Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Amleto

Giuseppe Stellardi

Quanto l’Amleto sia cruciale in Gadda, e attivo soprattutto nella filigrana della Cognizione del dolore (ma anche altrove), è già stato ampiamente segnalato dalla critica. (1) Non c’è dubbio che Gonzalo abbia chiari tratti amletici; ma è proprio sul significato dell’aggettivo amletico che Gadda si sofferma, con particolare veemenza, nel suo saggio critico più specificamente dedicato alla tragedia shakespeariana, «Amleto» al teatro Valle, attaccando soprattutto l’accezione del termine che vede nell’eroe l’incarnazione stessa del dubbio, se non addirittura del vacillamento morale e dell’indecisione. Mentre invece, per Gadda, «in lui non si contorce il dubbio, chi mai ha inventato questa scemenza? Si palesa invece un dibattito» (SGF I 539).

Amleto non è alla ricerca della verità, perché, al momento del notissimo monologo, la conosce benissimo, né d’altra parte ha esitazioni di carattere etico. Il dubbio è semplicemente operativo: che fare? Vivere la finta vita del rispetto delle convenienze, e quindi rassegnarsi al non-essere, o scegliere di essere veramente, di prendere in mano propria il comandamento della giustizia, e insieme il proprio destino? In realtà il dilemma è retorico: Amleto sa che non potrà sottrarsi al proprio dovere, tanto più che esso coincide con la sua unica possibilità di esistere compiutamente. Tuttavia l’esitazione non è né leziosa, né ingiustificata; l’azione inderogabile porterà non solo alla negazione della vita altrui, ma anche della propria. La scelta per l’affermazione della verità è dunque, contemporaneamente, un andare verso la morte. (2)

La posizione di Gonzalo è assai simile. Anche lui, in possesso ormai di inoppugnabili certezze («sapeva, sapeva», RR I 730), che esigono azione, si trova a dover attaccare le «parvenze non valide» (RR I 703); questo è ciò che la verità inesorabilmente richiede, che la sua anima esige per affermarsi come sostanza valida, e non essa stessa futile apparenza: «Negare, negare: chi sia Signore e Principe nel giardino della propria anima». Tuttavia il negare è morte: «[…] Ma l’andare nella rancura è sterile passo». Nello strappare le apparenze false si distrugge anche ogni possibilità di solidarietà, d’amore, di compassione, e nulla rimane. L’auto-affermazione eroica del soggetto etico è dunque simultaneamente la sua auto-distruzione.

Ma non è tutto. Così per Amleto come per Gonzalo, l’azione etica comporta un gesto la cui portata distruttiva, oggettivamente e simbolicamente, è indicibilmente atroce: si tratta dell’uccisione della madre. La madre, in entrambi i casi, è al centro di una ragnatela di bugie che impediscono ai due protagonisti di vivere, e fanno della vita stessa una mostruosa commedia. La regina Gertrude, corresponsabile di un orribile delitto, è anche l’ostacolo principale al ristabilimento della giustizia, proprio perché il naturale rispetto del figlio gli proibisce di toccarla. Nella sua cucina, cuore della sua villa, centro dell’universo, la madre di Gonzalo, come un gigantesco ragno, tesse la sua tela di apparente bontà, che porta la menzogna fin nell’ultimo rifugio del figlio, privandolo di ogni spazio e di ogni energia necessari per vivere nell’unico modo che sia a lui possibile, ossia in uno stato di sdegnosa separazione dal reale. Il conflitto con l’ambiente sociale potrebbe forse essere vivibile nonostante tutto, se Gonzalo potesse contare sull’unico alleato di cui ha bisogno per costruirsi un mondo alternativo alla farsa borghese che tutti chiamano vita: sua madre. Ma la madre, lungi dall’essergli compagna di strada, si rivela ciò che è sempre stata: la nemica, la fonte remota e profonda del male. Il risentimento presente si riconnette a antiche ingiustizie subite o immaginate, all’incomprensibile crudeltà degli educatori, alla segreta gelosia verso il fratello prediletto dalla madre. Al tempo stesso, però, la madre è per definizione la fonte della vita, la dispensatrice unica dell’amore, il cordone ombelicale con la realtà; negare la madre, perciò, significherà recidere l’ultimo ponte con la normalità, distruggere l’estrema speranza di salvezza. Così è anche per Amleto. Il gesto necessario e disperato che afferma la volontà etica dei due eroi – negare tutto ciò che è falso, quindi respingere tutto (incluso, per Amleto, l’amore innocente di Ofelia, o per Gonzalo le innocue profferte del dottore) – comporta inevitabilmente la distruzione della radice stessa della vita, rappresentata simbolicamente dalla madre.

Poco importa che, nel dramma shakespeariano, la morte della regina sia accidentale, e che nel romanzo la possibilità (pur contemplata in sede di ideazione) di una responsabilità diretta del figlio nell’attacco alla madre venga solo adombrata; entrambe le madri subiscono l’oltraggio e la violenza che i figli oscuramente presagivano, e anzi volevano come presupposto necessario al trionfo della verità, nonché alla propria liberazione. Ma da tanto snaturato eccesso (contro la persona della madre e contro la vita stessa che quella rappresenta – groviglio di contraddizioni e bugie, ma anche organico sistema di relazioni, doveri e affetti) non può discendere che disfacimento: così che Amleto seduta stante muore, mentre di Gonzalo non sarà più menzione. Ma già si sapeva, fin dall’episodio del sogno nel tratto terzo (RR I 633), che la scomparsa della madre, invece di liberarlo psicologicamente e emanciparlo finanziariamente, non avrebbe portato a Gonzalo che ulteriore solitudine e disperazione («tutto era mio! mio!.... finalmente.... come il rimorso»).

Il rifiuto senza compromessi delle apparenze false, che l’ossequio al vero e il rispetto di se stessi esigono, porta solo alla morte. Ora, l’atto della cognizione, e il gesto della scrittura della Cognizione del dolore, che incorpora e manifesta quell’atto, corrispondono a quel rifiuto e ne sono in parte espressione; scrivere la Cognizione è mettere nero su bianco i propositi omicidi di Gonzalo-Amleto. Si tratta di un atto di veridizione totale (almeno nelle intenzioni), appena velato da strati abbastanza sottili di finzione. Il gesto liberatorio-distruttore del «proclamare la verità» è il metro vero (anche se certamente non l’unico) col quale misurare la riuscita, cioè la completezza e la compiutezza, del risultato; sappiamo che il risultato è agli occhi di Gadda non solo incompleto ma anche imperfetto, (3) ed ora abbiamo un’ipotesi di spiegazione di questo suo duro giudizio. Né Gonzalo, né l’autore della Cognizione corrispondono pienamente al loro modello shakespeariano; la scelta per l’assoluto etico (o per la vita «vera») non è stata portata fino in fondo. La vita è salva; ma che vita è? Qualcosa di simile si può dire anche per il Pasticciaccio: giunto al momento amletico e risolutivo, quello in cui bisognerebbe ristabilire la giustizia (ma anche distruggere la vita, in quel caso rappresentata dall’esuberante vitalità dell’Assunta), il commissario Ingravallo esita e, quasi, si pente. Il romanzo si conclude senza risoluzione.

Scrivere la Cognizione, a ridosso della morte della madre, è per Gadda un gesto che corrisponde alla scelta amletica per la verità e la giustizia; ma in quanto gesto di negazione generalizzata delle convenienze, degli affetti, delle usanze e, globalmente, del tessuto fragile della vita (il tutto potentemente sussunto nel simbolo iconoclastico e atroce della violenza liberatoria nei confronti della madre), la Cognizione è arma a doppio taglio. Ecco dunque che la Cognizione dovrà essere imperfetta: un compromesso fra le richieste esorbitanti del vero (soggettivo, s’intende: l’unico che qui interessi) e le esigenze della vita. Se il primo vuole lucidità assoluta e il rifiuto di ogni concessione, la seconda anela ai balsami ristoratori offerti dall’arte: invenzione, bellezza, sublimazione, trasfigurazione, catarsi, sogno, ilarità, oblio.

In questo senso la Cognizione splende nella tensione polarizzata fra la pulsione (negativa) di verità e l’energia sempre positiva dell’arte. Vince gloriosamente (per quanto di stretta misura, a tentare il computo delle energie in campo) l’arte; ma non a tal punto da liberare, o obliterare definitivamente, il fantasma omicida e inquieto di Amleto.

Oxford University

Note

1. Si vedano in particolare, come punti di partenza recenti, Biondi 2002 e il dettagliato approfondimento di Bertone 2004b: 105-36.

2. «Amleto sente il carattere annichilatore della propria azione, sa di dover cadere lui stesso, nell’atto di operare il cauterio estremo del male, della vergogna e della colpa. Ed è questa, forse, la ragione oscura e profonda per cui egli respinge da sé quella che lo ama riamata (che è nel buio del non sentire e del non essere, etico e fisico)» (SGF I 541).

3. Si veda L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, in appendice a La cognizione del dolore (RR I 759 sgg).

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

© 2008-2023 by Giuseppe Stellardi & EJGS. First published in EJGS. EJGS Supplement no. 1, third edition (2008).

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