Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
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Romanzo poliziesco
Guido Guglielmi
Il romanzo giallo sviluppa un preciso programma narrativo. Dalla scoperta di uno stato di colpevolezza, un delitto commesso, si passa alla ricerca delle cause, alla rimozione dei falsi indizi, e infine all’individuazione del colpevole. È una struttura, ha osservato H. W. Auden, che si ritrova sia nella tragedia greca, sia, per quanto modificata, in grandi romanzi come Il processo di Kafka. Il Pasticciaccio di Gadda costituisce indubbiamente un altro esempio.
La struttura è quella che Aristotele ha illustrato nella sua Poetica. Ma diversa è la sua funzione nei diversi tipi di romanzo moderno. Il lettore del romanzo giallo è trascinato dal suspense, e infine vede punito il colpevole, restituita la giustizia; scarica cioè su un capro espiatorio, l’assassino, la propria colpevolezza, e ritrova l’innocenza – in termini aristotelici, ad interpretare la catarsi in senso medico, si purifica, ritrova l’Eden.
Nella sua forma canonica il romanzo giallo è appunto un romanzo di evasione. Esso propizia e asseconda i nostri desideri, specie quello di sentirsi deproblematizzati. Chi lo legge fa un sogno ad occhi aperti. Il sogno della propria giustificazione. Non è così invece nel romanzo di Kafka. In K, il protagonista del Processo, Auden vede il ritratto di un lettore di romanzi gialli – solo che ora il lettore non si libera della propria colpevolezza ma la assume.
Ebbene, usando lo stesso schema, nel Pasticciaccio la situazione si presenta simmetrica e rovesciata. E ciò può essere meglio compreso se si guarda alla poetica del romanzo. Gadda ha infatti sempre ripetuto, in termini di poetica, che non ci sono cause semplici, che in ciò che accade tutti sono coinvolti. Ne L’egoista ha ricordato il «riconoscimento dostoiewskiano del gravame comune delle colpe: sì che la colpa di uno è colpa di tutti» (SGF I 656).
E si pensi quanto sarebbe banale se il Pasticciaccio si concludesse con la scoperta dell’assassino. La vittima, Liliana, rappresenta il mondo offeso, e non può essere certo l’indagine di un commissario di polizia a scioglierne il garbuglio. Il romanzo si interrompe quindi nel punto culminante dell’indagine, e proprio a quel punto deve considerarsi «letterariamente concluso» (Gadda 1993b: 172) – il commissario Ingravallo ha compreso (forse) chi è il colpevole, ma solo per «ripentirsi, quasi», secondo l’enigmatica battuta finale del romanzo.
Chi sia l’autore del delitto il lettore non ha invece bisogno di saperlo. C’è stato un crimine, quanto mai atroce, ma è irrilevante chi l’ha commesso materialmente. E, come nel Processo, le attese del lettore vengono mantenute per essere contraddette. Dove in Kafka abbiamo un colpevole, che rappresenta lo stato di colpevolezza generale, a cui non corrisponde alcuna colpa determinata, all’opposto in Gadda c’è il delitto, ma non la catarsi.
Il personaggio kafkiano difatti non sa qual è l’oggetto della colpa, ma sa di essere colpevole. In Gadda c’è la prova della colpa – e la prova è irrefutabile –, ma è problematica l’assegnazione della colpa. In sintesi: liberare la città dalla peste era richiesto dall’ordine del mondo nella tragedia greca; diventa un sogno d’evasione nelle storie poliziesche; e si problematizza nel grande romanzo che ci dà una parodia del giallo.
Università di BolognaPublished by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2002-2025 by Guido Guglielmi & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).
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