Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali

Spazio-tempo

Giuseppe Stellardi

Lo spazio e il tempo sono i principi a priori su cui, nell’estetica trascendentale kantiana, si basa ogni possibilità di conoscenza: lo spazio è l’intuizione pura dell’esperienza esterna, il tempo di quella interna. Senza di essi non ci sarebbe un mondo, né la possibilità di averne coscienza. Lo stesso si può dire a proposito della prosa narrativa. Non si dà scrittura narrativa senza un uso, o manipolazione, delle coordinate spazio-temporali; ogni narrazione è una storia, ogni storia è una sequenza di eventi, percezioni e emozioni che hanno luogo (letteralmente) in uno o più punti di un mondo, il quale può o meno assomigliare al nostro, ma è in ogni caso un sistema spazio-temporale. Se ne conclude che l’essenza della narrativa è cosmologica e teologica: si tratta, in primo luogo, di creare un mondo dal caos.

Ogni sperimentazione letteraria è legittima, e ne risultano le più diverse soluzioni; ma quando un testo dovesse sistematicamente sabotare il nesso spazio-tempo, rinuncerebbe con ciò stesso a porsi in una dimensione cosmo-poietica e narrativa, per collocarsi invece in un ambito di verbosità pura (certi esiti del Futurismo o altre avanguardie), o in un diverso organismo di scrittura; per esempio quello della poesia lirica, o della filosofia teoretica, in cui il rapporto col mondo non è certo assente, ma viene in linea di principio distillato in immagini e simboli (poesia) o concetti e formule (filosofia), separati da un contesto spazio-temporale compiuto (per il quale si richiede un sistema coordinato di posizioni distribuite sui due assi).

Gadda tenta entrambe queste due possibilità alternative, la scrittura poetica (pochi sono i componimenti superstiti – Gadda 1993a) e quella filosofica (per esempio nella Meditazione milanese). In entrambi i casi l’esito non è felice, per lo meno dal punto di vista soggettivo dell’autore: che difatti presto abbandona entrambe quelle strade (sia le poesie che la Meditazione, pur appartenendo cronologicamente alla prima fase dell’attività di Gadda – quella precedente le opere maggiori – vedranno la luce, fatta eccezione per qualche rara anticipazione in rivista, solo dopo la sua morte).

Una delle ragioni per cui quelle vie di scrittura, benché carissime a questo autore, gli si rivelano precluse, ha a che vedere precisamente con la questione dello spazio-tempo. Ciò è evidentissimo nella Meditazione, dove il progredire della riflessione astratta è non solo rallentato da esempi concreti, ma addirittura sistematicamente sconvolto dalla persistente intrusione della voce ed esperienza proprie dell’autore (in particolare la guerra e il lavoro, l’esperienza di soldato e di ingegnere, il suo personale rapporto con la cultura letteraria); così che la linea della meditazione teorica si intreccia a quella di un vissuto-narrato che la arricchisce, ma in fin dei conti finisce per schiacciarla. Anche le prove poetiche, pur obbedendo a un genuino impulso lirico, tendono talvolta a risolversi in una dimensione discorsiva (orizzontale) che inevitabilmente le appiattisce.

In entrambi i casi, insomma, le coordinate spazio-temporali dell’esperienza connessa alla coscienza scrivente si riversano irrefrenabilmente nel sistema dell’opera, sconvolgendone i criteri propri. D’altro canto, questo è proprio il segnale della vocazione eminentemente narrativa di Gadda, che tenderà a esprimersi, nei grandi cantieri dei decenni successivi, principalmente (anche se mai compiutamente) nella forma-romanzo. Gadda tuttavia non si stacca quasi mai dalle due pulsioni originarie della sua scrittura, quella lirica e quella filosofica; esse però agiranno, in genere, come ingredienti all’interno della sua prosa narrativa, e non in autonoma alternativa ad essa.

Nella Cognizione del dolore le coordinate spazio-tempo vengono messe in scena con una magistrale sapienza artistica, in cui ad aspetti consueti del genere romanzesco si combinano pratiche di scrittura straordinariamente originali. Da un lato il romanzo procede secondo strutture cronografiche e topografiche abbastanza convenzionali; nella prima metà, si parte da coordinate macroscopiche (la storia recente e l’orografia del Maradagàl e Parapagàl) per poi convergere a cerchi concentrici (e con digressioni e anticipazioni) verso l’oggetto preciso della narrazione: la provincia di Lukones, il perimetro della villa, la casa stessa, la stanza da letto, e al centro di tutto, sul suo letto-catafalco, lui, il non-morto, il quasi-morto, l’usurpatore, il Figlio: Gonzalo Pirobutirro, Marchese d’Eltino. La seconda parte non si sposterà quasi più dal centro di questo mondo imploso (la casa), seguendo al suo interno i movimenti dei due personaggi principali, la Madre e il Figlio.

L’avvicinamento al nucleo centrale dell’universo della Cognizione avviene seguendo lo spostamento fisico e le riflessioni mentali del dottore, che si sta recando a visitare il Figlio; per via il medico incontra la Battistina, che aggiunge nuovi e inquietanti dettagli al ritratto favoloso del Marchese. Finalmente il dottore arriva alla villa e Gonzalo entra in scena; quello che segue – il lungo dialogo fra i due – è l’arco di volta dell’intero romanzo, e contiene la chiave del rapporto fra Gadda e la sua scrittura, ma anche di quello fra ogni scrittore e ogni scrittura.

In superficie, il protagonista, Gonzalo, tenta vanamente di comunicare al dottore la propria sofferenza morale. Da parte sua il dottore presta alle chiacchiere del suo paziente un orecchio attento (perché interessato: il Marchese è scapolo e, nonostante le sue bizze, potrebbe candidarsi al ruolo di genero), ma in fin dei conti sordo. In realtà è al lettore che Gadda, attraverso Gonzalo, enigmaticamente rivela l’essenza dell’atto narrativo; il quale si compone fondamentalmente di due ingredienti, o gesti: 1) la creazione di un mondo mediante la manipolazione delle strutture spazio-temporali; 2) l’instaurazione di un contatto comunicativo con il lettore. Il primo gesto ha valore intrinsecamente gnoseologico, perché – di riflesso – attribuisce sempre un senso anche al mondo cosiddetto reale; il secondo ha valore profondamente etico, e ottiene l’effetto di ristabilire una comunità d’anime, a dispetto di ogni incomunicabilità e radicale isolamento eventualmente lamentati o esibiti nel testo stesso (come in questo caso).

Ma Gadda va oltre e, in quel dialogo centrale (apparentemente fra Gonzalo e il dottore, in realtà fra scrittore e lettore) descrive metaforicamente anche il vuoto su cui si erge ogni sforzo narrativo e interpretativo (quindi dentro e fuori il testo letterario): lo fa punteggiando il racconto di riferimenti ossessivi alle categorie di spazio e tempo, ora rivelate nella loro verità nuda e abissale. I veicoli di questa rivelazione metaforica sono sensoriali e sinestetici, e principalmente sonori e visivi: (1) il tarlo, le cicale e le campane dicono con voci diverse l’inane procedere di un tempo svuotato di ogni progetto (in senso esistenziale); la campagna schiacciata e immobilizzata dalla luce accecante rivela uno spazio privato di ragione, in cui i movimenti dei personaggi (Gonzalo e la Madre soprattutto) somigliano al moto insensato di animali intrappolati.

Questa è la cognizione del dolore: la certezza del nulla che soggiace tanto alla vita vera quanto alla creazione letteraria, e che rende vano ogni tentativo di comunicare. Il discorso di Gonzalo, difatti, è sistematicamente lacerato da pause e sospensioni: da un non-detto che indica la prossimità del baratro in cui si perde ogni volontà e possibilità di dire. Ma simultaneamente, nell’atto stesso di svelare questa verità impietosa, l’atto narrativo la contraddice, ristabilendo a un altro livello tanto un mondo pieno (il mondo del romanzo, come anche i moti dei personaggi – contrariamente a quelli della vita – sono sempre sensati, perché contemplati dallo sguardo comprendente dell’autore e del lettore), quanto un canale di comunicazione universale: un altro spazio e un altro tempo, non più vuoti, ma popolati di anime in ascolto. (2)

Oxford University

Note

1. «Le cicale, risveglie, screziavano di fragore le inezie verdi sotto la dovizie di luce, tutto il cielo della estate crepitava di quello stridìo senza termini, nell’unisono d’una vacanza assordante» (RR I 612-13); «Il tarlo cavatappi non desisteva dal suo progresso; dopo l’accumulo d’ogni intervallo precipitava alla commemorazione di sé» (623); «Lo stridere delle bestie di luce venne sommerso in una propagazione di onde di bronzo: irraggiàrono la campagna del sole, il disperato andare delle strade, le grandi, verdi foglie […]» (625).

2. Nella Cognizione, allo svuotamento dello spazio e del tempo corrisponde uno spopolamento del mondo precipitato di Gonzalo, che nel sogno si vede unico sopravvissuto «.... nella casa deserta, vuotata dalle anime.... (RR I 633).

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0

© 2002-2025 by Giuseppe Stellardi & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).

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