EJGS Monographs, vol. 1, EJGS 1/2001
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L’incendio di via Keplero
«Studio 128» e «racconto inedito»
di Carlo Emilio Gadda
Andrea Sarina
- Parte I
Introduzione
Abbreviazioni e segni convenzionali
Fase A – Un possibile preambolo - Parte II
Fase B – L’incendio e i suoi quadri
B1 – Prima descrizione dell’incendio
B2a – La comitiva della «Lingera»
B2b – La chiromante che fa i massaggi
B2c – La visita di Gadda alla poetessa
Appendici - Parte III
Fase C – Rielaborazione dell’incendio
Tavola sinottica - Parte IV
Finalmente «L’incendio di via Keplero»
Testo e commento de «L’incendio di via Keplero» - Parte V
Lo spunto di cronaca
Dal Corriere della Sera – «Una fabbrica di celluloide distrutta dal fuoco»
Introduzione
Riconsiderazione dei movimenti di un racconto
La pubblicazione delle Opere di Carlo Emilio Gadda presso Garzanti ha reso accessibile alla lettura molti scritti finora dispersi in varie riviste. Raccogliendo gran parte della produzione gaddiana, la fatica di Dante Isella e dei suoi collaboratori ha reso più agevole e proficuo lo studio dell’opera e dell’autore, soprattutto se si considera che non di rado gli scritti d’occasione o comunque considerati minori forniscono chiavi interpretative per le opere maggiori. Vi è ora da sperare che agli odierni cinque volumi che costituiscono le Opere ne saranno un giorno affiancati altri, non meno preziosi, in cui troveranno posto, oltre agli scambi epistolari già editi in singole raccolte o pubblicati in rivista, anche tutti quegli scritti, letterari e non, per ora depositati in fondi o vincolati alla discrezione di privati.
Un passo in questa direzione è stato fatto con la pubblicazione dei Disegni milanesi (Gadda 1995) ad opera di Dante Isella, Giorgio Pinotti e Paola Italia, che dal fondo Garzanti hanno portato alla luce i quaderni che contengono i diversi materiali compositivi del San Giorgio in casa Brocchi, dell’Incendio di via Keplero e di Un fulmine sul 220, tre ambiziosi progetti che hanno impegnato Gadda nella prima metà degli anni Trenta.
Oggetto di studio del presente lavoro è per l’appunto uno di questi progettati racconti lunghi, e precisamente l’Incendio di via Keplero, al quale i Disegni milanesi restituiscono l’originale seppur frammentaria fisionomia. Il racconto dato alle stampe, infatti, non è che l’emergenza ultima di un più ampio disegno che attorno a via Keplero articolava le sue membra. Non a caso, quando fu pubblicato nel 1940 sulle pagine del Tesoretto, il racconto si fregiava di una didascalia («Studio 128 per l’apertura del racconto inedito») che non solo lasciava intendere l’estrema elaborazione a cui erano state sottoposte quelle pagine, ma anche l’esistenza di un più ambizioso progetto che prima o poi sarebbe stato dato alle stampe. Così non è stato, e si è finito per dimenticare quella didascalia, peraltro omessa da Gadda stesso a partire dalle successive edizioni in volume del racconto. E quando Gadda, negli Accoppiamenti giudiziosi, porrà in calce all’Incendio gli estremi elaborativi 1930-1935, una sorta di epitaffio a segnalarne la parabola quinquennale, su quelle date peserà il dubbio d’iperbolica indicazione che già aveva bollato lo «studio 128».
Quanto di relativamente iperbolico vi fosse in realtà nella datazione estensiva degli Accoppiamenti giudiziosi e nello «studio 128» del Tesoretto lo chiariscono i materiali compositivi dell’Incendio pubblicati nei Disegni milanesi. Questi svelano non solo le successive elaborazioni cui fu sottoposta la descrizione dell’incendio vero e proprio (quella che poi arrivò all’edizione a stampa), ma anche quel «racconto inedito» preannunciato nell’edizione in rivista. I materiali compositivi, suddivisi nelle tre fasi elaborative che hanno ritmato l’evolversi del racconto e corredati da un puntuale apparato critico mostrano altresì l’accanita elaborazione che accompagna quasi ogni pagina gaddiana.
Per facilitare la lettura si è deciso di mantenere le diciture dei quaderni utilizzate nei Disegni milanesi, pur non trovandoci sempre d’accordo con alcune suddivisioni interne. Le indichiamo qui di seguito:
quaderno NDL1
ospita la Fase A (Un possibile preambolo)
ospita la Fase B che comprende:
B1 (Prima descrizione dell’incendio)
B2a (La comitiva della «Lingera»)
B2b (La chiromante che fa i massaggi)
B2c (La visita di Gadda alla poetessa)
App. I (Digressione su due ritratti)
App. II (Un’abbozzata conclusione)
App. III (Rifacimento della Fase A)
App. IV (Nota su Bruno e Keplero)
quaderno IVK
ospita la Fase C (Rielaborazione di B1)
Nelle parti I-III di questo lavoro si prendono in considerazione le tre fasi elaborative dell’Incendio. Di ognuna si riassume e commenta il contenuto, vedendo al tempo stesso quali elementi, e in che misura, entrano a far parte del racconto dato alle stampe e quali invece trovano una ripresa o prosecuzione in altri scritti. Nella parte IV si dà un’edizione commentata dell’Incendio di via Keplero, non prima di aver ripercorso la tradizione a stampa del racconto e aver messo in evidenza le principali tendenze operanti nel passaggio dalle tre successive versioni della descrizione dell’incendio (B1, C, vulgata). Nel ripercorrere la storia editoriale dell’Incendio, si tenta anche di capire quando e per quali motivi il disegno originario è stato definitivamente dimesso. Nella sezione conclusiva (parte V), infine, si fanno i conti con l’incendio di via Boltraffio, fatto di cronaca del giugno 1929 che sembra rivelarsi senza possibilità di equivoco non solo ispirazione, ma anche vero e proprio modello, se non matrice, dell’Incendio gaddiano.
Avendo in due casi riprodotto l’apparato critico, è necessario indicare i segni convenzionali e le sigle utilizzate (Gadda 1995: 106):
| < a> | integrazione di lettera o di parole mancanti |
| <…> | parola non decifrata |
| < > | spazio lasciato in bianco |
| a< > | inizio di parola lasciata in tronco |
| >a< | espunzione di lettere o di parola cassate |
| agg. | aggiunto |
| ascr. | ascritto |
| cass. | cassato |
| da | lezione ricavata da altra (per correzione, ricalco, inserimenti) |
| ins. | lezione inserita interlinearmente o in altro spazio disponibile |
| interl. | interlineo, -eare |
| l. | lettera |
| marg. | margine |
| p. | parola |
| prima | lezione cassata che precede in rigo |
| segue | lezione cassata che segue in rigo |
| spscr. a | soprascritto a lezione cassata in rigo |
| stscr. a | sottoscritto a lezione cassata in rigo |
| su | ricalcato su altra lezione |
| trasp. | trasposto |
| var. altern. | variante alternativa |
Fase A — Un possibile preambolo
Il quaderno (1) che ospita, alle pp. 155-169, la prima fase dell’Incendio di via Keplero è aperto dalla prima stesura di Notte di luna (pp. 7-51) (2) e quindi prosegue con Il trattato di morale e L’onomastico di Gigi, doppia stesura del San Giorgio in casa Brocchi (pp. 57-153). (3) Sul frontespizio del quaderno, Gadda annota: «27 luglio 1930. Sterkrade. Kaiserhof». (4) Ma le pagine relative all’Incendio non sono datate, cosicché non è possibile stabilire con esattezza il momento della stesura, tanto più che per leggerle bisogna andare fino alla fine del quaderno. (5)
Pressoché certa, comunque, l’anteriorità di questo frammento rispetto a quelli compresi nella Fase B (contenuti in un secondo quaderno — siglato TDL — che reca la data del 16 giugno 1931). Da una parte, è indubbia la filiazione di alcune pagine di TDL da quelle che compongono questa prima fase; dall’altra, per esplicita dichiarazione di Gadda, conosciamo i termini di composizione del racconto (1930-1935), (6) ciò che ci permette di ridurre al minimo l’incertezza e di inscrivere la composizione della Fase A tra la fine di luglio e la fine di dicembre del 1930.
Alle pp. 155-169 di NDL1 troviamo dunque la prima fase che certifica la volontà di Gadda di scrivere un racconto imperniato sull’evento cardine di un incendio, di primo acchito situato in via Keplero. Esplicito ed inequivocabile, a questo proposito, il titolo, che reca: «L’incendio di via Keplero — (Note, tocchi diversi, impromptus)». (7) E, di fatto, se non fosse per il titolo, non potremmo nemmeno sospettare di trovarci davanti ad una prima stesura di quella che sarà poi la versione a stampa del racconto, tanto esigui e tanto insignificanti sono i punti di contatto tra l’una e l’altra.
L’abbozzo si articola in cinque scene distinte: l’incontro della signora Adalgisa Cavazzoni vedova Carpioni con il commendator Unghioni nello studio di quest’ultimo, il malore della signora una volta ritornata a casa, l’irrisione di cui è oggetto nella Tabaccheria di piazzale Modena, la migliore accoglienza che le è riservata nell’osteria di Amilcare Zavatta e, infine, con uno spostamento del tutto improvviso, di nuovo a casa della Carpioni nell’imminenza di un temporale, dove il frammento s’interrompe. Questa l’articolazione generale; vediamo ora più in dettaglio.
Dopo un’apertura di racconto, in seguito cassata, in cui si trovava la signora Carpioni oramai disfatta e rassegnata alle volontà del commendator Unghioni, padrone di casa-Minosse dell’edificio in cui abita la sventurata inquilina, (8) Gadda decide di fare un piccolo passo indietro e di rappresentarcela, trepidante ed ansiosa, in un mattino d’estate, davanti alla porta dell’Unghioni, ancora in attesa di essere ricevuta.
Le viene aperto dalla domestica e viene fatta accomodare nello studio del commendatore che l’aveva convocata per comunicarle l’aumento del canone d’affitto: «per essere in regola» con la legge, si giustificherà poi. Segue quindi il dialogo tra i due (inframmezzato da un’impellente considerazione ironica sulla «eletta» categoria dei padroni di casa e sulla legge che immancabilmente li favorisce), in cui si trovano di fronte la vittima e il carnefice (e l’onomastica concorre a suggerirlo). Da una parte l’arpagonico padrone di casa, «grosso maschio dal viso porcino», con un’ampia giacca blu da milionario che «condescende a vostra facultate», dall’altra la dimessa affittuaria, «dal sorriso pieno di umiltà dilatoria e di signorilità fallimentare». (9)
è evidentemente uno scontro impari, la cui conclusione è scontata. Poco vale alla signora Carpioni tentare i tasti della commozione: che è inquilina di lunga data, trentaquattro anni!, che non si può certo metterla in strada, che non si conoscono da ieri, che son quasi cresciuti insieme, che un’accomodazione si può sempre trovare. Il commendator Unghioni sembra poco sensibile alla commozione; semmai sfrutta lo stato d’animo dell’inquilina, spacciando il nuovo canone, «date le nuove disposizioni di legge», come sacrificio bilaterale: dopotutto l’appartamento che la signora Carpioni occupa, pagandolo seimila lire mensili, potrebbe essere affittato al doppio, cosicché le novemila lire del nuovo canone sono una cosa ragionevole, una cosa giusta: «Metà per uno il sacrifizio […] meno non posso fare», conclude l’Unghioni. La Carpioni, disfatta, si scoglie in lacrime mentre il commendatore le guarda venir giù le lacrime e soffiarsi il naso «con quella pazienza con cui il mandriano aspetta e lascia pisciare la vacca».
Ritornata a casa sua («quel possessivo valeva novemila lire»), la Carpioni si sente male nei servizi dell’appartamento. Lo stato dello «sgabuzzino trapezoidale» e del dissestato e rappezzato «cesso» che vi è incassato occupano in una precisa ed impietosa descrizione le competenze tecniche dell’ingegnere. (10) Il malore della Carpioni è causato dalla «caparbia tendenza al disservizio» dei «servizî», cui poco giovano i suoi interventi:
[…] il vaso di Pandora s’era rivelato inopinatamente pieno de’ più impressionanti donativi che una simile cornucopia possa promettere, nei suoi momenti di espansione e di reversibilità del ciclo. I tentativi di medicazione e di soccorso erano prontamente intervenuti da parte della Signora: ma primamente la catenella le si era strappata nella rappezzatura più eccelsa quasi presso la scatola ad acqua: secondariamente poi aveva tentato con brocche e catinelle. In terzo luogo con un ferro e del fil di ferro: una specie di pratica illecita nei riguardi del bizzarro utero della latrina. Ma fu qui il dissesto, chissà quale ingorgo c’era! ché, invece di purgarsi, il vaso tremendamente rigurgitò. Fu questo rigùrgito a darle il colpo di grazia: a consentirle di «sentirsi male» in piena regola. (11)
Esce quindi di casa alla ricerca di qualcosa di forte. Animata da un nuovo vigore, si reca prima di tutto alla Tabaccheria di piazzale Modena (12) per bere un caffè, dove però viene schernita dall’irriverente garzone: «Scontrino alla cassa, signora» le dirà il ragazzo facendo alla tabaccaia un cenno di motteggio. L’intervento della tabaccaia («Ma faglielo pure, anche senza scontrino… Giovanni… non vedi che è la Signora?…») accende di sdegno la Carpioni, che se ne va tentando di sbattere la porta: ma la «maledetta creatura», malvagiamente, resiste all’impeto, quasi a volerla a sua volta irridere.
Entra allora, poco oltre, da «Amilcare Zavatta — Negozio di Vini», dove si fa servire, dopo numerose esitazioni e civetterie, (13) un bicchiere di rhum della Giamaica che beve d’un fiato. Lo Zavatta gliene versa quindi un altro, assicurandole che le farà dimenticare tutti i dispiaceri. «… L’unico dispiacere è la gente villana…», sentenzia allora la Carpioni.
Proprio nel momento in cui le «note» di Gadda s’interrompono, compare inaspettatamente sulla scena un nuovo personaggio che in un primo momento spiazza il lettore:
Lampi lividi fecero elettrico il cielo, come rabide se< rpi>. La signora Adalgisa aveva una paura pazza dei temporali, le secche esplosioni della folgore erano la sola cosa che le potesse dissolvere la sua energia e farle dimenticare il suo prediletto epifonema «a morir di paura c’è sempre tempo». Allora la sua volontà diventava semplicemente un’angosciosa speranza come quella che è il solo palpito possibile nelle creature umiliate dal destino. Interpellava la Caterina «che cosa le pare?…» «Di che cosa?…» «Crede < >». (NDL1 169; Gadda 1995: 246)
Soccorre, nell’interpretazione di quest’ultimo abbozzato paragrafo, l’Appendice III compresa nella Fase B, dove si verrà a sapere che la Caterina altri non è che la «vecchia serva» della signora Carpioni. Se ne deduce, quindi, che vi è stato un cambiamento di scena e che la Carpioni non si trova più nell’osteria dello Zavatta, ma a casa propria, atterrita dal temporale e in compagnia della domestica.
Posto che il racconto avrebbe dovuto essere imperniato sull’evento cardine dell’incendio, vi è da credere che le poche pagine contenute in questo quaderno rappresentino una sorta d’introduzione in cui l’autore presenta il personaggio principale del racconto, la signora Adalgisa Cavazzoni vedova Carpioni, nonché l’antefatto dell’incendio. In una nota compositiva, che si trova a p. 27 di TDL, si accenna ad un pezzo narrativo, mai sviluppato, riguardante le «cause dell’incendio e pezzo satirico sulle macchine del caffè espresso, pellicole (Berlino) e benzina (Parma)».
Paola Italia propone di ravvisare in questa nota un possibile riferimento alla Carpioni. Gadda, infatti, alla p. 166 di NDL1, nel momento in cui la Carpioni entrava nel Bar Tabaccheria di piazzale Modena per prendere un caffè, aveva aggiunto una postilla a matita rossa: «introdurre la questione degli espressi» (Gadda 1995: 247). Italia ipotizza: «non è del tutto improbabile che lo scoppio dell’incendio potesse essere dovuto […] proprio ad un’azione diretta o indiretta della donna alle prese con una macchina da caffè, una volta tornata a casa (e in uno stato di semi ubriachezza) non perfettamente padrona di sé e quindi non in grado di padroneggiare correttamente gli utensili domestici», e quindi aggiunge: «l’associazione delle macchine per caffè espresso con le pellicole di Berlino e con la benzina di Parma può spiegarsi con episodi da citare iperbolicamente nel previsto pezzo satirico» (Italia 1994: 275).
Lasciando per ora stare le pellicole e la benzina, che peraltro non trovano alcun riscontro in questa prima fase, mi sembra che l’ipotesi, per quanto prudentemente avanzata, sia molto verosimile. Sarebbe l’iperbolico aboutissement di una parabola votata al disastro che vede nella Carpioni la rappresentante delle «creature umiliate dal destino»: una parabola che comincia dalla visita all’arpagonico padrone di casa, passa attraverso l’irriverenza del garzone della Tabaccheria e la pietà della tabaccaia stessa, senza dimenticarsi del rigurgito del «vaso di Pandora» e della «fredda malizia» che trattiene la porta della Tabaccheria dallo sbatacchiamento. Forse non è casuale neppure l’accenno, poco prima che la stesura s’interrompa, all’imminente arrivo del temporale, preannunciato da fulmini che atterriscono l’animo della Carpioni.
Si pensi al fulmine che nella Cognizione si abbatte sulla Villa Maria Giuseppina durante una furibonda grandinata (RR I 586 sgg): seppur grottesco avvenimento, era stato come la prefigurazione della tragedia o, quantomeno, segno del destino avverso che incombeva su quelle terre; oppure, sempre nella Cognizione, al temporale che coglie la madre che vaga sola nella casa (RR I 675 sgg). O ancora si pensi, nel capitolo conclusivo del racconto La Madonna dei Filosofi, all’aggressione di Emma Renzi all’ing. Baronfo, dove il temporale non solo prefigura il dramma, ma lo incornicia pure (RRI 96-106). Insomma, niente di più facile che anche la macchina dell’espresso, conformemente all’ordine delle cose ormai stravolto in cui si muove la Carpioni, non fosse destinata ad emanare aroma di caffè, ma puzzo di brucio e fiamme serpigne.
Si potrebbe anche proporre, come ipotesi alternativa, di vedere non nella Carpioni, ma nella domestica Caterina l’agente diretto responsabile dell’incendio. Nell’opera di Gadda non mancano certo le domestiche maldestre che fanno più danni che altro (una su tutte, la Maria al servizio dei Cavenaghi in Quando il Girolamo ha smesso…, Adalgisa, RR I 319-20) e, in genere, le persone di servizio sono accomunate dalla diffidenza che Gadda riserva loro (diffidenza che raggiunge il parossismo nella Cognizione, con Gonzalo delirante che sogna di far piazza pulita dei «maiali» che infestano la casa, RR I 735-36). Pure la Caterina, come vedremo meglio nell’Appendice III, non ha guadagnato la fiducia della padrona che, anzi, la considera una delle persone più sospette dalla quale difendere tutta la sua «roba».
Non stupirebbe quindi se proprio la Caterina, materializzando le angosce della Carpioni, fosse la responsabile dell’incendio che manderà in fumo le quattro carabattole che costituiscono il misero patrimonio domestico della padrona. Altro indizio che potrebbe scagionare la Carpioni è la sua presenza in B2a, cioè nell’episodio in cui Gadda descrive lo scontro tra i pompieri in arrivo e la sgangherata comitiva della Lingera: la signora Carpioni assiste in qualità di spettatrice alla scena, ciò che escluderebbe una sua responsabilità diretta nell’incendio del caseggiato. (14)
La versione definitiva, sostanzialmente, conserva di questa prima fase soltanto il titolo. A voler ben guardare, è vero, ci sono altri elementi che possono ricordare la «catastrofica lavanderia» dell’Incendio; (15) ma questi elementi, vista e considerata la nota economia gaddiana, non sarebbero sufficienti, da soli, ad indicarci una via che porti da questa prima fase alla vulgata.
Alcuni elementi specifici contenuti in questa prima fase confluiranno invece in altri scritti gaddiani: è il caso della citazione dantesca, che ritroviamo in nota a Tirreno in crociera (Castello, RR I 209, n. 1); della descrizione del garzone della tabaccheria alle prese con la macchina dell’espresso («dietro la cattedrale Nikelata degli espressi girava annoiato e rapidissimo manici d’ebano con la naturalezza del macchinista patentato» — NDL1 166; Gadda 1995: 245), che ricompare a ben altre latitudini in Verso Teramo («dal bar della piazza […] s’intravedeva in un elisio di luce a girar manòpole il garzone a tutto vapore, d’attorno la cattedrale nichelata degli espressi», Anni, SGF I 236); oppure ancora della figura del «facchino patentato» presente nell’osteria dello Zavatta («un grosso tangherone, con un berretto rosso a lettere d’oro facchino patentato aveva l’aria di volersi addormentare tranquillo: il naso rotondo e spugnoso diceva della sua bonomia» — NDL1, 168; Gadda 1995: 246) che ritroviamo ancora una volta in Quando il Girolamo ha smesso… («il vecchio facchino patentato dal berretto scarlatto con su scritto a oro Facchino patentato col naso patentato dalla grappa, viceversa: peperonato: e, più che uno stizzone, rubente», RR I 308).
Inoltre in queste pagine è testimoniata la nascita, perlomeno in sede letteraria, di alcuni temi che saranno delle costanti nell’opera di Gadda. Pensiamo all’«ossessione edilizia», (16) che qui si attua in due direzioni: quella generica (in cui Gadda accusa gli architetti di «trapezoidismo» nella costruzione delle case) e quella specifica (in cui è preso di mira il malvezzo dei «razionali» architetti milanesi di ricavare una latrinuccia di rincalzo — all’atto pratico inservibile — dal primo ripostiglio che trovano). (17) Inoltre, al di là delle poco idonee dimensioni dei servizi, le pessime condizioni del gabinetto forniranno lo spunto per altre pagine gaddiane: la latrina intasata la ritroviamo, come già accennato, in Quando il Girolamo ha smesso… (RR I 319-20) dove l’intasamento «della verginale maiolica» è causato dall’incuria della domestica Maria, che aveva provato a farle inghiottire un cavolfiore, nonché uno scopettino a spazzola; e ancora nell’edizione in rivista del Pasticciaccio, dove l’intasamento della latrina del commissariato è posto in analogia implicita con la paralizzante burocrazia (RR II 412).
Sulla descrizione dello stato del vaso, e in particolar modo dello sciacquone, Gadda ritornerà ne Le bizze del capitano in congedo (RR II 973-75), pubblicato proprio nello stesso anno dell’Incendio di via Keplero in Corrente di Vita giovanile, con delle pagine che ricordano molto da vicino quelle contenute in questa prima fase dell’Incendio. Interessante, sempre nelle Bizze, quanto Gadda annota: «[…] le catenelle del water-closed che ti rimangono in mano, sono altrettanti simboli di quello che può essere, anche nella attività dello spirito, l’inizio esiguo di una grossa stortura, d’un malanno, d’una catastrofe». Ciò che conferma, semmai ce ne fosse bisogno, l’ineluttabile cammino che dalla Fase A avrebbe dovuto portare all’incendio vero e proprio del caseggiato, preparato e idealmente determinato da tutta una serie di storture che coinvolgono il personaggio principale.
Altra tematica (ed altra idiosincrasia) che fa qui la sua prima apparizione è quella del padrone di casa, anche se, in questa sede, il disprezzo tributatogli è tutto sommato molto mitigato se paragonato alle pagine in appendice alla Cognizione (Gadda 1987a: 515-17), dove al padrone di casa saranno attribuiti i titoli di «affitta porcili», «immondo usuraio» e «ributtante pachiderma». Tema poi incluso nel programmatico Tendo al mio fine («moverò lite al padron di casa»), troverà in seguito sfogo in altri testi gaddiani. (18)
La Fase A dell’Incendio segna pure la nascita di un personaggio che avrà molta fortuna: la signora Adalgisa Carpioni vedova Cavazzoni che, ribattezzata Adalgisa Borella vedova Biandronni, sarà la protagonista dell’eponimo racconto nell’Adalgisa (e, ovviamente, di Un fulmine sul 220). Come osserva giustamente Paola Italia, «la signora Adalgisa è personaggio ben conosciuto ai lettori dell’ingegnere, potremmo anzi dire che nella fattività ed efficienza lombarde che emergono in questo abbozzo, offre buone credenziali per essere annoverata tra gli immediati antecedenti della più celebre Adalgisa» (Italia 1994: 271).
Ma al di là di questa possibile filiazione letteraria, più interessante appare l’accostamento proposto da Roscioni, che nell’arrendevolezza della Carpioni di fronte all’arpagonico padrone di casa coglie un immediato riferimento alla madre di Gadda, Adele Lehr (Roscioni 1997: 295). Il rifiuto della madre di lasciare le sei stanze dell’appartamento di via S. Simpliciano, oramai troppo grande dopo la morte del marito Francesco e del figlio Enrico (Giornale, SGF II 865), e le sempre maggiori pretese del padrone di casa che, ben sapendo dello stato d’animo della signora, (19) approfittava della situazione, erano «motivo, in casa Gadda, di incessanti, risentite polemiche di Carlo con la madre» (Roscioni 1997: 295). Sarà anche casuale, ma il 5 luglio del 1929 Gadda scriveva da Terni alla sorella Clara: «Io cerco di fare economia, sempre in vista di riprendere i miei studî […]. Per quanto riguarda l’appartamento di Milano, anche prima di partire ho fatto presente alla Mamma la necessità di ridursi ma essa non ne vuol sapere. Il 30 giugno 1930 si torna a regime libero e ci sarà certamente un aumento». (20) Non sappiamo se il paventato aumento sia avvenuto effettivamente alla data indicata; comunque, quello che colpisce è l’estrema prossimità della temuta scadenza con la data che sigla NDL1: 27 luglio 1930.
A dar consistenza alla lettura autobiografica concorre pure la classificazione della signora Adalgisa Carpioni fra le «creature umiliate dal destino» (NDL1 169; Gadda 1995: 246). Sebbene a questa categoria appartengano molti dei personaggi gaddiani (soprattutto femminili), è significativo che le uniche volte in cui ritroviamo esplicitamente negli scritti di Gadda la formula qui applicata alla Carpioni, essa si riferisca all’autore stesso. Una prima volta, nel programmatico Tendo al mio fine: «Umiliato dal destino, sacrificato alla inutilità, nella bestialità corrotto, e però atterrito dalla vanità vana del nulla». Una seconda, in Un’opinione sul neorealismo, Gadda si definisce «un romantico preso a calci dal destino». Altre due volte, in endiadi di dostoevskiana memoria, in Intervista al microfono (in cui Gadda parla della «sua vita di umiliato e offeso») e in Eros e Priapo (dove è questione dell’anagrammatico Alì Oco De Madrigal e della «sua vita di umiliato e offeso»). (21) Non sarà più peregrino, a questo punto, far notare la parziale sovrapponibilità onomastica di Adalgisa e Adele. (22)
Inoltre, una volta ammessa la lettura autobiografica, si sarà in grado di dare un referente oggettivo all’avido commendator Unghioni. Si tratterebbe di un certo Castelli, il cui nome «germanizzato» (Roscioni 1997: 170) si ritrova nel già citato frammento della Cognizione:
Egli [Gonzalo] le diceva [alla madre] appena entrato: «… Com’è grasso, l’affitta-porcili! Il tuo sangue gli fa bene alla salute. Il tuo affitto, cavato dalla tua sporca miseria, gli fa sviluppare il culo di giorno in giorno. Vai, vai, paga, paga, pisciagli fuori l’affitto allo Schlösser». (Gadda 1987a: 515, rr. 32-46)
Ed è significativo che l’avido operato del Castelli si inserisca, nel prosieguo di questo stesso frammento, nelle immutabili leggi di Keplero:
I matemi e le quadrature di Keplero riportavano ai cittadini, con puntualità indefettibile, il 29 marzo e il 29 settembre [= San Michele]: il campo della gravitazione ellittica aveva rossi fuochi in perielio, tra i frumenti e i papaveri di San Giovanni [il Midsummer Day, il 24 giugno — ma perielio e afelio, rispettivamente il 1° gennaio e il 1° luglio, sono scambiati tra loro], e una culla col bove e l’asino a fiatare sul Nato in afelio: e a metà strada! A metà strada il zannuto affittaporcili del Puentacho [il Pontaccio] si benignava di concederle l’onore di non rifiutar nulla… nulla… nemmeno l’ultimo centesimo… l’ultima goccia di sangue… (23)
Bisognerebbe fare delle ricerche in tal senso, ma credo che si possa comunque ragionevolmente supporre, sulla scorta di indicazione che ritroviamo in vari scritti gaddiani, (24) che le date qui indicate corrispondano ad altrettante scadenze legali che regolavano i contratti di affitto.
Non stupisce allora che l’incendio, ancor prima che Gadda si confronti con il problema della sua descrizione, venga d’emblée situato in via Keplero. Dar fuoco al caseggiato di via Keplero non voleva solo dire distruggere il motivo di tanti screzi domestici (quasi a voler significare che l’unico mezzo per sradicare la madre caparbiamente abbarbicata ai cari ricordi di via S. Simpliciano fosse il mandarle a fuoco la casa), ma anche colpire il padrone di casa Unghioni-Castelli in quanto aveva di più caro, e cioè il denaro che si «benignava» di estorcere ai suoi inquilini e in particolar modo alla miseria di Adalgisa-Adele. E se il moto dei pianeti era regolato dalle immutabili leggi di Keplero, il latrocinio del padrone di casa, e contrario, trovava il suo supporto nelle contingenti leggi degli uomini e di un periodo, che si ponevano appetto alle prime in patente contraddizione, seppure su quelle regolassero la loro perversa astronomia giuridica. (25)
Se è vero che ben poco di questa prima fase arriverà a far parte del racconto dato alle stampe (fornendo però, d’altra parte, non pochi spunti per temi, personaggi e caratteri che saranno riutilizzati e sviluppati in altre sedi), è altresì vero che la conoscenza dei materiali preparatori dell’Incendio ci permette di meglio comprendere il racconto definitivo, che nel suo progetto originario non prevedeva solo la rappresentazione di un incendio in un caseggiato, ma anche, e soprattutto, una sorta di fuoco liberatore come iperbolico esito di una polemica a trecentosessanta gradi che investiva, oltre che gli affetti familiari, tutta la società degli anni ’20-’30, quasi a dar sfogo alla nevrastenia dell’ing. Baronfo, «conseguenza della guerra, del dopoguerra, e della crisi degli alloggi» (Madonna, RR I 87). Lo spessore polemico, fin qui però tutto sommato ancora limitato a pochi temi, si arricchirà in modo considerevole nel passaggio alla Fase B, di gran lunga la più complessa e la più articolata.
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Note
1. Così lo descrive Giorgio Pinotti (Gadda 1995: 110): «il quaderno presenta una copertina cartonata (di cm 25 x 17,5 con una bella unghiatura) rivestita all’esterno in carta Varese beige a quadratini verde scuro e ocra e all’interno in carta verde scuro: la stessa che riveste la facciata contigua dei robusti fogli di risguardo; il taglio superiore è tinto di rosso, gli altri sono seghettati. Consta di 196 pp. Di carta bianca non rigata, da noi numerate su recto e verso a matita nera».
2. Ora in RR II 1071-106. Proprio per il fatto di essere aperto dalla prima stesura di Notte di luna, al quaderno è stata applicata la dicitura NDL1.
3. Ora in Gadda 1995: 127-166 (con relativa nota di G. Pinotti alle pp. 109-114). Per una più circostanziata descrizione del contenuto di questo quaderno, cfr. la Nota al testo di D. Isella a Notte di luna (RR II, n. 17, 1332-333).
4. Gadda fu più volte ospite del «consueto Kaiserhof» (cfr. Gadda 1982c: 31) Hotel di Sterkrade (Essen) durante i suoi viaggi di lavoro per conto dell’Ammonia Casale.
5. Per quanto questo possa voler dir qualcosa, vista l’irregolarità con cui Gadda distribuisce il materiale nei suoi quaderni, lasciando delle pagine bianche, saltando di pagina in pagina, riutilizzando in un secondo tempo pagine vuote o già parzialmente occupate.
6. Termini indicati nel 1963, in calce al racconto confluito negli Accoppiamenti giudiziosi.
7. Quanto alle tre denominazioni, al di là della dicitura «impromptus» che si addice perfettamente allo stato di abbozzo di questa prima fase, si noterà che «note» e «tocchi» sono usuali designazioni che Gadda stesso applica a quanto scrive: si veda, per fare solo due esempi, RR II 1057 («come abbiamo già accennato, con qualche nostro tocco sapiente») e RR I 119 («quello si arà da sentire nelle mie note»).
8. Cfr. Gadda 1995: 247, apparato critico relativo alla p. 155 di NDL1. Si segnala fin d’ora che il rimando alla pagina specifica dei quaderni (e alla pagina dei Disegni milanesi in cui si trova), è fatto solo nel caso di citazioni di una certa lunghezza.
9. La descrizione, in vero utilizzata da Gadda per definire i clienti morosi dell’ing. Baronfo (Madonna dei Filosofi, RR I 84), si adatta perfettamente alla nostra signora Carpioni.
10. Si ricorda che tra i compiti che Gadda svolse in Argentina per la Compañia general de Fósforos ci fu anche la costruzione del «gabinetto per le donne della Cartiera» (Gadda 1984a: 95). Si veda anche la notizia che ne dà in Novella seconda (RR II 1038-039, con l’originario titolo di Dejanira Classis).
11. NDL1 164-65, in Gadda 1995: 244-45. Varianti alternative: a esuberanza e controespan< sione> b quando il ciclo diventa irreversibile.
12. L’attuale cartina di Milano non riporta nessun Piazzale Modena. Esiste tuttavia via Modena, che si trova non molto distante dalla Città degli Studi e si incrocia con via Ciro Menotti, la via in cui lo Zavattari di Incendio avrebbe il suo negozio «di pesce atlantico» (cfr. Incendio, rr. 264-65). Si avverte sin d’ora che tutti i rinvii alla vulgata dell’Incendio si riferiscono all’edizione commentata approntata qui di seguito.
13. Lo scambio di battute fra lo Zavatta e la Carpioni («Vuole un cognac?…». «Sarà poi vero cognac?») ricorda un analogo scambio di battute, nella Locandiera di Goldoni, tra il decaduto Marchese di Forlipopoli e il ricco Cavaliere di Ripafratta (Atto II, scena V): «è Borgogna quello?». «Si, è Borgogna». «Ma di quel vero?». Si cita da I capolavori di Carlo Goldoni (Milano: Mondadori, 1978), 148. Va peraltro detto che il sospetto della Carpioni è meno civettuolo di quello del Marchese, visto che la qualità di cui testimoniano le tre stelle che effigiano il cognac dello Zavatta sembra essere messa in dubbio dall’usura del turacciolo. La pertinenza del rinvio, e quindi dell’implicita analogia tra la signora Carpioni e il decaduto Marchese, è certificata dall’apparato critico, che registra, prima della scelta del raffinato cognac, due altre alternative: «della grappa» prima, poi «uno strega» (Gadda 1995: 250, apparato critico relativo a NDL1 167; «strega» è lezione congetturale nostra).
14. Va peraltro fatto notare che la certezza di un argomento di questo tipo deve pagar pegno alla ben nota volubilità gaddiana e in genere alla provvisorietà dell’intero disegno.
15. La signora Carpioni, oltre che essere nominata nel catalogo iniziale dell’Incendio, può ricordare l’Arpàlice Maldifassi per quel tratto di sussiego che le fa sentenziare «l’unico dispiacere è la gente villana», laddove la Maldifassi avrà a recriminare contro «l’egoismo […] degli inquilini del quinto [piano]» (cfr. Incendio, r. 166), anche se è vero che è un tratto piuttosto comune delle gaddiane «nobildonne lombarde»: si pensi alla pennuta signora descritta in Cinema (RR I 67), che viene risucchiata nella sala strillando «Villani, villani e villani!», o ancora a Racconto, SVP 490 («Gli uomini in fondo non sono antipatici, ma perché sono così villani?»); nel vecchio Zavattari dell’Incendio converge l’onomastica dell’oste Amilcare Zavatta e i tratti di un «facchino patentato» stordito dalla sbornia e sul punto di addormentarsi che troviamo nell’osteria dello Zavatta stesso (cfr. NDL1 168; Gadda 1995: 246); il facchino sarà, nell’Incendio, Gaetano Pedroni, sulla cui «robusta galanteria» nei confronti della Isolina Fumagalli «il signore è quasi certo che dovesse aver chiuso un occhio», che a sua volta ricorda un’analoga concessione da accordare alle esplorazioni orografiche dell’Unghioni giovane tra le «tette delle serve» (cfr. NDL1 160; Gadda 1995: 243).
16. Così la definisce Claudio Vela in Gadda 1990a: 130.
17. Molto spesso le due si accompagnano, come in Cognizione (RR I 584-86), dove le ville brianzole e i loro «cessi» vengono accomunati nel giro della stessa polemica, o ancora in Quattro figlie ebbe e ciascuna regina (RR I 355-56); altre volte viene sviluppata solo la polemica generica nei confronti degli architetti, come in Pianta di Milano — Decoro dei palazzi (SGF I 57-62) o in Libello (SGF I 87-96). Si veda poi, e contrario, La casa (RR II 1109-132), dove l’Autore è intento a costruirsi la sua casa ideale, un «Vittoriale da burla, che degnamente celebri la sua nomina a Principe dell’Analisi» (la felice definizione è di Alberto Grimoldi, Il gaddesco architetto Basletta, in Renzi 1994: 44).
18. Cfr. RR I 83; RR I 159 e 166; nonché un ciclo di favole (159, 165, 168 e 169) in SGF II. La citazione da Tendo al mio fine è in RR I 122. E alla pagina precedente era pure menzionata la polemica edilizia («loderò l’ingegnoso ingegnere, quello che fa tante belle case a Milano»).
19. Si vedano le già citate favole 167 («La madre non voleva lasciare la casa, poiché vi aveva nutrito e allevato “tutti ” i suoi figli») e 168 («Il padron di casa ben sapeva che la madre non voleva lasciare la casa»), SGF II 53.
20. Lettera inedita alla sorella, riportata in Roscioni 1997: 296. Adele si deciderà nell’ottobre del 1931 a cambiare casa. Ma con gran disappunto del figlio rimarrà nello stesso palazzo, trasferendosi in un appartamento di cinque locali al primo piano, il cui affitto era stato fissato a £ 5.000 (Roscioni 1997: 296 — altre due lettere inedite alla sorella, la prima del 12 ottobre, la seconda del 23 ottobre 1931). Non so quanto possa essere pertinente questa osservazione, ma è possibile, tenuto conto dell’affitto del nuovo appartamento (£ 5.000 per cinque stanze), che la pigione dell’appartamento di sei stanze occupato precedentemente ammontasse a £ 6.000, e cioè giusto giusto quanto pagava la Carpioni prima dell’aumento del canone.
21. Le citazioni sono tratte, nell’ordine, da RR I 119, SGF I 629, 503, SGF II 309. A queste quattro occorrenze andrà poi aggiunta, in ambito epistolare, quella della lettera a Gianfranco Contini del 18 dicembre 1947 (Gadda 1998: 46).
22. Si noterà che il nome della madre in Cognizione è giunto all’approdo onomastico di Elisabetta passando per Adalgisa prima ed Adelaide poi (cfr. Gorni 1972: 94, n. 6).
23. Gadda 1987a: 515. Le note tra parentesi quadre sono di Manzotti. Per una migliore intelligenza del testo, riportiamo altre due note dello stesso Manzotti. La prima sui «matemi e le quadrature di Keplero»: «quadratura: […] come antico equivalente di “integrazione” (= soluzione): delle equazioni differenziali che esprimono le tre leggi di Keplero. La loro quadratura fornisce, in corrispondenza di opportuni valori iniziali, la traiettoria dei corpi celesti […]. I matemi (ardue formule e calcoli)» (Gadda 1987a: 258-59, nota alla r. 40). La seconda sul «Puentacho»: «è la via milanese del Pontaccio, contigua a via San Simpliciano (dove la famiglia G. abitava, al n. 2, in un edificio all’angolo delle due vie)» (Gadda 1987a: 516, nota alla r. 42).
24. Il 30 giugno (= afelio) è indicato nell’appena citata lettera alla sorella Clara, nonché dall’ambientazione di questa prima fase; il 29 marzo è esplicitamente menzionato nel passaggio appena riportato, e si pone giustamente «a metà strada» tra perielio e afelio; anche il 29 settembre è esplicitamente citato nel passaggio, ed è anche indicato in Gadda 1984b: 126 («Sto a Milano, fino al 29 settembre: il maiale e strozzino usuraio nonché affitta-porcili detto padrone di casa ha la legge dalla sua fino al 29 settembre»). Per quanto riguarda il 1° gennaio (= perielio), anche se non se ne fa menzione in altri luoghi, si inscrive naturalmente nella scansione quadrimestrale dell’anno.
25. Ci informa inoltre Roscioni che Gadda chiamava «stelle fisse» i fornitori di casa, fornitori che la madre non avrebbe cambiato per nessuna ragione al mondo (Roscioni 1997: 297).
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-09-4
© 2001-2025 by Andrea Sarina & EJGS. First published in EJGS (EJGS 1/2001).
artwork © 2001-2025 by G. & F. Pedriali.
framed image: detail from Pieter Bruegel the Elder, The Triumph of Death, c. 1562, Museo del Prado, Madrid, with superimposed dustjacket of the 1953 Vallecchi edition of Novelle dal Ducato in fiamme.
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