King Charles Portrait

Amleto in Gadda

Benedetta Biondi

Nel ’52 Gadda recensisce l’Amleto di Shakespeare rappresentato al Teatro Valle, (1) definendolo «tragedia dell’assoluto» e soffermandosi sulla lucida interpretazione del giovane Gassman, che, «tragicamente solo», giganteggia nelle vesti del personaggio monologante Amleto, esempio della «necessità morale dell’azione, che sola può riscattare il nostro destino e motivarlo di fronte alla vergogna e alla colpa». Si tratta di uno dei tanti affioramenti della pièce shakespeariana, lettura privilegiata tra i testi fondanti la memoria letteraria dello scrittore (2) e presente nell’opera già a un primissimo livello di intertestualità lessicale: il caso, in Impossibilità di un diario di guerra, dell’autonota che glossa con le parole di Amleto, atto I, scena V, «O my prophetic soul!», «la retorica anima» del soldato Gadda (Castello, RR I 146, 142), sarcasticamente estranea alle tronfie parole dei poeti-Vati e dei generali-Napoleoni, ed esprimente, invece, l’eticità del dovere. Il filtro letterario si sovrappone cioè con tutte le risuonanze tragiche a quella che già nel Giornale di guerra e di prigionia Gadda definiva anima «procul sentiens» (SGF II 500).

La tragedia shakespeariana offre poi all’autore, oltre al materiale lessicale, un nucleo tematico e formale imperniato sul personaggio-tema Amleto nell’esitazione-indagine del monologo dell’atto III, in cui Amleto, investito dal padre del compito gnoseologico ed etico della vendetta contro l’oltraggio subito, (3) indaga analiticamente le possibilità dell’essere e del non essere: «patire gli strali di una fortuna oltraggiosa… o prender armi contro un mare di affanni, e contrastandoli por fine a tutto». Gadda utilizza il tema amletico per la composizione dei caratteri dei personaggi – Girolamo Lehrer in Racconto italiano (4) e Gonzalo Pirobutirro nella Cognizione –, lo riprende nelle note compositive, lo analizza negli scritti di critica letteraria, spesso con preziose ricadute a livello autocritico; si pensi alla nota di Costruzione del romanzo in appendice alla Cognizione in cui Gadda, definendo il «tema 128», (5) rimanda ad una superstite «pagina 128», contrassegnata a margine proprio come «Tema amletico»:

o si rinuncia a quanto fu (distrarsi, dimenticare) e allora si ripudia il proprio essere: si rinuncia alla vendetta. O si accetta il passato e allora bisogna vivere. Ma il vivere nella rancura è cosa sterile […]. La sua intima e più secreta perplessità, il più secreto orgoglio affioravano in una negazione della vita non valida: come l’agricoltore e il bravo giardiniere strappano le foglie incompiute dalla bella pianta.

Il passo è definito da Gadda «amletico» probabilmente per l’analogia tematica (la tematizzazione della vendetta e dell’essere) e per l’echeggiamento formale (la scansione sintattica dilemmatica e disgiuntiva). Nei brani seguenti, tratti da recensioni critiche, Gadda torna a parlare del monologo e delle possibilità contraddittorie che vi vengono stabilite – da Giuseppe Berto, «Il male oscuro» (1965):

il monologo centrale della sublime tragedia, dove essere equivale morire e punire, adempiere il dovere sacro ed esecrando verso il padre assassinato e la di lui discendenza, la di lui consecuzione biologica annullata dal delitto: non essere significa esimersi dal dovere della riparazione verso la richiedente vita. (SGF I 1206)

E dal Faust tradotto da Manacorda (1932):

La struggente angoscia e brancolante perplessità in che si làcera l’anima del principe di Danimarca senza la tregua d’un attimo, sono realizzate dallo Shakespeare con una coerenza splendida […]. Il Dottore [Faust] invece è talvolta freddo e retòrico, o disumanato ed enciclopedico: è un personaggio costruito e «voluto», simbolo nel mondo dei simboli, filosofema vestito da uomo, e non uomo che lacera sé veramente, come Amleto, nelle tempeste della indagine e degli impulsi etici contraddittorî, salvando pur nell’apparenza d’una disgiunzione interiore, l’unità della sua anima, la verità perfetta della sua «mònade». (SGF I 761-62)

In quest’ultimo passo Gadda attribuisce al principe di Danimarca «perplessità» e «lacerazione» interiore, connotazioni significative nella composizione del carattere polivoco ed eterogeneo di Gonzalo Pirobutirro (sin dall’abbozzo di «pagina 128»). Anzi, si potrebbe dire che la lacerazione esistenziale è resa letterariamente dalla condensazione di referenti molteplici: Don Chisciotte, il Gonzalo «the old and honest counsellor» shakespeariano della Tempesta, il Gonzalo manzoniano governatore di Milano, il Gonzalo personaggio della Cognizione, (6) avo e governatore della Néa Keltiké, Gadda stesso e, infine, proprio Amleto, come risulta dall’esordio del tratto VII, che riferisce identico l’antico abbozzo di «pagina 128» incrementandone i tratti amletici:

La sua secreta perplessità e l’orgoglio segreto affioravano dentro la trama degli atti in una negazione di parvenze non valide. Le figurazioni non valide erano da negare e da respingere, come una specie falsa di denaro. Così l’agricoltore, il giardiniere sagace móndano la bella pianta dalle sue foglie intristite, o ne spiccano acerbamente il frutto, quello che sia venuto mencio o vizzo al dispregio della circostante natura.
Cogliere il bacio bugiardo della Parvenza, coricarsi con lei sullo strame, respirare il suo fiato, bevere giù dentro l’anima il suo rutto e il suo lezzo di meretrice. O invece attuffarla nella rancura e nello spregio come in una pozza di scrementi, negare, negare. […] Ma l’andare nella rancura è sterile passo, negare varie immagini, le più volte, significa negare se medesimo. Rivendicare la facoltà santa del giudizio, a certi momenti, è lacerare le possibilità: come si lacera un foglio inturpato leggendovi scrittura di bugìe.
Lo hidalgo, forse, era a negare se stesso: rivendicando a sé le ragioni del dolore, la conoscenza e la verità del dolore, nulla rimaneva alla possibilità. Tutto andava esaurito dalla rapina del dolore. Lo scherno solo dei disegni e delle parvenze era salvo, quasi maschera tragica sulla metope del teatro. (Gadda 1987a: 353-55)

La Stimmung sintattica è di nuovo amletica: procede per dicola simmetrici («la sua secreta perplessità e l’orgoglio segreto», «le figurazioni non valide erano da negare e da respingere»), esaltati dalle figure della ripetizione (anafore e poliptoti su base «negare», «negazione», corrispondente di fatto alla missione di Gonzalo-Amleto) e della simmetria (chiasmi, come «la sua secreta perplessità e l’orgoglio segreto», e antitesi); soprattutto, l’arco sintattico si snoda per propaggini disgiuntive ed esclusive a richiamare il dubbio, o, meglio, il «respect» amletico, fatto di indagine conoscitiva straziante e di prassi lacerante (formulazione cui peraltro un attento lettore di Manzoni come Gadda poteva, magari soltanto a livello di reminiscenza, sovrapporre la lacerazione esistenziale di Adelchi: «Non resta | che far torto, o patirlo», Adelchi, V, 8, vv. 353-54). Nella precisa ascendenza shakespeariana, il monologo amletico viene risemantizzato e rifunzionalizzato al sistema filosofico e letterario gaddiano, come si evince ancora dalla recensione teatrale del ’52:

Si palesa invece un dibattito: il ritardante, lacerante contrasto fra le promissioni della vita consueta, del mondo com’è, degli usi civili, ossia regali, e diplomatici, della menzogna acquiescente, del patto ignominioso datore di salute fisica e di pace fisica, e il senso invece dell’incarico e del conseguente adempimento cui siamo astretti dalle ragioni profonde del cuore, cioè dall’imperio etico d’una ragione sopraindividuale: la coscienza etica dell’eternità.
Il dubbio, semmai, non è altro che lo scrupolo procedurale (di timbro anglosassone): e lo scrupolo procedurale fa parte delle acquisizioni etiche dello spirito umano. Amleto, prima di agire, angosciato di dover agire, vuole ottenere la prova di ciò che ha oscuratamente intuito dai fatti […].
[…] il non essere è adattarsi alla vita e turpe contingenza del mondo, l’essere è agire, adempiere al proprio incarico (alla propria missione) andando, sia pure, incontro alla morte. Le causali psicologiche della esitazione (respect) sono richiamate agli ascoltatori. […] Il dubbio… non c’entra per nulla. Amleto indaga ed esprime il meccanismo della nozione che diventa pragma, ragione pragmatica, non senza strazio del cuore sacrificato… (SGF I 539-43)

Non essere è accettare la diseticità del mondo, essere è non accettarla, agire con uno sforzo conoscitivo e sacrificarsi («andare incontro alla morte»). L’atteggiamento di Gonzalo ricorda dunque Amleto nella scelta autodistruttiva dell’essere, che per Gadda equivale all’impegno arduo della «sceverazione», della «cernita», per separare le «figurazioni non valide» dai «moventi e sentimenti profondi», e respingere, «negare» le prime. Come scrive Manzotti, l’esitazione tra l’essere e il non essere diventa «l’opposizione tra un mondo ideale di lucido vigore, di magnanime virtù, di laborioso adempimento e il difforme mondo della realtà, tra il mondo ideale “delle ragioni profonde” e “il mondo com’è”» (Gadda 1987a: xxxiii-xxxiv). Analogo è l’atteggiamento dell’Autore, nella prosa autocritica L’Editore chiede venia del recupero:

La sceverazione degli accadimenti del mondo e della società in parvenze o simboli spettacolari, muffe della storia biologica e della relativa componente estetica, e in movenze e sentimenti profondi, veridici, della realtà spirituale, questa cérnita è metodo caratterizzante la rappresentazione che l’autore ama dare della società. (7)

Lo sforzo etico di indagine del reale è ancora sotteso nel racconto del sogno del III tratto:

«ho avuto un sogno spaventoso....». «Un sogno?.... e che le fa un sogno.... È uno smarrimento dell’anima… il fantasma di un momento....». «Non so, dottore: badi.... forse è dimenticare, è risolversi! è rifiutare le scleròtiche figurazioni della dialettica, le cose vedute secondo forza....». (Gadda 1987a: 167)

«.... le more della legge avevano avuto chiusura.... Il tempo era stato consumato!....» (Gadda 1987a: 169)

«.... E questa forza nera, ineluttabile.... più greve di coperchio di tomba.... cadeva su di lei! come cade l’oltraggio che non ha ricostituzione […] E io rimanevo solo […] Ogni mora aveva raggiunto il tempo, il tempo dissolto....» (Gadda 1987a: 171)

Il tema del sogno che Manzotti riconduce a Quevedo (Gadda 1987a: 167), auctor ben presente nella memoria letteraria gaddiana, può rimandare, in nome della polivocità letteraria del personaggio Gonzalo, anche al monologo amletico, richiamato da tessere testuali e ritmiche, quali l’esitazione «forse» e il tricolon infinitivo, che Gadda aveva già registrato ed enfatizzato, citando l’intero passo nella versione originale, nel saggio I viaggi, la morte (1927): (8)

Lo Shakespeare, in Amleto, interpreta la migrazione verso l’assoluto come un cessare dell’attività finalistica: dall’essere del monologo al non essere pratico ed etico.
Per le meravigliose risonanze sentimentali il non essere (morire, dormire, forse sognare – to die, to sleep; – to sleep! Perchance to dream!) appare allo spirito esausto dal veleno della vita attuata, come un riposo: «The potent poison quite o’er-crows my spirit». (SGF I 583-84)

Dunque, il sogno, variante per Gadda del non essere, si configura come oblìo dalla verità, come provvisoria liberazione dagli schemi in cui l’io vuole costringere la realtà, come momentanea risoluzione del dilemma amletico. (9) Se per Amleto l’essere significa vendicare l’oltraggio e morire, per Gonzalo vuol dire negare, assieme alle altre parvenze, se stesso. Tuttavia l’aporia gaddiana non si risolve in abulìa: il non fare, in realtà, coincide con l’azione del pensiero (negazione tutta mentale della parvenza, sacrificio di sé); il vizio del pensiero non esclude la malattia («io sono stanco», «io sono malato»), e la stanchezza prelude alla missione riparatrice. La battuta che precede l’invettiva contro i pronomi, «I think; già: but I’m ill of thinking», tradotta da Manzotti con «Io sono stanco di pensare» e annotata dallo stesso come riferimento parodico alla «lingua inglese, significativamente quella dell’empirismo, della critica humiana», (10) rimanda ancora ad Amleto, vittima del «vizio di analisi a studiar troppo le cose» (Hamlet, atto IV, scena IV: «some craven scruple of thinking too precisely on th’event»), (11) il che riflette contestualmente la strenua indagine gnoseologica ed etica di Gonzalo, che come Amleto va incontro al sacrificio costituito dalla «negazione di sé».

Nei brani seguenti, tratti da I viaggi, la morte (1927), con sicurezza interpretativa Gadda definisce la missione di Amleto come «forzatamente negativa», soffermandosi sulla «creduta abulìa» e sul «fine negativo di giustizia riparatrice» come «oscuro senso di ogni ripresa etica»:

Il poeta vuole figurare che la ricostituzione morale operata da Amleto costa a lui e alla sua schiatta la rinuncia alla vita. […] Lo spasimo tragico proviene ad Amleto […] dalle angosce crucianti onde l’attività finalistica lacera le deboli fibre della creatura umana. Il fine (1) strazia la materia. […]
Un sovrappiù di intensità tragica è poi reso al dramma dal fatto che Amleto si propone un fine negativo di giustizia riparatrice (negazione del male e quasi rigetto di questo nel campo dell’impossibile); (2) la quale opera è per l’esecutore ben più desolatamente grave che non il sacrificio incontrato per un fine «creativo» […]
1. Un discorso circa la creduta abulìa amletica, circa il determinismo e l’asserito agnosticismo del dramma sarebbe qui fuor di luogo. È un discorso complicato però.
2. Se pensiamo, è questo l’oscuro senso di ogni ripresa etica: ricostruire la realtà giusta, dimostrando l’impossibilità fenomenale delle posizioni disetiche. (SGF I 584)

Il senso eroico della missione di Amleto è ribadito in «Amleto» al teatro Valle:

Avviene che le parole «prova» e «azione» sono quelle che più ritornano sulle labbra di Amleto, che fanno di lui senza dubbio l’Elettra-Oreste dei romantici, quando per eroe romantico si debba intendere l’uomo invasato dalla missione ricostitutrice (d’una realtà morale del mondo), l’uomo chiamato, predestinato ad agire moralmente. […] Si noti che la missione di Amleto, come quella di Oreste – (da ciò le deriva il carattere e il significato tragico) – è una missione forzatamente negativa; punisce e cancella il male e l’obbrobrio, riaprendo al futuro la sua possibilità, la sua verginità. Amleto non arriva alla speranza, alla riedificazione del regno: la quale si colloca al di là della punizione, cioè della così chiamata «vendetta». Amleto sente il carattere annichilatore della propria azione, sa di dover cadere lui stesso, nell’atto di operare il cauterio estremo del male, della vergogna e della colpa. Ed è questa, forse, la ragione oscura e profonda per cui egli respinge da sé quella che lo ama riamata (che è nel buio del non sentire e del non essere, etico e fisico). (SGF I 540-45)

Colpisce nel brano l’analogia Amleto-Oreste (per il tema del crimine e dei colpevoli da smascherare, per il tema dell’oltraggio risarcito dalla vendetta), già presente nello scritto Un vero artista può essere propagandista di una qualunque «ideologia» politica? – I libellisti battono gli adulatori (giugno 1952), in cui Gadda, individuando il compito etico del vero artista nel contrapporre l’eticità alla diseticità (idea già presente dall’Apologia manzoniana), rimanda nell’esemplificazione a due figure letterarie opposte e complementari, Amleto e l’empio zio Claudio:

L’artista in quanto tale raggiunge e esprime, per solito una cognizione più illuminata e profonda che non quella dell’interesse di parte. L’artista discerne i due termini di un’antinomia (Omero: Cervantes), li enuncia nel dolore: la sua «pietas» li produce all’attenzione di chi ascolta, […]. L’artista può far suo il contenuto etico di una delle parti, quando essa rappresenti in misura esclusiva la eticità, la moralità: e la controparte accolga in misura esclusiva la diseticità, la colpa (Amleto contro Gonzalo suo zio, l’assassino di suo padre: la «pietas» shakespeariana assume Amleto a protagonista. Oreste ci si presenta guidato dalla pietà di Eschilo). (SGF I 1022-023)

Si noti come Gadda condensi nella figura di Claudio, con un sorprendente spostamento o lapsus calami, il polivoco Gonzalo (personaggio al contempo shakespeariano e gaddiano), a testimoniare ancora l’assimilazione profonda della pièce shakespeariana, fino quasi a una sovrapposizione ideologica.

Nei brani citati lo scrittore parla esplicitamente di «missione ricostitutrice d’una realtà morale del mondo» per ricostruire l’ordine dell’universo attraverso il sacrificio di sé. Come Amleto, Gonzalo è chiamato a vendicare una colpa non commessa da lui, risarcimento del disordine che deriva dal male, visto da Gadda nella Meditazione come «parziale non-essere» che inficia l’ordine del mondo: solo operando una riparazione-ricostituzione del tessuto lacerato e rendendo, dunque, nuovamente possibile la progressione «dall’n all’n + 1» (12) (cui il reale tende in vista della perfezione e conservazione dell’essere) si può attuare un «riavvicinamento al reale»; di qui l’analogia tra il protagonista della Cognizione, Gonzalo, e Amleto, visto nel Cahier d’études e nella Meditazione come l’eroe che ripristina la legge dell’ordine. Dalla Meditazione:

Il poeta e drammaturgo inglese William Shakespeare scrisse un’opera di teatro intitolata «Amleto, Principe di Danimarca» […]. Egli mostra l’inammissibilità o irrealtà del delitto che perverte la stoffa del reale ingenerando altri delitti espiatorî o rammendi della stoffa. (13)

Dagli Abbozzi di temi per tesi di laurea:

«Quale disordine» (sic), dice Amleto; «e dovevo io nascere per mettere a posto tutto ciò!». (Gadda 1974a: 353)

Quest’ultimo brano riporta ancora la traduzione di un passo shakespeariano (da Hamlet, atto I, scena V: «O cursed spite | that ever I was born to set it right»), orientata a una lettura ben precisa: quella di un Amleto che, scegliendo l’indagine dolorosa dell’assassinio del padre, ripara (il verbo inglese to set right significa correggere, aggiustare, mettere in ordine) la falla del disordine creatasi nel reale e riflette coscientemente sulla malaugurata sorte che lo porterà al sacrificio di sé. Allo stesso modo Gonzalo, cui è affidato nella Cognizione il compito di riparazione (analitico ed etico) del male, riflette sulla lacerazione delle possibilità future, sulla negazione di sé, ovvero sul costo personale che la missione comporta: sacrificare il proprio n (14) nell’indagine eroica per la «ricognizione del reale», come il soldato in guerra per il «divenire della patria». Il sacrificio, risarcimento dell’oltraggio, coincide per Gonzalo con la solitudine e il silenzio – dal VII tratto della Cognizione:

La mamma gli si avvicinò […]. Egli allora si riscosse; come a rompere,bruscamente, lo stanco, l’inutile ordito degli atti: quasi che una rancura segreta gli vietasse di conoscere la tenerezza più vera di tutte le cose, il materno soccorso. Si separò dalla mamma. La gratitudine appassionata di cui germina ogni coscienza pareva spegnersi in lui. Anche questo, forse, bisognava negare? Andare soli verso la notte. Uscì nell’andito. (Gadda 1987a: 355-56)

Il tema del sacrificio viene ancora sottolineato nella prosa l’Editore chiede venia:

il suo male richiede un silenzio tecnico e una solitudine tecnica […]. Non potrebbe in nessun modo venir definito […] un dissociale, un misantropo. Vive angustiato del comune destino, della comune sofferenza. (Gadda 1987a: 491)

Il nucleo amletico offre all’autore altri temi importanti per la Cognizione, come ad esempio il tema della creduta pazzia: (15) Gonzalo nel punto di vista deformante dei «Calibani gutturaloidi» è affetto da «delirio interpretativo», (Gadda 1987a: 211 e 489) tecnicismo psichiatrico ripetuto più volte nella Cognizione, ma sempre smentito e ridimensionato dall’autore:

la ossessione di Gonzalo non sembra avere per limite, per punto di deflagrazione, un «delirio interpretativo della realtà» o un sogno gratuito alla don Quijote: nasce e discende invece «dagli altri», procede dagli altrui errori di giudizio e dalle altrui, singole o collettive, carenze di contegno sociale. (Gadda 1987a: 489-90)

Si consideri anche che nei Temi da studiare o approfondire, Gadda annotava: «I°) Nevrastenia: studiare e insistere, con misura, anche clinicamente. (Amleto descrizione nevrosi)» (Gadda 1987a: 546) nota che ben può essere spiegata alla luce della recensione del ’52:

Amleto non è un folle: ma un «loico» di grado superiore. […] La follia gli è attribuita per un errore di apprezzamento […]. Nevrosi, dunque, non psicosi. […] è deliberato e lucido, pronto e cosciente nelle sue azioni e reazioni dal principio alla fine e per tutto l’arco sintattico della tragedia. (SGF I 543)

Ancora di ascendenza shakespeariana è la rappresentazione tragicamente ambigua del rapporto Madre-Figlio (16) culminante nella scena dell’VIII tratto, quando, di fronte al Figlio furiosamente incollerito, «la mamma si atterrì»; alla descrizione della paura della Madre segue la minaccia di morte gridata veementemente da Gonzalo: «Scannerò te e loro» (Gadda 1987a: 435-37). Il senso di paura e la minaccia di morte sono tratti annotati da Gadda nell’«Amleto» al teatro Valle, ove, deprecando il patetismo in chiave edipica dell’interpretazione di Elena Zareschi nell’atto III, scena V (scena dell’uccisione di Polonio «primo ministro machiavellone»), registra la tensione e la definitiva rottura del rapporto Madre-Figlio, accentuando l’enfasi delle sue parole con l’uso del corsivo: «La madre ha già paura del figlio. Sente che la propria pelle è in pericolo» (SGF I 544).

Quasi in senso auerbachiano la storia di Amleto fornisce la traccia, è figura speculare della storia di Gonzalo: Gonzalo è folle «secondo l’opinione degli altri», persegue un’indagine per sceverare il groviglio degli accadimenti – è solo, incompreso ed estraneo alla madre, perfettamente omologata al caos dei «Calibani gutturaloidi» e che troverà la morte proprio per mano del disordine cui si è arresa.

Il nucleo amletico che, come si è visto, presta all’autore temi, scansioni sintattiche, tessere lessicali e riflessioni, nei suoi caratteri fondamentali (esitazione-indagine e azione) si fa paradigma esemplare e narratologico per la costituzione del personaggio gaddiano, dotato di riflessione gnoseologica e azione etica, come risulta dalle note del Cahier d’études del Racconto italiano, in cui Gadda definisce l’eticità del personaggio, scomponendo il modello amletico in tre momenti:

La personalità sintetizza certamente qualche cosa: talora il giusto e talora l’assurdo, oppure sempre il giusto? […] Potrei lasciare in sospeso: e come idea centrale lasciar ciò in dubbio. Dubbio è veramente ancora in me. | Ma questa è una divagazione. – Comunque il gioco «ab interiore» affatica e poi la sintesi à in fine bisogno di portarsi poi fuori per il matema principe, perché non tutti i personaggi possono essere degli Amleti e cioè avere una triplice figura: ossia di:
– gestori del dramma (a
– conoscitori del dramma gestito (b
– riallacciatori con l’universale (c
Alcuni sono solo a) Altri hanno la coscienza completa di ciò che accade in loro e perché (fino a intravedere i nessi di causazione e conseguenza) e quindi sono a e b. Raro è essere a, b, c. (17)

Il personaggio perfetto sarebbe quello che sintetizza la triplicità degli Amleti (azione, conoscenza del dramma, consapevolezza del legame con l’universale), ma non tutti i personaggi possono partecipare della sublime tragicità di Amleto, per cui Gadda assegna i caratteri «a, b, c», idealmente uniti in una sintesi perfetta, a personaggi rispondenti a funzioni narrative ben precise:

Dal caos dello sfondo devono coagulare e formarsi alcune figure a cui sarà affidata la gestione della favola, del dramma, altre figure (forse le stesse persone raddoppiate) a cui sarà affidata la coscienza del dramma e il suo commento filosofico. (18)

Amleto come imitazione e reinterpretazione tematica, Amleto come possibilità di astrazione formale; e infine, ultimo punto di analisi, Amleto come possibilità di identificazione personale per l’autore, sulla base dell’idea di vendetta e di risarcimento all’oltraggio attraverso la scrittura: la missione etica di Amleto (affidatagli dal fantasma del padre nel I atto della tragedia) viene applicata metaletterariamente da Gadda a se stesso e al fine della scrittura.

Nel ’50, in Intervista al microfono Gadda afferma:

Nella mia vita di «umiliato e offeso» la narrazione mi è apparsa talvolta, lo strumento che mi avrebbe consentito di ristabilire la «mia» verità, il “mio” modo di vedere, cioè: lo strumento della mia rivendicazione contro gli oltraggi del destino e de’ suoi umani proietti: lo strumento, in assoluto, del riscatto e della vendetta.

L’idea di vendetta è già centrale in una lettera del 1936 (vendetta contro «le fisime casalinghe brianzuole e villerecce di un mondo tramontato per sempre»), tanto che Contini stesso annota: «Mi vendicherò è il primo germe della Cognizione» (Gadda 1988b: 19).

Il tema della vendetta di Amleto viene dunque a significare, ancora una volta, l’eticità della scrittura che si nutre di analisi straziante e di azione morale («sceverare le false parvenze, le figurazioni non valide»); torna cioè a mostrare nuovamente l’inesauribile complessità e polivalenza del nucleo fantastico della tragedia shakespeariana in Gadda. Ci sembra, pertanto, di dover ridimensionare la dichiarazione di Luperini, a proposito della Costruzione della cognizione: «per Gadda la letteratura è il regno del passato […]. Il colloquio con Shakespeare, con Svetonio, con Manzoni è un colloquio coi morti. […] Rifiutando ogni mediazione, Gadda punta ad un “pessimismo eversivo”». La riflessione continua, e vitale, sui grandi autori della letteratura non si ferma, infatti, ad una mera ripresa di materiali linguistici e tematici, ma informa il pensiero gaddiano, in quanto, come Gadda ebbe a dire di Manzoni (e, quindi, autocriticamente di se stesso, lettore e interprete di Manzoni), «il continuo riferimento del male antico al nuovo aumenta la risuonanza tragica di ogni pensiero» (Apologia, SGF I 679). Come cioè Manzoni si serviva di un’armonica temporale (lo spostamento della narrazione nel Seicento) per incrementare l’evidenza del male, così Gadda attraverso il colloquio metatemporale con i suoi auctores, attraverso la ripresa di figurazioni letterarie fondanti, accresce il senso del dolore come destino ineluttabile dell’uomo.

Scuola Normale Superiore, Pisa

Note

1. Il trionfo di Amleto, «Giovedì», I, 4, 4 dicembre 1952, poi «Amleto» al Teatro Valle, SGF I 539-45.

2. Come in guerra, così nei soggiorni di lavoro Gadda porta con sé i testi della sua formazione letteraria – nella prosa Da Buenos Aires a Resistencia annota: «Avevo nella valigia un Amleto di molto buon gusto, comprato alla “Libreria Inglesa”» (SGF I 105).

3. Cfr. Hamlet, atto I, scena v: «HAMLET: Speak. I am bound to hear. GHOST: So art thou to revenge […] Revenge his foul and most unnatural murder. […] HAMLET: Haste me to know’t, that I may sweep to my revenge».

4. Racconto, SVP 410: «Gerolamo Lehrer […]: fargli fare un commento di Amleto: ha perduto un fratello in guerra – si lascia irretire da delinquenti». Si noti il carattere composito del personaggio – come sarà poi per Gonzalo, che partecipa di motivi diversi: l’indagine conoscitiva di Amleto e il riferimento autobiografico a Gadda stesso.

5. Gadda 1987a: 556: «Tema già annotato a pag. 128 = Tema 128».

6. Il nome Gonzalo non solo condensa personaggi letterari diversi, ma richiama anche il nome di un personaggio interno alla Cognizione stessa, l’avo Gonzalo, governatore della Néa Keltiké, a definire nell’omonimia un’eredità biologica. Significativamente Gadda aveva già declinato questo tema in termini shakespeariani nelle note compositive del Racconto italiano: «Dicevo l’anima, per dire insomma lo spirito, il pensiero, gli affetti, il modo di concepire la vita!… Non crede signor architetto che vi sia qualcosa che discenda, che si sviluppi, come un fiume interiore? – Se no perché lo Shakespeare avrebbe chiamato Amleto il padre e Amleto il figlio? Forse era a corto di nomi proprî? I critici non sanno, non capiscono niente… Ma io so che lo Shakespeare ha voluto significare, ha voluto dire “sotto il velame” che erano una persona sola…» (SVP 562-63).

7. Gadda 1987a: 480. Si confronti anche, in tutt’altro registro, l’affermazione di Eros e Priapo, in cui si ritrova l’immagine delle maschere delle Parvenze rappresentate sulle metope del tempio-teatro del mondo, già presente nel VII tratto della Cognizione («Lo scherno solo dei disegni e delle parvenze era salvo, quasi maschera tragica sulla metope del teatro»): «Avendomi natura ed astro […] pur tuttavia provveduto d’un naso, andò il detto naso braccando a campagna infin degli anni cchiù giovini, e si palesò atto quant’altri furono a percepire il lezzo d’ogni disgregazione e corrumpimento, se pur sottilmente filtrato fuora l’occhî voti a bucranî, in ogni metope, e da tutte le commessure de’ templi e delle gran bugne curuli, e de’ marmi triumfali» (SGF II 21).

8. Manzotti rileva anche il sintagma «le more della legge» (dall’atto III, scena I: «the law’s delay»), che richiama contestualmente i motivi dell’oltraggio e della solitudine, anch’essi riconducibili al nucleo tematico amletico (Gadda 1987a: 169): «To be or not to be – that is the question. […] For who would bear whips and scorns of time, th’oppressor’s wrong, the proud man’s contumely, the pangs of despised love, the law’s delay, the insolence of office, and the spurns that patient merit of unworthy takes, when himself might his quietus make with a bare bodkin?». Che la matrice del sintagma sia shakespeariana potrebbe essere peraltro dimostrato dall’analoga ricorrenza nella recensione del ’52, laddove Gadda analizza la scelta autodistruttiva dell’essere: «Egli incontra e supera i contrasti e le more che la debilità del corpo, l’istinto fisico della conservazione, l’ambiente, la diplomazia, l’etichetta, i rispetti umani, le tradizionali osservanze, la tentazione del compromesso, eccetera eccetera, frappongono a una disperata volontà» (SGF I 540).

9. Per cogliere l’ambigua valenza del tema del sogno nella Cognizione, cfr. RR I 632: «fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripullula nel mattino di verità».

10. Gadda 1987a: 176 (già in Roscioni 1975: 103).

11. Cfr. anche Hamlet, atto III, scena I: «sicklied over with the pale cast of thought» e scena IV: «thought-sick».

12. Meditazione, SVP 693: «Se il male vuole una riparazione, chiede una ricostituzione, ciò significa che esso è irreale». Cfr. anche SVP 753: «il passare dal significato n - 1 ad n, n + 1, n + 2, è costruire perciocché è inserire quella realtà in una cerchia più vasta di relazioni, è un crearla e ricrearla».

13. SVP 692. Per il tema amletico in relazione alla Meditazione, cfr. Benedetti 1987: 123-42.

14. Cfr. Meditazione, SVP 770: «Quando ogni compito | si chiude oltre il limite raggiunto dall’n, e tutto non per colpa nostra, rovina in una negazione atroce; allora, ultimo baluardo di realtà, come tavola al naufrago, non ci rimane che il nostro misero significato n, il nostro io consolidato negli evi».

15. Cfr. la battuta di POLONIUS, da Hamlet, atto II, scena II: «I will be brief. Your noble son is mad. Mad call I it (for to define true madness, what is’t but to be else but mad?)». La pazzia di Amleto è una falsa pazzia che serve a nascondere il piano di vendetta e di smascheramento dei colpevoli. Lo stesso Gadda in San Giorgio in Casa Brocchi (in Accoppiamenti giudiziosi, RR II 692) ironicamente risolve l’alta tragedia shakespeariana in un relativismo interpretativo: «“Let her not walk i’the sun – Non permettetele di passeggiare al sole!” Questa così strana battuta del Principe Cicerone non l’aveva prevista, ma il principe di Danimarca secondo l’opinione de’ critici era impazzito…».

16. Designati in maiuscolo, quasi a visualizzare due maschere tragiche. Necessaria conseguenza del piano di vendetta di Amleto è la morte della madre, complice e amante sacrilega dell’assassino del padre.

17. SVP 464; per la definizione formale del personaggio desunto dall’archetipo di Amleto si veda anche il programma di sintesi esplicitato in Racconto (comprende l’azione restauratrice dell’essere, e soprattutto la contemplazione-comprensione del mondo) «– Pensavo stamane di dividere il poema in tre parti, di cui la prima La Norma, (o il normale) – seconda | l’Abnorme (con l’episodio delle lotte, ecc.) terza La Comprensione o lo Sguardo sopra la vita (o Lo sguardo sopra l’essere) – forse troppo pomposo per un argomento particolare. – | Nella prima parte si potrebbe radunare la germinazione, la primavera, il sentimento, l’apparenza buona della vita, con latente preparazione del male che già avvelena e guasta quel bene. Nella seconda parte il leit-motif dell’abnorme e della mostruosa e grottesca combinazione della vita, – nella terza parte la stanchezza-catastrofe e la comprensione (azione e autocoscienza come Amleto)» (SVP 415).

18. Racconto, SVP 395. Il «commento» filosofico viene sempre collegato da Gadda all’indagine amletica: cfr. SVP 486 a proposito dell’Arte poetica oraziana: «– Notare anche: vv. […] 193-195 per coro, commento filosofico, Amleto. –».

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-03-5

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