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Incantagione e paura
Ardua la dichiarazione circa il rapporto tra letteratura e libro giallo. Per quel che mi riguarda devo dire: pressoché un quarantennio è trascorso da quando si dà in ipotesi che i fatti accadessero, vent’anni da quando motivi e temi divennero laboriosa annotazione o scrittura, quasi nove da che il libro uscì a prima stampa. Ma codesti quaranta, venti e nove contano per almeno il decuplo al paragone del repentino stravolgersi della storia e del costume e dell’anima individuale o collettiva nel nostro paese e nel mondo. Un giudizio negativo cioè duramente stroncatorio risulterebbe oggi altrettanto ingiusto quanto le iperboli di taluni consensi nel bailamme dell’ineffabile quarantennio. Rammenti il lettore, se viveva e sapeva leggere, ciò che accadde e che non: se è nato troppo tardi per poter ricordare, si documenti sul passato che gli è ignoto. Repentini rovesciamenti di situazioni, cioè d’impeti e di intenzioni, nuove e contrarie ma sempre imprevedute alleanze, terre devastate, città distrutte, strazio di genti, incriminazioni d’esseri incolpevoli, o colpevoli solo d’esser nati, leggi efferatamente punitive retrodatate nella loro validità e nei loro effetti; il deserto, il vuoto, il nulla creato nel mondo ovunque agissero una tradizione, un costume, una civiltà, una tecnica, nobili e grandi o minori e improvvide che fossero. Ascrivere tutto ciò a colpa o difetto d’un etichettato «giallo» o d’un presunto libro poliziesco significa vietare di riparlarne. La follia del singolo, ammesso che esista e operi, non può trovare aggravanti nella follia dei molti, anzi un’attenuata condanna o una totale sanatoria. A una goccia d’acqua non si può imputare l’ebollizione della pentola. Il libro poliziesco di cui ho tentato la dura, difficile esperienza, vorrei fosse «criticato» come rischio connesso all’ardimento della prova.
Il mio è contrassegnato da alcune caratteristiche: le quali forse potrebbero oggi riscattarlo dalla «oscurità» di cui lo si incriminò o per cui da taluni lo si spregiò.
Tema essenziale è il dramma della non ottenuta maternità in una donna – (moglie) – che perviene gradualmente a disperazione e alla rovina della mente in una terra e fra un popolo dove le speranze legate al connubio sogliono per lo più allietarsi a certezza di prole rinnovata: (prolisque novae feraci lege marita, invoca il poeta dalla dea): dai secoli «pagani» ai cristiani e romani, ai dì nostri. Lo spirito «religioso» di lei si era educato nel mondo che la assisteva, dove quasi paiono confluire i motivi e le forme degli antichi riti e de’ nomi, e dei rinnovati o nuovi. Le chiese insigni si adergono e sembrano aprirsi a Dio e al popolo: e recano nei nomi stessi del doppio lor titolo il documento di una precedenza rituale «pagana», in realtà urbana e precristiana (come ad esempio: Santa Maria sopra Minerva).
Orti e giardini e selvette, luci, Lucina, luoghi di preghiera o di sosta allo schiudersi verso l’antico suburbio le vie. Sacelli per l’implorazione, alla tutrice de’ parti e del puerperio.
Aperto appena il racconto, la pietà di cui nella inesaudita speranza della prole si conforta la donna: e insieme il presentimento e quasi l’inconscio desiderio del cielo. Gli agi, gli averi, gli ori la circondano: le gemme che la naturale invidia della gente e la cupidigia e la rapina raggiungeranno. Donde il crimin orrendo. D’altra parte i temi «probabili» della follia, del sogno, della giovenile sconsideratezza soccorrono l’indagine e nello stesso tempo la intralciano. Interferenze e disguidi conducono gl’investigatori quasi alla sospensiva de guerre lasse. I mezzi della polizia sono (erano allora) impari al compito – più che mai gli strumenti tecnici. Scene al riguardo.
Incantagione e paura sembrano a volte insistere nei luoghi e nelle menti. La collina carezzata dal sole-ombra del marzo, signoreggiata dai vecchi olivi o dai lecci. La vasta solitudine della campagna e gli sgrondi al mare. La benedizione dei ceri, il 2 febbraio. Accenni ai Lupercali, nelle Idi del febbraio.
La narrazione è condotta in modo che i lettori vengano frastornati, non più e non meno degli indagatori, degli atti stessi della investigazione regolamentare, obbligatoria. Lo snodarsi impreveduto del groviglio è simultaneo col bagliore folgorante che illumina al commissario protagonista la realtà dell’epilogo. Il nodo si scioglie a un tratto, chiude bruscamente il racconto. Dilungarmi nei come e nei perché ritenni vano borbottio, strascinamento pedantesco, e comunque postumo alla fine della narrazione. Smorzerebbe in tentennamento l’urto repentino, a non dire il trauma, della inattesa chiusura.
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
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