Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
Lavoro
Susanna Barsella
Lemma ad altissima occorrenza, dai giornali ai romanzi maggiori, insieme ad opere, macchine, congegni, lavoratori. È con i cahiers di abbozzi per un romanzo sul lavoro italiano che il progetto letterario di Gadda, del resto, inizia nel 1924-25. La frequenza di immagini del lavoro, del macchinario – materiale o metaforico – dell’esistenza, va oltre una semplice proiezione della mentalità ingegneristica dello scrittore, e ben oltre la griglia razionale che si vorrebbe imposta da una nevrotica passione per l’ordine.
Il lavoro pervade l’opera gaddiana sia sull’asse diacronico che sincronico saldandosi ai grandi temi dell’etica e della poetica, come dimostra l’intertestualità tra opere narrative, speculative e tecniche. La Storia stessa si presenta come produzione di atti dell’ingegno, della techne: «Un’idea, un’idea non sovviene, alla fatica de’ cantieri, mentre i sibilanti congegni degli atti trasformano in cose le cose e il lavoro è pieno di sudore e di polvere» (Adalgisa, RR I 291). Ogni atto, anche linguistico, produce realtà: è una meccanica che realizza l’incessante trasformazione dell’esistente nel divenire della storia. La visione della vita come immane macchinario organico, e della natura umana come essenzialmente trasformatrice («ingegneristica»), è l’humus teorico della narrativa gaddiana, esposto negli scritti speculativi e in particolare nella Meditazione milanese.
In questa visione organicistica, nuclei instabili di senso si raggrumano in istituzioni sociali, politiche, linguistiche che hanno la funzione di «annodare fra loro le maglie del reale» (Meditazione, SVP 669). L’uomo, la natura, la macchina, lavorano con leggi analoghe: «una macchina a vapore, un treno con esercizio ferroviario ecc., e un generale con esercito ecc. e un occhio con corpo e barba ecc. sono la stessa cosa cioè sistemi di relazioni attuali, (viventi vita storica) e fondati su preesistenze logiche» (SVP 671). Ciascuna sfera organica lavora in vista di una sua intrinsica finalità disegnata da una mano invisibile. L’ architetto-ingegnere ha lasciato ai suoi demiurghi l’esecuzione e rimane sullo sfondo (il Chi disegnatore di eventi in Notte di luna, la Mente di Azoto, RR I 291, SVP 72), mentre in cantiere i capimastri eseguono l’opera secondo necessità ed efficienza facendo confluire ogni fine specifico, teleologicamente, nell’ indecifrabile disegno della Storia.
Negli scritti sul metodo, dai Viaggi la morte alla Meditazione, Gadda illustra il lavoro come incessante tensione trasformatrice in cui i momenti teorico e pratico si armonizzano. Di questa visione è correlativo oggettivo il capo-operario Carletti di Tecnica e poesia (SGF I), prototipo di Demiurgo incaricato dalla Terra di fabbricare secondo leggi di necessità il Prodotto (L’uomo e la macchina, SGF I 255-62). Il lavoro è il fulcro della meccanica organica del mondo e la sfera etico-fisica che questo definisce s’impernia sulla aristotelica complementarietà e distinzione tra il mondo morale degli atti e quello produttivo del lavoro; tra pratiké e poietiké.
Quest’idea di lavoro si inserisce nella tradizione classica di celebrazione della techne. Come già Esiodo nelle Opere e i giorni e Platone nella Repubblica, Gadda pone nel lavoro la fondazione etica della vita collettiva. La divisione del lavoro crea infatti una rete di interdipendenze e di relazioni economico-sociali che formano il tessuto di quella che Hegel chiama società civile e Gadda pensa come intreccio di relazioni organiche. Come nei pensatori antichi, anche nel grande milanese la tecnica è cioè una forma di conoscenza che congiunge teoria ed esperienza e l’accumulo di nozioni ricavate dalla teoria e verificate nell’esperienza forma un patrimonio comune istituzionalizzato in una forma di sapere comunicabile e storico che fa da leva al progresso. È un lavoro produttivo e cosciente i cui opposti – il lavoro animale e l’ozio – minano alle radici la società politica e civile. In questo senso, esaurite le illusioni giovanili, Gadda attacca l’idealismo platonico della repubblica perfetta fondata sul lavoro in Eros e Priapo: «E di codeste iscioperate razzumaglie te tu vuo’ rizzar la repubblica perfetta? O Plato, cùrati» (SGF II 234).
è una visione del lavoro che poggia su una filosofia essenzialmente realista, come Gadda ribadisce in apertura alla Meditazione: «d’altronde un certo rozzo realismo, anche filosoficamente parlando, ha diritto di cittadinanza nella città dei filosofi, tanto piú quando esso è connaturato come aspectus parziale a un pensiero affermante realtà e idealità» (SVP 623). La questione del realismo è connessa all’anti-naturalistismo gaddiano, poiché il lavoro si inserisce in una concezione organicistica del mondo in cui la trasformazione nell’artificiale ha valore progressivo e costituisce la vera natura dell’uomo. Una visione opposta al naturalismo primitivistico di stampo rousseauiano, attaccato apertamente in Azoto (SVP 68). Contrariamente al Rousseau dell’Emile, Gadda rifiuta infatti l’esaltazione della natura in opposizione all’artificio perché la pulsione dell’uomo a trasformare la realtà è essenzialmente naturale, dove per natura s’intenda la disposizione ultima delle caratteristiche psico-genetiche dell’uomo. L’amore per la natura incontaminata è dunque anti-naturale e contiene germi di irrazionalità.
Nella gaddiana ontologia del fare s’inquadrano alcuni nodi tematici della sua produzione letteraria. Uno di questi è la dignità dell’artefice. L’immagine dell’operaio, pur nelle tinte di povertà e stanchezza, fatica e umiltà (Umanità degli umili, SGF I 1224-226), ha sempre un richiamo epico. Basti l’esempio della sfilata manzoniana dei lavoratori la sera in Notte di luna (RR I 294-95), o, con variazione di registro dal comico al didascalico, dei parquettisti di Quando il Girolamo ha smesso… (Adalgisa, RR I 301-42), o, infine, dei calzolai della Meccanica (cap. II). Gadda non indugia sugli aspetti usuali della ritrattistica a sfondo sociale. Sia la denuncia delle condizioni miserabili delle classi lavoratrici che la propaganda di regime quale esaltazione del lavoro come energia motrice delle progressive sorti italiche appaiono marginali. L’esperienza fallimentare della Casa del lavoro in Meccanica mostra il distacco di Gadda da qualsiasi ideologia sociale non fondata sulla conoscenza della realtà del lavoro. Sebbene i contesti siano drammatici, il lavoro non è assunto a metafora di regressione ma è al contrario principio di interiore costruzione e meccanismo liberatore della natura piú profondamente umana.
Nodo cruciale dell’opera gaddiana è dunque l’etica del fare. Il lavoro – non cieco armeggiare ma applicazione di sapere specifico – è consapevolezza di un compito da svolgersi secondo principi intrinseci e necessari. Negli atti della filatrice, della turbina, o dello scrittore, in ogni aspetto della creazione ingegneristica del mondo non v’è spazio alla gratuità. Questa necessità ed efficienza delle operazioni costituisce il principio di ordine morale di ogni tecnica. Ricorrente è l’immagine dell’umile e del lavoratore associata alla celebrazione dell’ordine del lavoro, l’ammirazione per la «continua e vigile fatica» (Umanità degli umili, SGFI 1224-226). Lo stesso ordine ammirato nella natura, nella meccanica delle parti di un congegnato tutto ricorre nelle descrizioni dei paesaggi delle opere. Cosí dalla terrazza della Cognizione: «Terra vestita d’agosto, v’erano sparsi i nomi, i paesi. Ed era terra di gente e di popolo, vestita di lavoro» (RR I 629 e ancora 679).
Il legame tra etica e paesaggio artificiale compare in molti scritti, da Meraviglie d’Italia, Anni, ed esemplarmente nell’incipit della Meccanica: «La scienza della realtà e della necessità, delle cause e degli effetti, de’ congegni di puntamento, di percussione e di pròtasi, quella sola può leggere dal suo quaderno che in sul capo all’Autore cadrà il pomo dall’albero…» (RR II 469). Le valli di opere, i prodotti umani storicizzati, risultano da un lavoro collettivo in cui adempiere al proprio compito è condizione necessaria per ottenere quel prodotto comune che è la civiltà stessa. È la visione classica esemplata dalla metafora delle api nelle Georgiche virgiliane, opposta a quella della favola di Mandeville.
Oltre una semplice deontologia del lavoro, Gadda rivendica un’essenziale, intrinseca eticità del fare costruttivo. I principi universali del fare si applicano allora anche alla tecnica di scrittura che, in quanto attività trasformatrice, è lavoro e come tale risponde a leggi di necessità. A definire la tecnica di scrittura concorrono gli scritti il cui nucleo è raccolto nei Viaggi la morte: Come lavoro, Meditazione breve circa il dire e il fare, Tecnica e poesia, Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche.
Nel primo di questi scritti tecnici, Gadda denuncia un anti-platonismo di metodo: lo scrittore non è un demiurgo che cava la sua ispirazione dal mondo delle idee. Questa, dice, «è imagine in sul nascere viziata» (lo stile da tractatus sempre attinge in Gadda a forme estraniate, desuete, di natura premoderna e sapore umanistico). Lo scrittore è faber, dantesco «fabbro del parlar materno» e la scrittura un mestiere in cui le parole sono delicati contrappesi a muovere armonicamente i bilanceri della scrittura. La concezione estetica gaddiana corrisponde a quella antropologica: l’espressione è un «atto» con cui si trasforma una materia – vera, reale, storica – in un prodotto artificiale secondo principi di efficienza e di necessità.
In Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche (SGF I 475-88) Gadda descrive la scrittura come processo di elaborazione di una materia prima data – il plancton linguistico dello scrittore –, a sua volta accumulo di precedente lavoro. La tecnica, dice, «tallisce» da un materiale sovraindividuale, quello dell’esperienza collettiva cristallizata nelle forme del linguaggio che si presenta come prodotto storico, «consuntivo semantico», del mutare incessante delle relazioni tra cose e soggetti: «L’adozione del linguaggio è riferibile a un lavoro collettivo, storicamente capitalizzato in una massa idiomatica, storicamente consequenziato in uno sviluppo, o, piú generalmente, in una deformazione; questa esperienza insomma travalica i confini della personalità e ci dà modo di pensare a una storia della poesia in senso collettivo» (SGF I 475). Questo materiale preesistente, storico e collettivo, è formato dagli apporti linguistici sviluppati dalle tecniche: «Tutta l’aggrovigliata storia del dire è un seminario intricato ove confluiscono da mille zone della pratica i vivaci apporti degli interessati» (SGF I 483).
L’etica della scrittura bandisce la parola gratuita, il «vizio della espressione», della «parlata falsa» che «né il vate marmoreo né l’economista usano roboare per nulla» (Meditazione breve, SGF I 449). Gli stessi criteri si applicano anche alla distinzione tra generi, tra letteratura fantastica e morale, nel saggio che dà il nome alla raccolta I viaggi la morte. La fantasia, dice, separando lo spazio dal tempo impedisce l’efficace rappresentazione di una realtà morale. Non perché non si possano descrivere atti e sentimenti buoni ma perché «l’affioramento del mondo morale […] è esprimibile soltanto come attività, se cioè venga intensamente pensato nel tempo» (SGF I 562).
Tutta l’opera di Gadda testimonia di una costante ricerca sul significato del lavoro, dei suoi riflessi sia in termini di conoscenza e costruzione di sé sia rispetto alle relazioni della vita associata. Lì sta il nucleo dell’essenza e della dignità umane. L’opera dell’uomo si svolge nel quadro di un’ingegneristica teleologia che rimane, scontata la prospettiva storica, essenzialmente progressiva. Difficile, dal punto di vista del lavoro, trovare nelle pagine di Gadda un reale nichilismo o un superficiale entusiasmo macchinista.
Johns Hopkins UniversityPublished by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2002-2024 by Susanna Barsella & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, second edition (2004).
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