Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Ronconi

Alba Andreini

Il nome del regista Luca Ronconi figura nella lista degli uomini di spettacolo che si sono cimentati con i testi di Carlo Emilio Gadda per aver diretto l’ultimo allestimento di cui è venuto ad arricchirsi il capitolo della fortuna scenica dello scrittore: la trasposizione per il palcoscenico di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. L’opera teatrale è stata in cartellone al Teatro Argentina di Roma dal 20 febbraio, data del debutto, al 10 marzo 1996 e, di nuovo, alla ripresa della stagione 1995/96, dal 30 ottobre fino al novembre dello stesso anno: molte repliche e un grande successo per un’impresa imponente, affidata ad un cast eccezionale di ben 37 attori e 13 figuranti, vincolato, per l’alto numero dei coinvolti, al luogo scelto per la rappresentazione e logisticamente impossibilitato a trasformarsi in compagnia itinerante.

La riuscita della realizzazione, ampiamente testimoniata dalle cronache, e i molti effetti che ne conseguono sono l’esito di un incontro dell’artista con lo scrittore che si presta ad essere raccontato come una storia. Il regista decide di portare in scena Quer pasticciaccio nel 1994: appena approdato alla direzione del Teatro Stabile di Roma da quella dello Stabile di Torino, individua nel testo di Gadda un ritratto della città divenuta suo nuovo luogo di lavoro e vede nel palcoscenico dell’Argentina lo spazio adeguato, per profondità ed ampiezza, ad accogliere lo spettacolo.

Il convergere delle due intuizioni nel determinare la scelta del testo era resa possibile dalla conoscenza pregressa del romanzo, risalente al 1958, nonché da successive ipotesi di utilizzo drammaturgico di altre pagine o argomenti gaddiani, poi scartate. Ancora una volta, come altre nella sua carriera, la proposta di Ronconi sembra venire da lontano, attingere dal profondo pozzo di un ricco giacimento di letture sedimentate e metabolizzate, cui ricorrere per fare «nel momento giusto la cosa giusta», riuscendo a interpretare l’intera realtà del vasto mondo dalla segregazione del lavoro teatrale, con l’invio, dal chiuso del proprio osservatorio, di messaggi pertinenti ai tempi: quasi a dimostrazione che la cultura del passato, e la memoria che ne può tramandare l’elaborazione drammaturgica, giova alla comprensione dell’oggi, e il patrimonio conoscitivo può essere uno strumento attivo nell’esercizio della decifrazione dell’attualità. Nella messa in scena di Quer pasticciaccio, la tempestività del fiuto con cui Ronconi ripropone spesso i classici, riuscendo a cogliere e svelare una reciprocità tra passato e presente, pare verificarsi nella specularità tra il pasticcio del Pasticciaccio e una specie di sua versione in lessico politichese, l’inciucio, coniato sui fatti del momento dall’opinione pubblica per definire vicende e traffici politici basati su accordi sottobanco. La ricezione della sintonia tra finzione e realtà trova riscontro nel brillante titolo, Pasticciaccio italiano, con cui il manifesto accompagnò il fotogramma della scena d’apertura dello spettacolo collocata in prima pagina all’indomani del debutto (21 febbraio 1996).

Nella trafila del lavoro drammaturgico, Ronconi aveva rinunciato a prelievi da altre opere, inizialmente previsti come innesto sul Pasticciaccio, limitandosi ad effettuare alla fine una selezione dei materiali drammaturgici dal solo romanzo, con sforbiciature tali da commisurare la durata dello spettacolo alla resistenza di 4 ore e mezzo degli spettatori. È il romanzo a corrispondere in pieno alle aspettative di Ronconi, in cerca di testi non linguisticamente esangui al di fuori dei territori scontati della drammaturgia; così l’opera, anziché essere fatta oggetto di adattamento, viene trasferita in scena conservando inalterato il suo dettato. Con tale originale opzione, insolita ma in linea con l’antecedente recupero ronconiano per il palcoscenico di testi non concepiti originariamente per esso, il testo piega a sé le esigenze della recitazione, che Ronconi risolve tecnicamente con una scansione del romanzo in cellule drammaturgiche, necessaria a garantirne la pronunciabilità (ovviamente in terza persona).

Assumendo il testo tel-quel con la sua edizione teatrale, il regista/Dramaturg manda in scena tout-court la letteratura e ne consacra così il valore, in involontaria controtendenza rispetto all’incipiente, anzi (ai nostri occhi) anticipatamente divinato, suo ridimensionamento se non svalutazione, poco dopo acutamente diagnosticata da A. Asor Rosa nel mondo universitario (in occasione del suo primo insorgere) come «spodestamento di alcuni saperi» dai ranghi tradizionalmente ricoperti, occupati ormai quasi esclusivamente dalle discipline cosiddette professionalizzanti: insomma, quasi una implicita e inconsapevole difesa della letteratura e dell’arte alle soglie di un disconoscimento della sua utilità, per cui si tende ad abbinarla ad altro ed enfatizzare piuttosto i termini che la affiancano, fino a tramutarli in stampella di sostegno di una autonomia sull’orlo di essere esautorata o delegittimata di senso nella propria autosufficienza.

All’aver messo in risalto la letteratura, con un’operazione che oggi, a ritroso, è forse leggibile anche come una (quasi) apologia accidentalmente necessaria, e che è stata senz’altro responsabile, nell’immediato, di un vero e proprio fiorire di entusiastiche iniziative di lettura sull’onda del modello proposto, va aggiunto il merito dei risultati effettivamente conseguiti da Ronconi con l’allestimento.

La messa in scena del romanzo, riscuotendo un successo di pubblico che non può essere minimamente imputato alla mediazione del teatro (di per sé mai destinato alle grandi folle e fruito piuttosto da élite ristrette), ha sortito l’effetto di una replica del favore con cui era stato accolto il libro, nel 1957, alla sua uscita. E analogamente a quanto già avvenuto, il libro ha fatto di nuovo da tramite alla notorietà dello scrittore, su cui si è riaccesa dal 1996 l’attenzione. Lo strabismo del regista che guarda altrove rispetto alla drammaturgia guadagna riconoscimenti alle qualità critiche del Ronconi commentatore nel fornire una rilettura del Pasticciaccio alla quale gli addetti ai lavori si sono dedicati meno che non alle sue traversie editoriali, rinarrate più volte con precisazioni e approfondimenti (da Pinotti fino a Garboli) dopo i miei remoti studi sulla storia interna e le traversie di pubblicazione del romanzo (1983).

Rilevati a suo tempo un po’ maliziosamente da Carmelo Bene (che parla dello spettacolo come «ottimo saggio critico sul testo letterario», «assai migliore di quel che si è scritto intorno a Gadda») (Bene: «Esploderò in scena», intervista di U. Volli, in la Repubblica, 28 settembre 1996), in nome di una propria idea di teatro diversa da quella di Ronconi, gli effetti imprevisti che discendono dalla messa in scena di Ronconi sono stati additati con ammirazione da Alberto Arbasino, che ha attribuito senza incertezze alla scommessa del regista la rivincita che per suo tramite il linguaggio di Gadda si è preso sui cattivi pronostici, superando la prova del tempo e la sfida della dimenticanza. Arbasino apprezza la capacità ronconiana di «far arrivare a tutti immediata e viva la totalità e la qualità di quel gran linguaggio espressivo […] tanto compatito dai coetanei accademici e perbenino di Gadda come “eccentrico, faticoso, cincischiato, disgregato, umoristico a vuoto”… E invece vivissimo con tutta la sua forza parlata alta e bassa, rispetto all’italiano generico della paginetta corrente e della routine teatrale […]» («Che pasticciaccio, Ronconi!», in la Repubblica, 26 febbraio 1996).

La ricerca della vitalità del linguaggio, che muove Ronconi verso Gadda; la scoperta della medesima lunghezza d’onda tra la propria poetica del «reale come pura possibilità» e quella dello scrittore, insieme ad una capacità di profondo ascolto, da artista, della pagina dello scrittore, fanno di lui un interprete che ha saputo raccontare la teatralit à di Quer pasticciaccio; ha implicitamente fornito un commento e una lettura critica del romanzo, riaccendendone la fortuna e di conseguenza un’attenzione che lo ha riposizionato nella graduatoria dei capolavori. Ronconi, dunque, non occupa soltanto un posto nella lista degli uomini di spettacolo che si sono interessati a Gadda, ma scivola a buon diritto anche in quella dei commentatori e, comunque, ha insegnato a scombinare i confini disciplinari ed abitare proficuamente zone borderline.

Università di Torino

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

© 2004-2025 by Alba Andreini & EJGS. First published in EJGS (EJGS 4/2004). EJGS Supplement no. 1, second edition (2004).

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