Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
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Colonialismo
Albert Sbragia
Benché il colonialismo italiano non abbia mai avuto una valenza predominante nella produzione letteraria gaddiana, non ci sono motivi per mettere in dubbio l’aderenza alla idea coloniale da parte del giovane Carlo Emilio, di inclinazione nazionalista e successivamente fascista. Così, negli ultimi giorni di prigionia a Cellelager, scrive della «vecchia idea» sua e dell’amico Bonaventura Tecchi «di far domanda per la Libia» (SGF II 829). E alcuni dei momenti più sentiti di Crociera mediterranea (1931) riguardano appunto la presenza coloniale italiana in Libia, che l’autore vede come «un abbozzo di redenzione» e di cui, in sintonia con la retorica del regime, loda il ripristino delle glorie di Roma antica negli scavi archeologici di Leptis Magna ed alti siti (RR I 192, 198).
Tuttavia, non è il colonialismo africano, di primo grado, che incide profondamente nella vita e nell’immaginario del giovane Gadda. è invece l’idea coloniale di secondo grado, quella che riguarda le cosiddette colonie di emigrati italiani all’estero, che avrà risonanze più intime nell’opera del Nostro, grazie soprattutto alla sua esperienza giovanile in Argentina.
Per i colonialisti italiani, il sogno di una nuova Italia al Plata era più vago di quello di un’Africa italiana, ma l’alta percentuale d’emigrazione italiana in Argentina lo mantenne vivo. A cavallo del Novecento, si manifesta l’idea che la massiccia emigrazione nell’America del Sud potesse essere indirizzata a rendere la zona una specie di «colonia libera» per l’espansione dell’industria e della manodopera italiane. A tale scopo, i nazionalisti misero in risalto l’importanza di mantenere e fomentare nei nuovi emigrati italiani un forte senso di «italianità».
Così, nel 1914, Alfredo Rocco, che sarebbe diventato uno degli architetti del corporativismo fascista, promosse l’idea di una politica d’emigrazione di operai italiani educati nei valori del nazionalismo italiano al servizio della penetrazione del capitalismo italiano nei mercati esteri. I fascisti istituirono i «fasci all’estero» e varie altre iniziative per promuovere un forte senso di nazionalismo e fascismo nella coscienza degli emigrati italiani. (1) L’attività di Gadda in Argentina e alcuni suoi scritti sull’esperienza danno indizio della sua sintonia con molte di queste posizioni.
Gadda passò quattordici mesi in Argentina, dal dicembre del ’22 al febbraio del ’24. Fu assunto come ingegnere meccanico ed elettrotecnico e fu assegnato alla costruzione di un cotonificio nel territorio del Chaco. Dalle lettere alla sorella Clara sappiamo al suo arrivo a Resistencia che fu subito impressionato dal monumento degli italiani alla lupa romana; che fece parte del direttorio del fascio all’estero di Buenos Aires; che criticò i giornali in lingua italiana per i loro attacchi al regime fascista, notando, però, che «[n]on ostante tutto, l’italianità trionferà di sé stessa» (Gadda 1987b: 56, 85-86). All’amico Ugo Betti scrisse: «Mussolini c’è ogni giorno. Il prestigio di quest’uomo è enorme […] L’influenza morale dei suoi gesti ha cresciuto all’Italia un grande rispetto» (Gadda 1984a: 90), questo, forse, l’elogio più sostenuto del leader fascista che abbiamo dalla penna del Nostro.
Nei due saggi del 1934 che Gadda scrisse sulle sue esperienze argentine, Da Buenos Aires a Resistencia e Un cantiere nelle solitudini, vediamo le tracce del sogno delle colonie economiche italiane all’estero di cui aveva scritto Rocco vent’anni prima: «Sentii di amare quella terra sconfinata […] la immaginai popolata della nostra gente, e lavoro» (SGF I 109). Ancora più interessante è la descrizione che Gadda fa del potere esercitato dal colonialismo industriale sulle «mezze cazzuole» indigene. Benché stipati in una miseria morale, questi lavoratori «mezzi Indios», Gadda sostiene, «accettavano il loro destino come una legge, contro cui è cosa empia l’insorgere. L’uomo di fuorivia, il “gringo”, che spregiano e vorrebbero odiare, esercita, sopra di essi la effettuale superiorità del denaro, della mente, e degli atti […] Ebbi conferma, al cantiere, d’una constatazione già molte volte fatta e già volgarizzata nel mondo hegeliano delle storie: l’inconscio d’ogni uomo accetta il comando del suo simile-dissimile, purché motivato, e fosse contro anche agli schemi dell’abitudine: si abbandona, reluttante o docile, alla tecnica dell’evento reale. Una “religio” ed una economia gli suggeriscono gli atti sommessi» (SGF I 114).
è una difesa del colonialismo industriale che, con il riferimento all’evento reale, ci riconduce in quel garbuglio di pensiero speculativo-politico che Gadda andava elaborando negli anni venti dopo il ritorno dall’esperienza argentina. Nel Racconto italiano è il fascismo che viene definito dal protagonista semi-autobiografico Grifonetto Lampugnani come il «metodo reale» che «tiene conto delle dure realtà fenomeniche» dell’Italia del primo dopoguerra in opposizione al culto rovinoso della plebe promulgato dal socialismo «che suscita i bruti a delinquere» (SVP 566). (2)
Come si sa, il cosiddetto «reale» riceve dal giovane Gadda un’ampia estensione morale che lo rende quasi sinonimo del «bene», mentre il «male» è costituito dalla mancanza di quelle relazioni che distinguono il bene-reale. è un accostamento che viene sviluppato nella Meditazione milanese anche in senso spaziale (o, se si vuole, geografico) attraverso il binomio centro-periferia: «Il bene o realtà si attua per la coincidenza di una enorme dovizia di relazioni ed è quindi manifestazione centrale, o convergenza; o quadrivio; o fibra centrale del tessuto. Il male si ha per gradi procedendo verso l’esterno o limite periferico dove la convergenza delle relazioni è sempre minore finché il tessuto si dirada, il fiume diventa sponda» (SVP 689).
Anche in questo caso il teorema riceve una conferma (e una soluzione politica) grazie all’esperienza dell’autore «nel Governatorato del Chaco» dove aveva potuto osservare che i rapporti civici normali riscontrabili nei centri di civiltà vengono meno nelle lontane province nelle quali «il tessuto sociale si anemizza e diventa derma o periferia» di modo che «la vita, ovverosia la realtà, possa essere imposta soltanto con la forza» (SVP 698). Aggiunge che una situazione analoga può sorgere ovunque prenda le redini un’anarchia fuori misura al punto in cui «lo straziato corpo sociale genera la sua estrema difesa e alcuna voce grida: “io sono la legge”. E così Cajo Cesare impone, dictatur, alla incomposta e frenetica società romana di quella Repubblica che fu così pubblica e così poco res […]» (SVP 699).
Così, dal disordine delle pampas argentine passiamo a quello analogo, per interposta figura della tarda repubblica romana, dell’Italia del dopoguerra, e (sembrerebbe), per interposta figura dell’amato Giulio Cesare, alla giustificazione della dittatura fascista. L’idea, o l’ideale coloniale gaddiano è un surrogato della sua utopia economico-sociale per la madre patria: un ordinato industrialismo dove operai restii si arrendono di fronte all’evento reale della marcia trionfale del capitalismo tecnologico e al metodo reale di un ordine pubblico imposto dalla dittatura fascista.
A livello personale, invece, l’esperienza argentina di Gadda è stata un ennesimo episodio di delusione e sconfitta. Con sua sorella lamenta del clima orrendo, della sua solitudine, del desiderio di tornare in Italia. Persino la sua attività politica gli dà poca soddisfazione; le difficoltà del fascio locale, scrive, «non sono quelle di carattere “eroico” dei fasci in Italia, ma hanno invece la tinta intrigante e pettegola adatta alla microcefalia della colonia» (Gadda 1987b: 86). Nel gennaio del ’24 ha già chiesto ai superiori di poter tornare in Italia; meno di due mesi dopo è di nuovo a casa.
Al suo rientro, Gadda decide di utilizzare i pochi risparmi fatti in Argentina per scrivere il mai compiuto Racconto italiano di ignoto del novecento. Non esiste nessuna traccia delle parti argentine previste per il romanzo, ma dalle note dell’autore sappiamo che l’Argentina doveva figurare come una zona problematica di contatto fra «l’italianesimo» e «altri popoli, altro ambiente» (SVP 395). In più, le note segnalano un cambiamento repentino di fede nell’esperienza coloniale. Il «fascismo americano» di Grifonetto, scrive Gadda, darà luogo al «disgusto americano»; il personaggio semi-autobiografico passerà «dalla fede nelle “colonie” al disdegno e forzato ritorno» (RI 400, 469). Saranno queste note spia di una crisi in Argentina ancora più profonda di quella che riusciamo ad estrapolare dalle lettere alla sorella?
L’intricato garbuglio che unisce l’idea coloniale del giovane Gadda alle sue speculazioni sul bene (centro) e il male (periferia), e alla sua aderenza al fascismo, ci può, forse, aiutare a capire che il palinsesto sudamericano della Cognizione del dolore è un po’ di più di quella «tenue spolveratura creola» su una realtà brianzola di cui scriveva Contini (Contini 1963a: 16). Solo che adesso la spinta coloniale di dominare il caos della periferia con l’ordine industriale del cotonificio e quello politico della Lupa di Roma è stata capovolta nel mondo dissacrante e nichilista del romanzo, e l’ultimo hidalgo don Gonzalo Pirobutirro, discendente comico-patetico di oppressori coloniali, si vede minacciato dalla periferia che invade il centro dell’ordine, penetrandone fino allo spazio doppiamente sacro della cultura borghese, la casa ancestrale come luogo del possesso privato e teatro del più intimo dramma familiare.
Dietro alla facciata dei suoi tragici complessi sessuali e patologici, le preoccupazioni e le rabbie di Gonzalo rimangono quelle di una piccola borghesia terriera in dissesto. L’ultimo hidalgo perde le staffe di fronte a quello che percepisce essere l’ostentazione premeditata (e politicizzata) del peone José di povertà e di diritto ad una paga fissa, «una dimostrazione a carattere sindacale» (RR I 705). Il fascismo, da parte sua, non si è dimostrato essere la riposta all’assalto socio-economico della bassa periferia. Anzi, nelle estorsioni parassitarie della guardia Mahagones-Managones, il fascismo si è unito all’assalto plebeo, è diventato esso stesso il male peggiore, la peggiore invasione della periferia dove «giganteggia e sparacchia» il suo capo nelle guise del dio-vulcano Akatapulqui (RR I 653). La meraviglia coloniale della Lupa di Roma a Resistencia ha ceduto al profondo male uscito dalla periferia dell’irreale: è il male di dissipazione, la vendetta della periferia.
University of Washington, Seattle![]() |
Notes
1. Sull’argomento si veda in particolare E. Gentili, L’emigrazione italiana in Argentina nella politica di espansione del nazionalismo e del fascismo, in Storia contemporanea 14.3 (giugno 1986): 355-96.
2. Si ricordi a proposito la lettera di Gadda a Betti del settembre 1920 in cui esprime la sua condanna dei «300 sciacalli» scioperanti, che avevano messo in pericolo di vita un suo amico ingegnere, ex-compagno di guerra mutilato (Gadda 1984a: 46).
Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2004-2025 by Albert Sbragia & EJGS. First published in EJGS (EJGS 4/2004). EJGS Supplement no. 1, second edition (2004).
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