EJGS Monographs, vol. 2, EJGS 2/2002

Un «religioso rispetto»
Leopardi in Gadda

Alessio Ceccherelli

Introduzione

Ci sarebbe da chiedersi che senso abbia lo scrivere sulla presenza di un autore in un altro autore. Una volta che l’opera – e l’autore per mezzo di essa – ci emoziona, rintracciarne una qualche specie di eziologia appare se non altro secondario. Quando la particolare combinazione delle parole riesce a commuoverci, non vi è forse motivo di decomporla: basta così com’è.

Eppure – chissà? – provare a dimostrare come una grandezza si ripercuota in un’altra grandezza può, se non aiutare, arricchire la lettura e l’interpretazione di un’opera. Per quanto sempre in agguato sia il rischio del sofisma, sostenere che, una volta nota l’influenza di uno scrittore in un altro scrittore, si possa essere in grado di intonare diversamente una sua frase, non ci appare capzioso né sofisticato: le parole nascondono armonici impensati. Ecco dunque la ragione della nostra analisi: Leopardi in Gadda non tanto per spiegare, quanto per impreziosire, per proporre un’intonazione particolare.

A voler essere chiari. In Gadda si ritrovano impronte di qualsiasi autore – o almeno, questa è l’impressione: la sua cultura pantagruelica spinge facilmente all’abbaglio. Ma quello che in altri potrebbe definirsi omaggio, prestito, o plagio, in lui sfiora – fin quasi a toccarli – i confini del morbo, della patologia, e sarebbe opera improba tracciarne l’anamnesi. Innumeri e impercettibili sono i frantumi che si innestano nella vastissima opera gaddiana, tanto che risulterebbe avventato, oltreché inutile, ricondurli al corpo d’origine. Si tratti di riverenza, ostentata cultura, semplice memoria inconscia, o faiblesse patologica, l’atto stesso dello scrivere gaddiano non può prescindere dalla citazione scheggia, dal travestimento, dall’ironia. Basare allora uno studio sulla presenza di Leopardi in Gadda può apparire gesto di presunzione suprema, se consideriamo anche il fatto che, nel caso del recanatese, il discorso della citazione si fa ancora più complesso, visto che per più di mezzo secolo egli è stato alla base di un ampio quanto indefinibile movimento letterario ed esistenziale: il leopardismo.

Perché, dunque, Leopardi in Gadda? Perché lui e non qualcun altro? Prima di tutto, perché è un grandissimo. Anzi, riferendoci alla sola Italia ed escluso senz’altro Dante, è il personaggio e il letterato che più di tutti ha influenzato la letteratura italiana degli ultimi due secoli. Un’altra ragione è invece endemica al corpus gaddiano: moltissime sono le pagine in cui il poeta viene omaggiato e ossequiato, sempre con stima e simpatia indubitabili. Già il solo numero, il semplice aspetto quantitativo delle citazioni nasconde in sé il secondo lato, il revers qualitativo della dicotomia: un’addizione, per così dire, che ha valore moltiplicativo. E aggiungiamo poi che, nella sterminata bibliografia critica gaddiana, non si registra praticamente menzione del suo nome, e questo suona strano. Se infatti è stato scritto praticamente tutto sull’influenza, ad esempio, di Manzoni, e se più di qualcosa, in fondo, si trova sulla presenza di (odiosamate) figure come Carducci, D’Annunzio e Foscolo, niente, al confronto, s’è detto sull’altra grande figura dell’ Ottocento italiano. Almeno a nostro sapere. Quantunque il nome di Leopardi appaia più volte nei vari saggi sull’ingegnere, egli sembra venir trattato, a parte rare occasioni, come elemento accessorio, inessenziale, o al più scontato. Si oscilla, cioè, tra un atteggiamento di indifferenza e uno di prevedibilità. In entrambi i casi, si passa oltre, non si approfondisce.

Anche Roscioni, Contini e Manzotti rientrano in questa generale attitudine. La monumentale edizione critica che quest’ultimo ha curato della Cognizione del dolore (Gadda 1987a), opera che, come ebbe a dire Contini, non può che suscitare ammirazione in noi tutti, è infatti ricchissima di riferimenti leopardiani: dal titolo (fatto risalire, oltre che a Machiavelli e Schopenauer, a un paio di sintagmi dei Detti memorabili di Filippo Ottonieri), alla serie di pastiches tratti da vari luoghi dei Canti. Eppure, manca in questi riferimenti una ratio, un principio che espressamente li leghi e li giustifichi. Lo stesso si dica dell’unico saggio che approfondisce il rapporto tra i due autori, ovvero quel Gadda e Leopardi apparso sulla Rassegna della letteratura italiana (Righi 1985: 148-56). La studiosa coglie con destrezza molte attinenze filosofiche ed ideologiche, mette in risalto il parallelismo nel modo di porsi alla provincia, analizza le diverse forme di ironia e di pessimismo: ma lo sguardo si ferma forse un po’ troppo in superficie, senza affondare nelle pieghe del testo.

Discorso diverso per il libro di Pierangeli (Pierangeli 1999); seppure all’interno di uno studio più ampio, l’analisi della presenza leopardiana in Gadda è portata avanti con misura e profondità, arrivando a cogliere quello che secondo noi caratterizza il prestito leopardiano: il riuso dell’idillio. È infatti nell’idillio che va a ripescare costantemente la memoria gaddiana, quasi che, nella descrizione di determinate atmosfere, quella fonte risultasse inevitabile e inesauribile. Su questo punto si basa in pratica la ragione del nostro studio; o meglio, su questo e su un altro: la propensione all’autobiografismo e all’affratellamento, che nel caso di Leopardi tocca a volte lo scambio di identità.

Ovvio, comunque, che anche altri saggi hanno fornito riflessioni in merito; e riflessioni spesso finissime. Si tratta di critici e studiosi che sfiorano per un attimo la questione leopardiana, dicendone quanto è permesso dal contesto del loro studio. (1) è proprio in virtù di questa diffusa rete di rimandi e di intuizioni, che abbiamo deciso di analizzare – direttamente, e in modo più attento – l’influenza leopardiana nell’opera gaddiana. La nostra analisi prenderà le mosse dall’irrefrenabile tendenza dell’ingegnere a ritrarsi ovunque: a proiettare la sua ombra sulle tavole di altri palcoscenici. Esaminerà quindi l’esempio più eloquente di questa propensione in un saggio su Villon, per poi concentrare l’attenzione – prendendo spunto da un altro saggio e da un altro personaggio cardine dell’immaginario gaddiano: Baudelaire – sulla essenzialità della figura materna: icona imprescindibile ad ogni suo narrare.

Nella seconda parte (vero fulcro al nostro discorso) cercheremo di dimostrare come la figura di Leopardi sia fatta oggetto d’elezione, e come sia, il suo palcoscenico, quello in cui più facilmente ha saputo recitare Gadda. Sulle vicende di Leopardi, l’ingegnere ha edificato l’ennesimo labirinto, un labirinto che dobbiamo immaginare fatto di specchi, come per un suo privato, privatissimo castello di Atlante, agevolato, in questo, da una serie di incredibili somiglianze: una su tutte, ancora una volta, la madre.

Negli ultimi tre capitoli, applicheremo le nostre ipotesi alla pratica dei testi. Evidenzieremo cioè il riscontro testuale della predilezione gaddiana, a partire dai suoi vari saggi e dalle sue opere minori, per passare poi ai capolavori: Cognizione e Pasticciaccio. Seguiremo l’arco percorso dall’idillio nell’opera gaddiana, raccon-tandone l’illusione, la delusione, la sconfitta; tracceremo la linea che percorre queste ascendenze, dimostrando che una ragione presiede al loro ricorrere. Finiremo quindi con l’esaminare il modo in cui, nel bailamme del Pasticciaccio, fosse ancora possibile rendere omaggio al poeta. Si è rischiato, è vero, di indulgere troppo alla citazione. Crediamo, però, che niente più dello stesso Gadda potesse testimoniare a favore delle nostre congetture; e le sue parole sono spesso più eloquenti di qualsiasi chiosa.

Concludiamo questa introduzione con una nota di Carannante, quasi un lasciapassare al nostro viaggio: «sarebbe […] curioso ed istruttivo ripercorrere un po’ tutta l’opera di Gadda alla ricerca di qualche eco leopardiana: una sorta di “filo rosso leopardiano”: Leopardi in Gadda, per intenderci. Qualche piccola sorpresa è sempre possibile» (Carannante 1984: 192-93). Speriamo di aver contentato almeno lui.

Università di Urbino

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Note

1. Ci riferiamo, fra gli altri, ai saggi di Gorni, Donnarumma e Piccioni, che tratteremo a tempo debito.

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-04-3

© 2002-2025 by Alessio Ceccherelli & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002).
artwork © 2002-2025 by G. & F. Pedriali.
framed image: photograph of Gadda, letter by Gadda to Betti (21 April 1923), manuscript of Leopardi’s Infinito (superimposed).

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