Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
Mare
Maurizio Rebaudengo
Il mare gaddiano è una superficie compatta, custode storica delle civiltà che lo hanno solcato e delle mitologie elaboratevi. Gadda ne fa in prima persona l’esperienza nella navigazione transoceanica (per l’Argentina, a bordo del piroscafo Principessa Mafalda).
L’esigenza materiale dell’emigrazione differisce, certo, dallo spirito di scoperta e conoscenza, con cui i primi europei erano diretti verso il continente ancora da nominare; ma ad accomunare i due viaggi lontani nel tempo è l’«angoscia» e il «disperato coraggio» con cui «chi si butta nell’ oceano» desidera quegli «scali» (SGF I 995). Gadda, testimone di una navigazione ormai corrotta da un desiderio finalizzato all’utile, rimpiange dunque un’epoca: quella in cui essa era ancora vergine, e chi proveniva dalla cultura europea poteva ancora trasferire il proprio patrimonio, o bagaglio, mitologico, mediterraneo o nordico che fosse, allo spazio ignoto, a sua volta vergine, creando così l’epica dell’oceano:
La terribile immensità dell’oceano, l’ampiezza e la paurosa altezza dell’onda, la sua gola tetra, la solitudine, i disagi, le tempeste, i rischi del mare, potevano affaticare e sconvolgere le menti degli intrepidi e dar luogo a fantasime, ad allucinazioni […]. Il gorgo, il mostro che uccide: la balena biblica, Scilla e Cariddi e il Maesltrom, l’imbuto vertiginoso formato dal roteare delle acque. (SGF I 997)
L’Oceano continua, cioè, a far da depositario di una memoria collettiva, sommatoria di quelle individuali, ma lo spirito originario, da civiltà in viaggio, è definitivamente tramontato. In Da Buenos Aires a Resistencia (comparso sulla terza pagina della Gazzetta del Popolo il 29 settembre ’34, e confluito poi nelle Meraviglie d’Italia), Gadda rivive a distanza di dodici anni il distacco dalla patria; nel pezzo evidenzia come l’interno del piroscafo sia un microcosmo contenente – quasi novella arca di Noè – tipologie umane caratteristiche della società lasciata a terra, seppure inevitabilmente trasformata; si riproducono le gerarchie sociali, vengono messi a confronto i nouveaux riches e quanti sperano di imitarli presto, ma già vige l’egualitarismo che, proiettato sul nuovo orizzonte, cancella le differenze dell’origine; i passeggeri, infatti, vengono riconosciuti non per nome, ma per numero: «Erano dei possessori di terreni al rialzo, o dei ferreteros: dei personaggi insomma: per quanto i camerieri genovesi li chiamassero numero 45, numero 127» (SGF I 106).
La storia, su cui è nata l’Europa delle nazioni dal disfacimento dell’unità imperiale, si dissolve in segni esteriori: da un lato il Rinascimento, la civiltà scomparsa del continente che l’ha creata e portata all’apogeo, sovrintende all’arredamento interno dell’ imbarcazione, privo, però, dell’idea di equilibrio e trasformato in metafora di sfacciata opulenza («Tutto era inscatolato nel fasto del più dovizioso Rinascimento: saloni e plafoni», SGF I 107); dall’altro, i conflitti cruenti del passato sono solo più metafore possibili della mondanità («Pareva il senatore cui il Gallo tirò la barba, violata ed invasa la Curia. Qui, sul Mafalda, non il gallo, il zeneise: non la strage, ma la limonata; e l’agile, scodinzolante fuga del frac»).
Il distacco dal lido di partenza, dal luogo che dà senso alle proprie origini, per lasciarsi ospitare dall’artefatta riproduzione di bordo, confortevole ma falsa, è annotato con malinconia lacerante in Diario di bordo, definito giustamente da Raffaella Rodondi «nitido foglietto volante di taccuino» (RR I 796) e datato 8 dicembre 1922, pubblicato poi nell’edizione solariana della Madonna dei Filosofi (1931): l’arazzo pseudo-rinascimentale alla parete della sala da pranzo, insieme agli arredi costituisce «ciò che viene con me per il signorile Mediterraneo» – ormai lontani gli elementi della civiltà materiale che ha formato l’emigrante-osservatore-descrittore, «rimangono le rocce e i giardini, ed i fari. Rimangono i dipinti, i palazzi, le drogherie. Poi anche i monti, quello che vedo ancora e quelli che sono già dispariti» (RR I 47).
L’inestricabile connessione tra dato sensitivo – la percezione visiva della distesa oceanica – e dato culturale – la stratificazione della memoria storica da parte dell’osservatore – è teorizzata nella Meditazione milanese, al capitolo La materia e la molteplicità: prima si constatano i dati che connotano un qualunque moto ondoso («i marosi e la lor rabbia verde o cinerea, e il cupo fragore dell’ arrembaggio loro avverso le prode»); in un secondo momento ci si rende conto di essere di fronte a quel mare, l’Oceano, materia divenuta tradizione storica. L’approdo di tale navigazione diventa exemplum di virtù acquisita dall’ambiente: gli emigranti del Principessa Mafalda trascorrono dalla condizione umiliante dei loro predecessori, costretti a sbarcare alla disperata, a quella di chi rivendica la dignità della gravitas, lascito esteriore di una civiltà che cerca di mantenersi integra formalmente:
Gli emigranti italiani sbarcavano anni fa a Buenos Aires facendo a piedi nudi nell’acqua 100-150 metri, dove le barche non arrivavano per troppo scarso fondale. […] La virtù consiste ora nel «scendere con elegante disinvoltura» dal ponte del piroscafo sul pontile del molo. – Occorre avere «scarpe che non si perdono per strada» ed essere grandi e nobili nel «non levarsi le scarpe e nel non perderle per istrada», cioè esattamente il contrario di prima. (1)
Al momento di riproporre l’autobiografia sotto il velame stravolto della finzione romanzesca, Gadda ricorderà il momento dello sbarco nel sesto tratto della Cognizione del dolore (pubblicato nell’aprile-giugno 1940 su Letteratura, e poi parzialmente, nell’Adalgisa, col titolo, significativo, Navi approdano al Parapagàl), rilevandone il valore epico, metafora rabbiosa di un arrembaggio famelico da parte di chi è in cerca di fortuna («Tempestoso mare addosso le zattere sbatacchiate delle genti sperse, slavate, con sargassi cinesi o di bracci di negri fuor dal ribollire delle onde: armeni, russi, bianchi e rossi, arabi che s’erano conquistati una scialuppa coltello alla mano», RR I 692); gli emigranti sono profughi, privi di identità personale e di una qualche appartenenza, se non quella etnica, ridotti a macabra deriva di detriti della Storia:
[…] sull’effuso mugghiare di quella turba in tobòga senza più né Cristo né diavolo, moltitudine flagellata contro la proda dal precipitare dell’onda, ecco, ecco, alfine! Il trionfo blafardo di alcuni impresari di pompe funebri […]. Questo mare senza requie, fuori, sciabordava contro l’approdo di demenza, si abbatteva alle dementi riviere offrendo la sua perenne schiuma, ribevendosi la sua turpe risacca. (RR I 693)
L’altro mare dell’opera gaddiana è il Mediterraneo, ricco dei lasciti delle antichissime civiltà che vi si affacciano e di cui costituisce l’elemento comune. Nei confronti del mare nostrum, Gadda esibisce lo stupore incantato davanti ad una superficie di luce, che penetra tra gli edifici e la vegetazione che danno forma alla costa plasmando, fino ad uniformarla, la presenza antropica ed arborea.
In Sogno ligure, uno degli Studi imperfetti inseriti nella Madonna dei Filosofi, ma già pubblicati su Solaria nel giugno 1926, in una visita ad una chiesa barocca ligure, Gadda ricrea, rapidissimamente, la storia delle cruente incursioni piratesche, che hanno lasciato immutato il paesaggio marino, ora custode della preziosità ambita nelle scorrerie passate: «Il mare di lapislazuli, squamato d’oro» (RR I 44). (2) Questo mare, nella Meccanica, stesa nell’autunno del 1928, è per il tisico Luigi Pessina, avviato al fronte in Trentino, il miraggio di sfolgorante salute, a lui negato dalle modeste origini (RR II 529).
Gadda illustra estesamente i significati culturali legati al Mediterraneo in Crociera mediterranea, resoconto in cinque parti, pubblicato sull’Ambrosiano nell’agosto del ’31, di una crociera a bordo del Conte Rosso da Genova a Venezia, con scali nei territori italiani (Tripolitania, Rodi, Dalmazia), e attenta ricerca della continuità tra le tracce di passate dominazioni di matrice italica (quella romana e quella della Serenissima) e l’attuale. Un anno dopo (ed esattamente sul numero del 9 agosto), Gadda pubblicava sul medesimo giornale la recensione alle due raccolte montaliane Ossi di seppia (Lanciano: Carabba, 1931) e La casa dei doganieri e altri versi (Firenze: Vallecchi, 1932), in cui rilevava come nei versi del poeta ligure il mare, il Mediterraneo «ribolle incomposto e pur attua […] la legge compòsita ed armoniosa della infinità, della totalità» (SGF I 767).
La compattezza cromatica della superficie marina ha però i suoi risvolti tragici: in Prima divisione nella notte, quando Vittorio, il protagonista in aenigmate del racconto, è confrontato con il suo destino ultimo, i colori scompaiono, lasciando luogo al «nero enigma del mare», «nero piano del mare» (RR II 888), quel mare, che pure in Gioia della chiarità marina, pubblicato un anno dopo il racconto (Fiera Letteraria 13 gennaio 1952), viene detto esser stato tràmite «dell’antico apprendere, dell’antico meditare» (SGF I 1001).
Università di TorinoNote
1. SVP 686. Nella sezione Tirreno in crociera di Crociera mediterranea, pubblicato sull’Ambrosiano il 1 agosto 1931, si trova la descrizione dell’approdo opposto, quello di italo-americani a Genova,«il gregge odoroso di dollari» (RR I 183); ben diverso è, nel Pasticciaccio, lo sbarco al Molo Beverello delle giovani baccanti wasp, ufficialmente venute per il Grand Tour, alla ricerca, in realtà, di avventure erotiche con i ruspanti indigeni (RR II 172-75).
2. L’immagine sarà cara a Gadda, poiché tornerà in Prima divisione nella notte: «Guardavo, abbagliato, le squame d’oro del suo camaglio senza pace».
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2002-2024 by Maurizio Rebaudengo & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).
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