata al Popolo d’Italia e pubblicata nel numero del 22 maggio 1915 – Roscioni 1997: 98-100). Ma se i giovani rampolli della «ricca borghesia milanese» smaltita la sbornia bellicistica si dimostreranno, come facilmente prevedibile, ben capaci di rientrare nei ranghi e di porre giudiziosamente fine alla moratoria eslege che loro concesse l’età adolescenziale e giovanile, Gadda invece no: con meccanismo caratteristico, egli sembrò voler tenere invece ostinatamente fede (certo a modo suo, e con altri mezzi rispetto a quelli preventivati durante la giovinezza) a slanci e valori da lui evidentemente assunti, come già notato, con una serietà insospettabile ai suoi compagni, per essi inconcepibile.

Così, in un certo senso, Gadda non vorrà tradire le profonde ragioni e gli intimi sensi di un mondo utopico-ideologico – quello appunto di una giovinezza tormentata lirica ed eroica – i cui legami con la stessa mitica felicità infantile (nel gioco del Ducato di Sant’Aquila, esemplarmente) sono ancora tutti da indagare: e beninteso a partire dalla gaddiana scrittura letteraria, proprio.

L’epistolario raccolto da Emma Sassi, allora, si apre e si chiude su due testi significativi. Il primo – che inaugura la sezione delle Lettere dal fronte (1915 – 1917) e che precede, come sottolinea la medesima curatrice, la stessa intrapresa del Giornale – accomuna eloquentemente gli amici in un unico indirizzo. E manifesta un impegno inventivo che deve essere ricondotto alla verve goliardica di quelle «asinerie» prebelliche di cui si dovrà dire poco oltre; l’ultima, nel tono laconico e un po’ lugubre del vecchio Gadda, rivolgendosi all’ultimo compagno superstite (Marchetti) testimonia, chiudendo la sezione civile (1932 – 1969) dell’epistolario, di quello sconcertante episodio (del «feràle ammonimento» – Cattaneo 1991: 164-65, e Sassi 1983: xxv-xxvi) che manifesta un uomo ormai quasi del tutto scollato dalla realtà e come proiettato in una dimensione onirico-allucinatoria (ma si vedano, sempre a proposito dei riflessi del declino di Gadda anche sul rapporto con gli antichi compagni, pure le lettere a Gobbi legate alla vicenda della seconda edizione, incredibilmente riveduta, del Giornale – cfr. di nuovo Sassi 1983: xxiii-xxiv).

Al di là della ineludibilità del sodalizio con gli amici milanesi, e del relativo carteggio, per ogni perspicua ricostruzione di carattere biografico concernente l’autore di Quer pasticciaccio e della Cognizione, tali sodalizio e carteggio sembrano assumere una importanza altrettanto decisiva se si considera che proprio nel gruppo dei Divini (per cui cfr. diffusamente Roscioni 1997: 89-104) sembra aprirsi il crogiuolo in cui se non altro germina e trova sfogo la vocazione letteraria del giovane Gadda (così Dante Isella, nella Nota al testo del Racconto italiano, SVP 1258, non esita ad annoverare «le estrose lettere agli amici milanesi» accanto alle prime prove narrative e al Giornale, quali significativi incunaboli dell’opera a venire). E ciò tanto più se è vero, come tra le altre cose pare voler suggerire Roscioni (in part. Roscioni 1997: 99 ss.), che proprio nelle «asinerie», nei «poemazzi schifi» quasi collettivamente redatti nell’entourage amicale della giovinezza sia da rinvenire la radice dello sperimentalismo linguistico gaddiano, e almeno di uno dei modi, il più fumista e naïf, delle sue cinque proverbiali maniere. Ma soprattutto, sembra di poter affermare, già in tali lettere e in quelle «asinate» emerge quel caratteristico legame tra la parola (e il suo trattamento amorosamente irriverente) e l’esperienza della vissuta e vivente intersoggettività che non mancherà di contraddistinguere la scrittura di Gadda anche nei suoi esiti letterariamente più maturi (e tuttavia sovente paradossalmente ermetici). Fin dalle lettere agli amici milanesi, infatti – e al di là del soverchiante registro goliardico, dell’ammiccamento a una comune esperienza e del ricorso a un quasi iniziatico codice condiviso –, la scrittura appare sentita da Gadda nella sua irrinunciabile valenza comunicativa e finanche dialogica, come il cemento di una comunità d’anime e forse addirittura come un ponte d’amore in grado di superare i gretti egoismi e di neutralizzare le più sterili e meschine convenzioni.

In questo senso, pure la parola letteraria (come quella epistolare di matrice goliardico-amicale) sarà per Gadda sempre motivata nel profondo di una esperienza che per il fatto di essere anche dolorosamente individuale, ed intima, non cessa mai per questo di configurarsi come intrinsecamente comunitaria, appunto intersoggettiva (con particolare riferimento al «sistema autore-lettore»).

Tanto di più si comprenderà la disillusione – questo tratto ricorrente, determinante e peculiare dell’esperienza gaddiana – di fronte alla defezione degli antichi compagni. Ancora una volta l’individuo ipersensibile ed estremamente incline alla istanza ideale deve constatare come il Valore sia destinato a ribaltarsi nel suo contrario; l’utopia di una coesione sacra, di una superiore «comunità d’anime» prefigurazione e paradigma di una umanità finalmente tutta redenta, si distorce allora in deforme distopia.

In piena epoca borghese «un individuo era meno individuo di oggi», scrive Roscioni (Roscioni 1997: 105), a spiegazione di una oggi difficilmente comprensibile relazionalità: la quale al tempo della giovinezza di Gadda poteva in effetti inopinatamente allargarsi dagli amici ai loro parenti più o meno prossimi. E infatti: gli amici con cui il giovane Gadda aveva sognato un rapporto puro ed esclusivo recano invece con sé le proprie borghesissime famiglie (ascendenti e discendenti), l’«ambiente» giunge a contaminare la dimensione altra e separata costituita dal gruppo amicale, e finisce per trionfare sul generoso conatus della giovinezza: lo estingue. Così anche i «divini amici» si lasceranno varare, e solo Carlo Emilio, ingegnere suo malgrado, troverà tuttavia il modo di continuare ad essere ostinatamente il Gaddus, un bislacco, donchisciottesco e dolente duca di Sant’Aquila (si legga allora in questa prospettiva, negli Accoppiamenti giudiziosi, un racconto notoriamente a chiave come La cenere delle battaglie).

Gli antichi amici milanesi, «inascoltati consiglieri e modelli di una regolarità professionale e domestica inattingibile alla solitaria irregolarità del “Duque Gaddus”» – così Italia 2003d: 12; dell’Introduzione al volume della mostra gaddiana tenutasi a Firenze, presso l’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti» del Gabinetto Vieusseux, tra il novembre 2003 e il gennaio 2004, si segnala inoltre, per l’argomento oggetto di queste righe, la sezione n. 8 della II parte, pp. 77-84 –, diverranno allora l’epitome di quella stessa odiosamata borghesia (milanese) nei confronti della quale Gadda fatalmente finisce per essere un Robespierre sempre significativamente sospeso ed oscillante: tra spietatezza e indulgenza, furore satirico ed elegiaco rimpianto.

Università di Siena

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

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