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Vanquishing the Dragon
E ogni scrittore è un predicato verbale (coordina) che manovra un complemento oggetto (il dato linguistico). E questo complemento oggetto relutta, come un serpentesco dragone, al dominio e alli artigli del predicato. (SGF I 476)
E così come la serpe ci contorciamo in uno spasimo folle, e vano, cui la spada folgorante dell'Arcangelo abbia raggiunto. (SVP460)
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Annitrendo con la rabbia d’un inferocito gatto s’impenna, ed acùmina più che corni gli orecchi, il cavallo: raspando l’aere, con zoccoli, sopra al reluttare del dragone resupino: il qual mostro ha spalancate le fauci: di che lingueggia, come lista di fiamma, la sua lingua ontosamente impudica. Ma il Cavaliere glie l’ha drizzato per entro caverna, il buon colpo, e trafitto della su’ lancia il palato, e dritto dritto quegli indimoniati bulbi, e cervella.
Accade tuttociò nel «San Giorgio» di Cosimo ovvero Cosmè Tura (1430 circa - 1495): ed è tela rappezzata di duo metà che decoravano, dall’esterno, le portelle dell’organo del Duomo di Ferrara, mentre l’Annunciazione le decorava dall’interno. Le immagini e l’aggettivo «araldico» si erano già coagulate in un testo nel 1934: la «Esposizione della Pittura Ferrarese del Rinascimento» è dell’estate 1933: e lo scrivente, ebbro, vi trascorse indimenticabili ore. Nel bellissimo catalogo te tu vi leggi, a pagine 46-47, di penna di Bernardo Berenson (in traduzione): «Il Tura è un grande maestro del grottesco, e della sua forma più alta: il grottesco araldico, il blasone. Gli esempi di grottesco, per nulla affatto incoscienti, ed anzi perfettamente voluti, abbondano nelle sue opere. Ha tutto un serraglio di animali simbolici, e se dipinge un cavallo, come nel San Giorgio, gli dà, come farebbe un armaiuolo, il frontale di un cavallo araldico, da torneo». Al genio, nonché all’arte del Tura, alla sua formazione ferrarese, alla sua coerenza spietata, ossessiva, nata da «una immaginazione che fiorisce sul metodo», dedica magistrali note e pagine il Longhi: Roberto Longhi, in Officina Ferrarese, Roma, Le Edizioni d’Italia, 1934-XII, pp. 33 e sgg. Accenna, l’insigne critico, alle «follie più feroci del Tura e del Crivelli, alla dolorosa eleganza del giovine Bellini, alla speciosamente rigorosa grammatica mantegnesca». Se ne ripete l’origine «da quella brigata di disperati vagabondi, di sarti di barbieri di calzolai e di contadini, che passò per un ventennio nello studio dello Squarcione. Anche il Tura è «di Squarcione», come firmavano lo Schiavone e lo Zoppo. Anch’egli dà un’interpretazione medievale, irrealistica, del Rinascimento, e si educa sognando all’ombra dell’altare criso-cupro-elefantino di Donatello».
«Che cosa sortisse da questo incontro di spiriti antichi e di problemi moderni nel temperamento feudale, ghibellino, di Cosmè Tura, cortigiano di Borso d’Este, è a tutti noto». E più avanti ancora ragiona della sua architettura che dà nell’assiro e nel salomònico», di «turbini impietrati», di «una natura stalagmitica», di «un’umanità di smalto e di avorio con giunture di cristallo», di «cieli di lapis azzurro», di «tramonti di croco ossificato». Leggi: e te tu vedrai.
RR I 504-05
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Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
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artwork © 2000-2025 by G. & F. Pedriali
framed images: details from Cosmè Tura, St George and the Princess, 1469, Ferrara Cathedral
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