Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
«Prima divisione nella notte»
Maurizio Rebaudengo
Con questo racconto Gadda concorse alla terza edizione del Premio Taranto, sezione narrativa, per un testo inedito di soggetto marinaro, che aveva visto in precedenza il successo, nell’ordine, di Raffaello Brignetti (Il grande mare) e Gaetano Arcangeli (Vicenda). A presiedere la giuria della sezione narrativa era Giuseppe Ungaretti, segretario Antonio Rizzo, anima del premio; per il resto, la giuria risultava composta da Enrico Falqui, Gianna Manzini, l’ammiraglio Fioravanzo, Alberto de’ Stefani, ex-ministro delle Finanze di Mussolini, e Carlo Scarfoglio.
Dopo l’esame dei testi pervenuti, la giuria aveva deciso un ex-aequo tra il racconto gaddiano e Giobbe di Giovanni Artieri; ad essere segnalati furono Pier Paolo Pasolini (Terracina), Luigi Morciano (La repubblica di Alconzino), Maria Checchi (Racconto d’estate), Massimo Franciosa (La corruzione del mare), Mario Capogrossi (Libecciata). Essendo però il premio indivisibile, il Comitato organizzatore cercò in qualche misura di rimediare al verdetto dei giurati, attribuendo a Gadda una somma superiore rispetto ad Artieri (£ 300.000 contro 200.000). Gadda se ne adombrò, insultando la giuria nella lettera del 2 febbraio 1951 all’amica Lucia Rodocanachi (Gadda 1983d: 180-81), per legami con il passato regime, e dunque per pregiudizi ideologici. Ma, dagli atti del concorso, emerge che Gadda, ingenuamente, violò l’imposizione dell’anonimato, esplicitando sul testo con orgoglio l’identità dell’autore.
Sembra ragionevole accogliere entrambe le spiegazioni: Gadda era così sicuro della qualità della propria scrittura da esibire come marchio di garanzia il proprio nome; l’argomento del racconto – la tragedia dell’attacco a Capo Matapàn, il 28 marzo 1941, da parte della flotta inglese – non poteva essere accetto ad una parte della giuria, direttamente coinvolta con il regime o che preferiva rimuovere una sconfitta che ancora bruciava (la votazione finale vide contrari Scarfoglio, Rizzo e de’ Stefani, mentre si era astenuto Falqui), anche perché Gadda, nel corso del racconto, non lesina critiche all’operato delle alte gerarchie militari italiane. Vi è poi un altro elemento che ad una parte della giura poteva essere sembrato oltraggioso, quasi inammissibile, perché una vera e propria offesa alla patria, come vedremo.
Il racconto fu pubblicato su La Voce del Popolo di Taranto, l’organo del Comitato organizzatore del Premio, il 13 gennaio del 1951, e ripreso due settimane dopo – più precisamente il 28 di gennaio – da La Fiera Letteraria, e, ancora, dalla Rivista di cultura marinara, nel numero di marzo-aprile, e raccolto, poi, nella silloge Accoppiamenti giudiziosi (1963). Una settimana prima della pubblicazione sul giornale tarantino, Gadda era sceso in Puglia a ritirare il premio monco, e le impressioni di quel viaggio gli diedero il materiale per scrivere Gioia della chiarità marina, pubblicato su La Fiera Letteraria il 13 gennaio 1952.
Uno scrittore, doppio dell’autore, è indirizzato ad una signora di cittadinanza spagnola, ma di origine inglese, per poter praticare l’inglese e il tedesco; la signora, dal turbolento passato sentimentale, vive nella «casa rossa tra le agavi», la dimora identificata da Giuseppe Marcenaro in Villa Desinge (Gadda 1983d: 33), la casa fatta costruire da Paolo Rodocanachi ad Arenzano nel 1930, ove Gadda fu ospitato per la prima volta nell’estate del 1936.
Lo scrittore, soprannominato il «professore», non ottiene lo scopo, né tanto meno di poter affittare una stanza-studio presso la villa della signora. Durante una passeggiata lungo l’Aurelia, viene investito da un’auto, guidata dalla giovane e ricca milanese Carla, la baldanzosa fidanzata di Vittorio, figlio della signora e appena partito per prestare servizio militare in Marina, allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Dalla frequentazione con Carla successiva all’incidente, lo scrittore apprende i risvolti meno ufficiali delle verità enunciate dalla signora con fondamento sempre meno razionale. Vittorio, sfrontatamente bello, esempio di vitale e virile complessione fisica, smentendo il suo infausto nome, cade durante la battaglia di Matapàn, saltando insieme all’incrociatore Fiume, su cui è imbarcato.
Vittorio non compare mai, nel corso del racconto; il professore-narratore lo conosce tramite le fotografie squadernategli sotto gli occhi dall’impetuosa Carla e dalle lettere, mostrategli sempre da Carla, scritte – tiene a sottolineare il narratore – sia alla madre che alla fidanzata, e che causano alla prima scene di isterica esaltazione, nella seconda lacrime di rimpianto.
Per comprendere il racconto, risulta utile l’«accusa di dannunzianesimo», che Carla rivolge alla madre del suo Vittorio: la retorica nazionalistica e patriottica, codificata dal Vate ed abusata dal regime, viene smascherata. La morte eroica, addirittura bella, con la quale il destino di un singolo si fonde e si annulla nei gloriosi destini della Patria, non è celebrata, anzi: l’avvicinamento al momento dell’esplosione è lento ed inesorabile, perché storico e non fittizio, tracciato seguendo i diari dell’«Ammiraglio», i cui passi più rilevanti vengono citati non a caso tra virgolette, soprattutto quando la lingua del ricordo ufficiale distorce la banale e tragica verità fattuale, lo smembramento di un corpo giovane e bello, concrezione di vita.
L’insistita presenza di D’Annunzio all’interno del racconto non si limita ad una vaga condanna di certa retorica frusta, e non giustificata dalla realtà degli eventi: la genitura marina del figlio, ripetutamente attribuitagli dalla madre («il mare me lo ha dato»), allude ad Al re giovine, la lauda terminata la notte del 7 agosto 1900 ed inserita poi nel secondo libro delle Laudi, Elettra, pubblicato nel 1904. Il re che arriva dal Mare, «chiamato dalla Morte», diventa il povero marinaio, destinato ad essere riassorbito dal mare, ma smembrato, dopo che l’avvistamento delle navi inglesi, inaspettatamente comparse, ha donato una «cognizione impreveduta, inesorabile», che impedisce a Vittorio «ogni possibilità di seguitare ad amare, a conoscere» (RR II 888).
Università di TorinoPublished by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2002-2025 by Maurizio Rebaudengo & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).
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