Gadda e il darwinismo

Pierpaolo Antonello

In questo saggio mi propongo di contribuire a una prima parziale ricostruzione dei debiti intellettuali intrattenuti da Carlo Emilio Gadda con il darwinismo e con la teoria evoluzionistica, cercando di definire i contenuti epistemologici e lo statuto filosofico di questa ricezione e il suo grado di integrazione nel tessuto teorico, ideologico e narrativo dell’ingegnere milanese. (1) Da un’analisi anche sommaria dell’opera gaddiana, risulta evidente come la presenza di una comprensione evoluzionistica della realtà naturale e umana non sia un dato accidentale nel suo percorso narrativo e saggistico, e anzi rivesta un ruolo centrale nella costituzione della sua epistemologia. Gadda è un darwiniano convinto, e modula molte delle proprie categorie filosofiche attraverso una visione evolutiva e dinamica del reale, anche al di là delle varie forme di conservatorismo ideologico o psicologico che gli sono state attribuite (spesso a ragione, a volte a torto), e contro le varie restrizioni imposte dal contesto filosofico italiano alla cultura coeva, che all’inizio del secolo si caratterizzava per un rifiuto dell’impianto ideologico positivista e di qualsiasi modalità discorsiva o metodologica di carattere scientifico applicata alla filosofia o alle scienze umane in generale. Non a caso Gadda imputa alla cultura letteraria italiana del Novecento proprio questa insistita avversione nei confronti della scienza:

La prima colpa che le faccio è di essere refrattaria alla storia naturale, d’ignorare le ere geologiche, il darwinismo, i classificatori del Sette e Ottocento, Malpighi e Spallanzani; la seconda è quella d’una scarsa predisposizione alla cultura economistica e matematica. […] la cultura italiana è fatta di toc-toc, d’impulsi, di batticuori, della retorica delle buone intenzioni. Manca un sottofondo logico e riflessivo. Non è appoggiata all’esperienza ma al cuore. Il livello dei lettori s’è alzato, ma solo in direzione d’un certo libertinismo, e con forti spinte amatorio-sessuologiche. È rimasta la repulsione verso le scienze biologiche, mediche e cliniche. (Gadda 1993b: 82-83)

Allo stesso modo, questa messa a distanza critica e filosofica del sapere scientifico da parte di gran parte della cultura letteraria nazionale (e che sembra perdurare per tutto il secolo scorso) ha fatto sì che manchino a questa nostra discussione ricostruzioni storiche o indagini che ci aiutino a ricomporre i modi e le ragioni del persistere di un interesse per le teorie darwiniane nella letteratura del primo Novecento dopo le euforie e i fraintendimenti tardo-ottocenteschi, per i quali sono già disponibili i lavori di Paolo Rossi e di Vittorio Roda. (2)

A dispetto comunque di tutto il crocianesimo e tutte le esitazioni della cultura e della filosofia italiane a cimentarsi in un dialogo attivo e a-pregiudiziale con la scienza, Gadda rimane di fatto ancorato per tutta la sua carriera intellettuale a una fiducia in un certo materialismo scientifico di matrice positivista. La prospettiva metodologica dell’ingegnere è per molti versi simile a quella di filosofi tardo-ottocenteschi come Enrico Morselli, Salvatore Tommasi o Giuseppe Sergi, che portarono avanti la battaglia contro il «riassorbimento del sapere filosofico entro la retorica, la letteratura, la filologia…». Il richiamarsi di questi pensatori «a Molenschott, o a Haeckel, a Darwin o a Claude Bernard, – come scrive Girolamo De Liguori nel suo Materialismo inquieto, – così come a Spencer o a Taine, non era di per sé solo una moda deteriore: significava una profonda istanza di scientificità da un canto, dall’altro, la ricerca di un solido puntello metodologico del sapere». (3) Analogamente, nelle sue genealogie storiche Gadda accompagna il nome di Darwin a quelli di Spencer, Mill, Haeckel e Compte (Madonna, RR I 74 e 93), tutti padri di un positivismo ottocentesco classico a cui, come già detto, l’ingegnere avrebbe sempre garantito una certa legittimità conoscitiva (l’ovvio riferimento va a La consapevole scienza ne I miti del somaro), (4) per quanto correggendolo da eccessi dogmatici e al di là delle distinzioni di merito che ognuno di questi autori meriterebbe (e che comunque Gadda si preoccupa poco di fornire).

Un discorso a parte dovrebbe essere riservato al rapporto intrattenuto da Gadda con Pietro Martinetti, docente di filosofia a Milano, e suo relatore per la tesi su Leibniz. (5) è probabile che Gadda mediti parte della sua Teoria della conoscenza (1929), (6) in particolare le pagine dedicate alle varie forme di realismo e all’empiriocriticismo, considerato da Martinetti come «il solo indirizzo veramente vitale e fiorente della filosofia materialistica attuale». (7) Certamente con Martinetti Gadda condivideva sia la critica a un certo «materialismo volgare», ovvero a una versione troppo meccanicista e semplificatrice del materialismo positivista, ma anche la critica a quei filosofi che sulle questioni della conoscenza e delle strutture psichiche (Mach su tutti) avevano «tolto ogni fondamento al reale», trascurando del tutto la materia e imboccando «la strada di un soggettivismo idealistico» (De Liguori 1988: 189-90). Ma come è logico attendersi in qualsiasi relazione di debito intellettuale, è probabile che Gadda non condividesse tutte le posizioni del suo mentore, soprattutto «il più o meno latente, complesso e incalzante spiritualismo religioso», che diventerà aperta disposizione verso un idealismo teista. (8) Al contrario rimane visibile in Gadda una refrattarietà a derive neo-idealiste tipiche dell’inizio del secolo, e un ancoraggio a quelle correnti filosofico-scientifiche che si facevano carico di articolare una prospettiva monista che «evitasse le correnti metafisiche e ponesse ordine entro i reperti delle conoscenze sperimentali», mettendo «il problema dell’uomo al centro di una inchiesta in cui, con la filosofia, venissero coinvolte la fisiologia, la biologia, la psicologia e l’antropologia» (De Liguori 1988: 12).

Nella biblioteca del Gaddus

Per quanto riguarda un riscontro puntuale sulle letture darwiniane da parte dell’ingegnere, si può ripetere quanto la critica ha già detto rispetto a altri autori: ovvero che la ricezione di Darwin è stata probabilmente occasionale, più orecchiata che meditata in profondità, spesso mediata da fonti eterogenee, mai rigorosamente sistematizzata, ma lasciata scorrere carsicamente come sorta di presupposto di base nella comprensione generale del mondo naturale e umano. Gian Carlo Roscioni, ad esempio, ci dice delle letture di Gadda presso il Circolo Filologico di Milano, a partire dal 1911, quando viene ammesso per la prima volta a diciotto anni, e che privilegiarono trattati di psicologia, storia e biologia (Roscioni 1997: 92), ovvero tutte quelle «questioni relative all’eredità e allo sviluppo – come l’autore stesso scrive in apertura a Dejanira Classis a proposito della biblioteca del padre della protagonista –, tutte le trame complesse con cui il pensiero moderno e l’indagine scientifica inseguono le questioni morali, genetiche, lo sviluppo delle malattie nervose e mentali, le loro manifestazioni centrali e derivate» (RR II 1029).

I riferimenti espliciti a proposito vanno agli studi sull’intelligenza animale di Tito Vignoli, antropologo toscano, darwiniano e autore di Della legge fondamentale dell’intelligenza nel mondo animale (1877), alla frenologia di Franz Joseph Gall (SGF I 456), alla psicologia sperimentale di Gustav Theodor Fechner, (9) e alle ricerche di antesignani e maestri di Freud come Josef Breuer e Jean-Martin Charcot (Gadda 1993b: 92-93). È probabile che anche Darwin rientri negli interessi di Gadda di questo periodo. I riscontri possibili presso il fondo conservato alla biblioteca del Burcardo aiutano poco in questa direzione, dal momento che sono di fatto nulle le tracce di libri di Darwin. Più estesa invece la bibliografia relativa all’evoluzionismo. Su problemi di evoluzionismo sociale troviamo ad esempio l’opera di Herbert Spencer, L’evoluzione della morale, nella traduzione di G. Salvadori (Milano-Torino-Roma: Bocca, 1909), che fornisce probabilmente a Gadda l’idea di un evoluzionismo anche psicologico, e di una trasmissione, nella dizione di Roscioni, «di peculiarità spirituali “etniche” e familiari» (Roscioni 1969a: 36). Di Spencer presenti inoltre Le basi della morale, a cura di G. Salvadori (Milano-Torino-Roma: Bocca, 1908), e Primi principi, nella traduzione di M. Sacchi e G. Cattaneo (Milano: Bruciati, 1915). C’è inoltre la particolare interpretazione dei processi evolutivi in chiave spiritualista di Bergson, sebbene l’originale francese de L’evolution creatice risulti intonso mentre la traduzione italiana (a cura di S. Caramella, Milano: Corbaccio) è solo del 1936. È comunque chiaro da riferimenti espliciti che l’abbia letto (SGF II 256). (10) Ci sono infine tracce di acquisizioni tarde come il libro di Max Rouché, Herder précurseur de Darwin? (Paris: Les Belles Lettres, 1940); nonché titoli interessanti come quelli di Theodosius Dobzhansky, L’evoluzione della specie umana (traduzione di L. Pecchioli – Torino: Einaudi, 1965); e Giuseppe Montalenti, L’evoluzione (Torino: Einaudi, 1965), a testimonianza del persistere negli anni dell’interesse di Gadda per l’argomento, e in particolare per quella «nuova sintesi darwiniana» maturata in biologia a partire dagli anni ’30, quando si è integrato il portato della nuova scienza genetica con la teoria evoluzionistica.

«Quanto a me, sulla mia schedula scriverò: Carlo Darwin»

Al di là di un riscontro preciso sulle fonti, possiamo comunque rifarci ai riferimenti espliciti fatti da Gadda nei suoi scritti al padre dell’evoluzionismo e alle sue teorie, così da definire più precisamente le caratteristiche del darwinismo gaddiano. Una priorità metodologica all’evoluzionismo all’interno del proprio sistema di pensiero viene garantita da Gadda già nel primo capitolo della Meditazione, quando l’ingegnere fa riferimento al processo evolutivo come caratteristica intrinseca della datità del reale: «nel dato comprendo già tutte le integrazioni lecite di quelli che sogliono chiamarsi i dati scientifici e storici: p. e. la teoria dell’evoluzione (mutazione) umana, se suffragata da dati e teste di morto e ossi, ecc., o dall’osservazione storico biologica» (SVP 629-30). Un tributo quanto mai esplicito è poi presente ne I miti del somaro, dove l’omonimia con il naturalista inglese sembra essere salutata come una fortunata coincidenza o come una sorta di oroscopo: «Molti nomi di storici, di filosofi, di giuristi, di economisti, di clinici, di politici, di naturalisti, di sociologi potrebbero venir fatti: e ognun d’essi potrebbe venir assunto per voti ad un eponimo d’una illuminazione positiva. Quanto a me, sulla mia schedula scriverò: Carlo Darwin» (SVP 913). (11)

In un altro luogo della Meditazione (SVP 785) – come successivamente ne Le Meraviglie d’Italia e in I viaggi la morte (SGF I 456-57) –, Gadda fa riferimento ai processi embriologici degli organismi come prova della continuità delle specie, cioè al fatto che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, per cui «la fase intrauterina della vita sarebbe già contrassegnata dall’insorgere di causali bio-psichiche degli stadî a venire»; «il meccanismo della nostra formazione individuale è d’altronde una epìtome, un riassunto del cammino percorso dalla discendenza. Questa proposizione, fondamentale in Darwin, è oggi banale» (dal racconto del 1936, Tigre nel parco, SGF I 77). Anche se è Haeckel a fornire la prima formulazione sulle similarità morfologiche degli embrioni, il tema è di fatto affrontato da Darwin soprattutto in The descent of man (1871) (e dai riferimenti che si trovano nelle pagine dell’ingegnere è probabile che abbia sfogliato questo libro più che On the Origins of Species). Per quanto poi questa nozione possa essere reputata «banale» da Gadda, una piena discussione sulla genetica e sulla nuova sintesi evoluzionistica in Italia datava proprio gli anni in cui scriveva Le Meraviglie d’Italia (tra il 1934 e il 1939). Il primo trattato di genetica pubblicato in italiano è infatti quello di Giuseppe Montalenti del 1939; mentre la biblioteca di Gadda conserva la traduzione di Thomas Hunt Morgan, Embriologia e genetica pubblicata da Einaudi nel 1941. E dagli espliciti riferimenti alla genetica che appaiono in Eros e Priapo (SGF II 333), scritto tra il ’44 e il ’45, risulta chiaro come Gadda avesse esteso la propria conoscenza scientifica oltre le teorizzazioni di inizio secolo, arrivando quasi a preconizzare una sorta di egoismo genetico alla Richard Dawkins nell’introduzione a I Markurell di Hjalmar Bergman (SGF I 923) o in una nota della Cognizione (RR I 691). (12)

Nel saggio Psicanalisi e letteratura, scritto nel 1949, Gadda si scaglierà poi contro una certa accademia che ha respinto il darwinismo per l’incapacità o l’esplicito rifiuto di accettare le possibili matrici organiche e materiali dello spirito e della psiche umana. Nel suo argomentare, Gadda affianca Freud a Darwin, aggiungendovi inoltre la «teoria delle localizzazioni cerebrali affacciata da Gall e copiosamente derisa» (SGF I 456). Rispetto alla fortuna scientifica delle teorie elencate, certamente il riferimento alla frenologia di Franz Joseph Gall è il più infelice, visto che verrà presto screditata, ma che nondimeno conserva un non marginale valore storico per aver anticipato l’antropologia patologica e la dottrina delle localizzazioni cerebrali dell’odierna neuropsicologia, e per aver richiamato l’attenzione sui lobi frontali del cervello quale sede preposta alle facoltà psichiche superiori.

Un altro aspetto della teoria darwiniana che la ricerca successiva ridefinirà è quello a cui Gadda fa riferimento in Meditazione rispetto al rapporto fra organo e funzione, che la biologia di inizio Ottocento riteneva necessariamente biunivoco, quando invece si è successivamente compreso che «la gran parte degli organi esercit[a] nello stesso tempo funzioni assai disparate», e che «una stessa funzione [viene] esercitata contemporaneamente da più sottosistemi dell’organismo, del tutto distinti». (13) Anche qui Gadda intuisce che la questione è più complessa da quella posta dalla logica funzionalista, e che «un’affermazione che sembra facile e chiara» – appunto il rapporto organo-funzione – «in realtà investe problemi profondi ed oscuri» (SVP 785). La cosiddetta ridondanza e la subottimalità di molti dei sistemi organici è infatti dovuta appunto al procedere dell’evoluzione per tentativi. Gadda si avvicina a questo problema teorico quando nella Meditazione scrive: «per ripetere migliorando bisogna conservare qualcosa e qualcosa modificare. Così si ha il molteplice» (SVP 786). (14) Allo stesso modo, nell’istinto combinatorio dell’universo, «l’abnorme ha la sua misteriosa (per ora) giustificazione, che fa esso pure parte della vita» (Racconto italiano, SVP 407). Una comprensione analoga è surrettiziamente presente anche in un commento sulle caratteristiche psicosomatiche del protagonista della Cognizione: «I suoi agnati d’Eltino, o del Tino, non pesavano nel suo contegno se non come lontane cause, d’un povero effetto; di cui da un pezzo si sono al tutto dimenticate le cause […] Così accade, nei vicoli delle città, che d’un paracarro imprevisto ci si chieda la cagione: ed è, tra superstiti muri, un reliquato di smarrite cagioni» (RR I 619).

Gadda riesce quindi a comprendere attraverso le proprie categorie – che sono sia filosofiche (deformazione, combinatoria, euresi), sia ingegneristiche (il perfezionamento tecnico) – che la natura ha delle ridondanze che sono necessarie, perché l’evoluzione procede euristicamente ma in maniera cieca. Ogni organo si adatta a condizioni di contorno che verranno a modificarsi anche per influsso del processo deformante instaurato dall’organo in questione, e preservando comunque tracce della storia articolata di questa euresi che è propria sia del mondo organico, sia di quello culturale. L’evoluzione è di fatto uno dei nomi che Gadda dà alla sua «deformazione» (Meditazione, SVP 786); spinta evolutiva che si applica al dominio naturale e al dominio tecnico e espressivo – in questo anticipando un parallelismo, quello fra evoluzione organica e evoluzione tecnologica, che George Basalla svilupperà in The evolution of technology. (15) Pur nella parzialità e occasionalità delle sue letture e conoscenze filosofiche e scientifiche, si può quindi dire che Gadda riesca a muoversi in direzioni epistemiche che appaiono sorprendentemente aggiornate o addirittura anticipatorie, e questo perché quanto viene perso in competenza specifica, strettamente accademica (il «fervido dilettantismo» attribuitogli da Roscioni), (16) Gadda guadagna in integrazione trans-disciplinare. (17) Il «poverissimo naturalista e gramo filosofo» aveva, in fondo, buon naso.

Homo sive natura

A ulteriore riprova della cogenza di una prospettiva evoluzionista in Gadda, si può tentare di individuare una serie di temi e di problemi epistemologici che l’evoluzionismo ha introdotto nel dibattito filosofico e nella comprensione e rappresentazione dei sistemi sociali e umani dell’epoca, e che possono avere informato, più o meno consapevolmente, sia le scelte espressive che quelle teoriche e filosofiche di Gadda. A proposito può essere utile mutuare il modello esegetico proposto da George Levine nel suo Darwin and the Novelists, dove il critico statunitense cerca di ricostruire la Gestalt che ha preparato l’irrompere dell’immaginario ideologico darwiniano nella scena intellettuale europea, sia all’interno dello specifico ambito della concreta pratica scientifica, sia nella più ampia koiné culturale del tempo, con specifico riferimento all’influenza avuta dalle teorie di Darwin sulla narrativa inglese coeva. (18) In particolare, il regesto di idee e posizioni epistemiche che Levine viene ad elencare in introduzione al suo libro non sono affatto estranee all’epistemologia di Gadda, anzi corrispondono a idee fortemente condivise dall’ingegnere: la continuità uomo-natura; l’assenza di qualsiasi teleologia nell’ordine naturale; il gradualismo dell’evoluzione; l’interrelazione genealogica di tutti gli esseri viventi; la digressività della storia naturale che diventa anche metodo di narrazione; il rapporto costante fra ordine e disordine, e tra la molteplicità delle forme naturali e leggi strutturali che la spiegano.

Come premessa generale si può dire innazitutto che la comparsa del darwinismo nella cultura europea ha comportato una sostanziale ridefinizione della «posizione del soggetto umano» all’interno dell’ordine naturale attraverso una spiegazione materialistica del suo comportamento. L’assunzione di una prospettiva evoluzionistica come presupposto teorico di base comporta necessariamente un abbandono di qualsiasi cartesianesimo. Il darwinismo mina infatti la costruzione dualistica «in modo più efficace di quanto non fosse riuscita a fare ogni critica metafisica», (19) proponendo un impianto assolutamente immanente del procedere delle trasformazioni naturali, e della definizione dell’uomo come animale razionale. Coerentemente con questo presupposto, l’uomo, la sua cultura e la sua tecnica, vengono visti da Gadda all’interno di un processo storico-biologico, per cui lo schema evoluzionistico diventa essenziale per poter rendere conto delle fasi preistoriche di questo processo, e per ricostruire il lento «cammino delle generazioni» (Cognizione, RR I 604). (20) Non c’è di fatto alcuna dicotomia fra uomo e natura, né contrapposizione dialettica fra l’agire umano e lo sfondo naturale che gli fa da teatro, ma vivono entrambi in una medesima continuità. Questa considerazione viene esplicitata nella Meditazione quando l’ingegnere critica la concezione rousseuiana dell’uomo:

è un peccato che il Rousseau abbia artificiosamente separato l’autore delle cose […] o almeno la natura dall’artificio umano, che mutila e sovente deforma le cose. Questa inutile distinzione ha allontanato i nostri occhi dall’osservazione del processo euristico, che nel nostro mondo si svolge nel tempo. […] Il motore elettrico non è meno natura d’un ciottolo o d’un Vulcano. La distinzione di Rousseau è arbitraria. (SVP 782-83)

Una centrale telefonica automatica; una stazione radio […] non son men reale natura che il sulfuroso vulcano, o l’arido greto del torrente, o lo sterco delle bestie quadrupedi, o bipedi. Quei fatti dell’invenzione son fatti e dunque natura: ché la mente disegnatrice è natura, e la storia degli uomini tutta è natura. (SVP 662)

Non si tratta ovviamente né di un latente panteismo (21) – come Gadda spiega più avanti (SVP 827) –, né di uno spinozismo ritradotto (a partire dall’identità Dio-natura), ma di un immanentismo del tutto naturale, che non richiede nessun ordine metafisico superiore per spiegare l’accadere fenomenico della realtà che funziona a prescindere da cause finali. (22) Il darwinismo nega infatti qualsiasi forma di design pseudo-platonico e di finalismo. E allo stesso modo in cui «the Darwinian narrative unfolds “naturally,” that is, without external intrusion» (Levine 1988: 14), così nel sistema naturale di Gadda non esiste una teleologia del vivente, ma solo una continua autodeformazione evolutiva del reale. A più riprese nella Meditazione Gadda sottolinea infatti che: «L’idea di fine (come modello tematico per uno sviluppo o lavoro) implica in sé una conoscenza teoretica del punto da raggiungere, che è assolutamente smentita dai fatti»; «Certi etici, che abusano dei “fini” mi sembrano chiacchieroni da caffé» (SVP 761). «Il processo euristico è dunque l’autodeformazione del reale […] e sembra non possedere modelli o temi teorici finali, non avere fini in senso teorico stretto (chiamate finali) pur “andando verso il diverso”» (SVP 783).

Nel discutere poi se la ragione umana è, leibnizianamente, parte dell’intelletto divino, Gadda scrive:

L’Ispiratore o il Depositario di questa più vasta ragione attuale non so se sia un Genio supersociale o superstellare (Leibniz, Bruno) o direttamente Dio. Ma preponderei di più per la prima ipotesi, e cioè per l’idea d’un sistema categorico superumano che non fosse ancora e subito Dio. Ché mi spiacerebbe di spendere Dio per così poco: e cioè di consumare l’Infinito Universo per dar ragione di quattro macachi che impidocchiano la crosta ignominiosa della terra. (Meditazione, SVP 706)

Per tutto questo il binomio spinoziano Dio-Natura è in definitiva negato da Gadda, la divinità messa fra parentesi, mentre si restituisce alla totalità naturale e alla sua organizzazione una definizione radicalmente immanente e materialista. In quella strutturazione supersociale, o superumana Gadda fornisce una spiegazione dell’evoluzione dei processi naturali e socio-culturali molto vicina alla teoria della complessità che prevede stadi a livello crescente di organizzazione, o alle prospettive dell’epistemologia genetica che vuole le strutture cognitivo-culturali dell’uomo costruite a partire dal dato materiale di base, dalla complessificazione crescente dei meccanismi neuro-cognitivi del cervello umano. Il «Genio supersociale» di cui parla Gadda non è altro che un bootstrapping mechanism, una invisible hand, nato spontaneamente per complessificazione a livelli crescenti di organizzazione degli elementi base di partenza, ovvero ciò che permette a un sistema di passare da uno stadio n a uno stadio n+1, che Gadda chiama di «superordinazione» (Meditazione, SVP 777), ma che potrebbe venire ritradotto come «sopravvenienza», seguendo la terminologia usata dalla filosofia morale anglosassone, per cui si dice che un livello «L1 sopravviene a L2 se non si può ridurre il livello L1 al livello L2, ma allo stesso tempo L1 dipende da L2». (23) Si potrebbe dire che si instaura nell’opera dell’ingegnere una sorta di dialogo sul vivente come nuovo paradigma concettuale delle scienze bio-antropologiche, con posizioni vicine alla biosofia di Hans Jonas: «l’idea di una gerarchia, di una progressiva sovrapposizione di strati, con dipendenza di ogni strato superiore da quelli inferiori e mantenimento di tutti quelli inferiori in quello rispettivamente più alto». (24)

In una prospettiva darwiniana, questa interrelazione gerarchica del vivente implica un «blurring [of] the boundaries» di tutte le categorie naturali troppo rigidamente definite quali tempo, vita, specie. Come spiega Levine: «isolated perfection is impossible, and science and fiction both concern themselves with mixed conditions» (Levine 1988: 17). Da questa prospettiva teorica di interrelazione deriva l’interesse di Gadda, «zoofilo come Epicuro, Vergilio e Leibniz» (SGF II 1031), per «l’intelligenza degli animali», testimoniato dalla lettura sia di Darwin (in particolare il cap. 3 di The Descent of Man), sia di testi come L’intelligenza nel regno animale di Tito Vignoli, che Gadda cita ne I miti del somaro: «libro un po’ tosto a leggerlo, ma pieno di veridico succo. Ch’io diciottenne lo lessi, nell’ambito delle mie collazioni psicologistiche» (Meditazione, SVP 913). (25) Probabile anche la mediazione sia di Spinoza dell’Etica, (26) sia di Pietro Martinetti che nel 1920 presso la Società milanese di studi filosofici aveva tenuto una serie di conferenze su La psiche degli animali. (27) I contenuti di queste lezioni sembrano riecheggiare nella stessa pagina de I miti del somaro: «Contro il mito obbligatorio che le bestie sragionano, lo studio delle manifestazioni d’intelletto o d’una prammatica associativa (intelletto collettivo) negli insetti […] nella scatola cranica degli antropoidi superiori, degli equidi perissodattili, dei canidi» (SVP 912).

è interessante vedere come questa interrelazione e continuità naturale con gli animali, abbia in Gadda alcuni corollari etici. In un passo della Meditazione Gadda scrive che «chi maltratta inutilmente le bestie nega il senso (n + 1) di una solidarietà degli organismi, della stoffa organica nella percezione e nel dolore-piacere, e attua il senso n di un io egocentrico e primordiale» (SVP 763). Il naturale processo di evoluzione dell’umano deve tendere verso una forma di vasta solidarietà nei confronti degli animali e degli organismi viventi, nella comune missione di evitare il dolore (una prospettiva questa che avvicina Gadda sia a Leopardi che a Primo Levi). (28) L’evoluzione ha organizzato strumenti di percezione e cognizione fra cui l’uomo certamente è in posizione di privilegio, ma non il solo. Se la modernità e il cartesianesimo avevano costruito una separazione fittizia fra naturale e culturale come momento di resistenza della filosofia all’avanzata materialistica della comprensione del mondo imposto dalla descrizione scientifica, il darwinismo, negando radicalmente ogni posizione dualistica, riconnette geneticamente l’uomo al suo passato animale. Ecco che il principio di responsabilità nei confronti della natura che emerge progressivamente nella cultura occidentale contemporanea nasce proprio dalla piena consapevolezza della co-determinazione e della continuità dell’umano con il contesto bio-fisico in cui agisce. Solo a partire da una co-dipendenza, dall’abolizione di ogni idealistica separazione gerarchica tra uomo-animale, fra io e altro, fra azione individuale e contesto globale è possibile assumere una piena dimensione etica e farsi carico dei destini del mondo naturale. Gadda ne è profondamente consapevole, e lo si scorge anche in quella pietas creaturale che affiora in alcune sue pagine, tradotta in una contemplazione lirica dei palpiti di vita nei recessi del mondo:

I battiti della vita sembra che uno sgomento li travolta come in una corsa precipite. […]

Lucide magnolie specchiavano il lume delle prime gemme tremanti nel cielo: ma le ombre, frammezzo tutte le piante, si facevano nere. […]

Non sembrava possibile rompere la meravigliosa unità di quel conoscere, la purità silente e stupita della comune preghiera. Quelle nature adempivano interamente e sempre alla lor legge, vivevano attrici, in se medesime, di un’unica legge: che è la loro unica vita. (Adalgisa, RR I 291)

Il mondo calcola: Darwin e Leibniz

Se la continuità animale-uomo era già stata letta nella Meditazione attraverso il panpsichismo di Leibniz – suggerimento questo peraltro proposto dallo stesso Martinetti nel testo sopra citato –, l’integrazione del darwinismo con il leibnizianesimo di Gadda fa capolino soprattutto nella nota 13 de L’Adalgisa, (29) dove l’autore parla delle «petites perceptions», e dell’idea della progressione infinitesimale delle variazioni evolutive, «gioco multiplo e avaro degli infinitesimi, delle minime elezioni accumulatrici, della dura disciplina elettrice» (RR I 559-60). (30) La teoria delle petites perceptions così come formulata da Leibniz è però per Gadda troppo «quantitativa e meccanicistica […] e apparentemente banale» e va accettata come un «simbolo idiomatico inadeguato (sei-settecentesco)» che «una dialessi futura […] sarebbe un giorno pervenuta a descrivere, a catalogare». L’integrazione e la successiva migliore definizione teorica si avvale proprio di formulazioni come quella di Darwin: «è da supporre che il meccanismo profondo della evoluzione biologica (Goethe, Darwin, antesignani ed epigoni) e il suo segreto gioco si avvalgano, al loro progredire, di una misteriosa dinamica dell’inconscio o almeno dell’inavvertito […] Sono i fatti minimi, i richiami infinitesimi della necessità, le sottili elezioni dell’“istinto”, le esperienze interne e talora incerte e oscure», le causali di progressione o evoluzione degli organismi e dell’uomo (RR I 559).

Anche Levine ricorda come il tipo di realismo narrativo compatibile con i presupposti darwiniani, «tends to depend on the smallest of events and on psychological minutiae for its stories and for change within those stories» (Levine 1988: 20). Darwin in On the Origins of Species parlava appunto di «numerous, successive, slight modifications», di «slow degrees» nella complicata creazione di istinti a partire da istinti più semplici, dove si fa l’esempio dell’istinto delle api nel costruire le geometrie esatte e funzionalissime di un alveare. È lo stesso riferimento fatto nella nota numero 12 de L’Adalgisa, dove Gadda spiega in particolare il percorso del «laborioso integrale isoperimetrico», cioè la tendenza della natura a seguire la minima pendenza di lavoro nel costruire le sue forme (che potrebbe ricordare le teorizzazioni di On Growth and Form di D’Arcy Thompson). (31) Del resto Darwin parla spesso di «economy of nature», e «economy of growth», proprio come Gadda a più riprese ripete che la natura è «scaltra noverca e severa economista» (Eros, SGF II 334) – probabilmente sia Darwin che Gadda hanno in mente Bentham, Mill e gli utilitaristi. Anche in questo caso l’integrazione teorica è con il calcolo infinitesimale leibniziano, in quanto l’attività euristica di un reale che calcola segue un divenire animato da un principio di massima economia, di un teorema del lavoro minimo. Per Leibniz infatti: «la realtà totale sembra essere essa medesima un “lavoro minimo” ossia un “optimum”» (Meditazione, SVP 772). Come già detto da Roscioni a proposito, per Gadda il mondo sperimenta e calcola, e il risultato è l’equilibrio del fatto e del dato (Roscioni 1969: 35-39). E il risultato è il migliore possibile, perché corretto, giusto, altrimenti sarebbe «incombinabilità» e quindi irrealtà, errore, ovvero non accadrebbe affatto (SVP 407). Il mondo procede per algoritmi, per percorsi tentati («il raro fiore dell’evento nasce da una molteplicità di tentativi e da un rinnovarsi di prove», I viaggi, SGF I 625), come nell’esempio del sangue di Bruno che «traverso i millenni, doveva aver comportato e risolto tutta una serie di problemi infinitesimali» (Adalgisa, RR I 519). Per questo nella Meditazione Gadda accosta biologia e tecnica (SVP 786), perché entrambi sono processi euristici che procedono per movimenti continui di prova e errore.

Alla fine potremmo dire che, a prescindere dalla mediazione comunque sempre determinante di Leibniz, Gadda è psicologicamente e ideologicamente un «gradualista» come lo era stato Darwin. «La natura non fa salti», è il motto del padre dell’evoluzionismo, e «non datur saltus» ripete Gadda nel Pasticciaccio (RRII 185). Il flusso eracliteo è continuo ma si struttura per variazioni minime, seguendo, come detto, la curva «isoperimetrica» di dispendio minimo. Steven Jay Gould, uno dei padri della teoria degli equilibri punteggiati, ovvero di quei salti «catastrofici» che sembrano caratterizzare il progredire evolutivo delle specie, ha visto nel gradualismo di Darwin l’espressione ideologica del clima culturale proprio dell’Inghilterra vittoriana, poco propensa agli sforzi rivoluzionari, ma semmai dedita a un «conservatorismo riformista», a una «strategia della prudenza» (32) che era stato certamente uno dei tratti distintivi della personalità di Darwin, ma che può essere esteso anche al Gaddus.

«Ho degli antenati contemporanei di Gengis-Khan»

Nel famoso ultimo paragrafo di On the Origins of the Species, Darwin scrive che il mondo è un «tangled bank», una «riva lussureggiante»: «all living things are related in intricate and often subtle patterns of inheritance, cousinship, mutual dependence»; immagine che ritorna in introduzione a The descent of man dove Darwin ricorda che la sua prospettiva teorica si occupa di «the nature of the affinities which connect together whole groups of organisms – their geographical distribution in past and present times, and their geological succession» (Levine 1988: 18). Questo riferimento alla distribuzione orizzontale, geografica, e a quella verticale, stratigrafica e geologica, ricorre con una certa insistenza nelle descrizioni genealogiche gaddiane come in quelle psicologiche. La basse cuisine dell’organismo è sondata sia attraverso il borborigmo del metabolismo, sia attraverso le determinazioni genetiche e i ceppi etnici, tutte parti irrinunciabili nella definizione di qualsivoglia posizione identitaria. (33) Si potrebbe dire che nelle descrizioni gaddiane agiscano entrambe le tradizioni biologiche dell’ultimo secolo, e che Ernst Mayr divide in quelle che si occupano dello «studio delle cause immediate (proximate), che è il campo di indagine delle scienze fisiologiche (intese in senso ampio) e lo studio delle cause prime (ultimate) o evolutive, che è il campo di indagine della storia naturale». (34)

In Gadda c’è costantemente l’idea di una «discendenza biologica trasmettitrice di potenzialità etiche […] d’una sacra corrente» sottesa all’eredità genetica (Meditazione, SGF I 849): «il folto brulicare delle generazioni» (Pasticciaccio, RR II 288); «il respiro delle generazioni, de semine in semen» (Cognizione, RR I 604); «le cognazioni umane, le gentes» (Pasticciaccio, RR II 361). (35) Un individuo è sempre depositario di una ascendenza bio-antropologica, di parentele con stirpi etniche e linguistiche che recedono nei tempi. Ne fa un esempio ironicamente autoriferito nella Meditazione: «Ho degli antenati contemporanei di Gengis-Khan e altri contemporanei di Cesare e per pura modestia, vivendo in epoca democratica, non vado più in su» (SVP 778); concetto specificato poche pagine più avanti: «nelle mie vene di bastardo è sangue ungaro e celtico, e visigotico e longobardico» (SVP 890); e ripetuto nella Cognizione: «Per parte materna il suo cliente veniva di sangue barbaro, germanico e unno, oltreché longobardo; ma l’ungaricità e il germanesimo non gli erano andati a finire nelle calze bianche» (RR I 606). Analogamente nel Pasticciaccio l’Assunta diventa il «centro tolemaico» di un sistema che si espande in senso storico e topografico attorno al suo sole: «un fascino, un imperio tutto latino e sabellico, per cui gli andavano insieme i nomi antichi, d’antiche vergini guerriere e latine o di mogli non riluttanti già tolte a forza ne la sagra lupercale, con l’idea dei colli e degli scabri palazzi, e con le sagre e col Papa in carrozza» (RR II 20). Il nome della Menegazzi risuona a sua volta di stratificazioni etimologiche, dove, come sempre in Gadda, storia biologico-naturale, geologica e geografica e storia sociale si intrecciano:

Sui loro labbri stupendi quel nome veneto risaliva l’etimo, puntava contro corrente, cioè contro l’erosione operata dagli anni. L’anafonèsi trivellava il deflusso col perforante vigore di un’anguilla o di certi pesci anadromi che sanno chilometrare all’insù, su, su, su, fino a ribevere le linfe vitali: fino alle montagne sorgive dello Jukon, o dell’Adda, o del Rio Negro andino. Dalle ultime traslitterazioni dei registri parocchiali si rifaceva alla gutturale tenue degli inizi, da Menegaccio a Ménego e a Ménico, a Domenico, Dominicus, al possessivo di cui era tutto. (RR II 51)

Le varie parlate regionali e dialettali – lo «spregiudicato dialetto» (Cognizione, RR I 667) – che Gadda mette in bocca ai suoi personaggi diventano poi non solo momento espressionistico o di maccaronea, ma vero e proprio marcatore di provenienza geografica e culturale del singolo. Del resto la maccaronea è un «attingere […] all’umore freatico delle genti, atellane e padane che le fossero» (I viaggi, SGF I 499). Un esempio di questa derivazione parallela è dato nella Cognizione, dove le maschere gaddiane sproloquiano «borborigmi di un ventriloquio paleo-celtico, con susseguenze di boati gutturali di tipo belluino» (RR I 706): «Gli erre, come corde di guitarra, vibrarono in tutta la loro violenza acerba: lo stupendo idioma, parecido a una luz, a una llama, esalava dal fremito, dal calore dei labbri. I denti facevano pensare d’una purità feroce, lontana, verso le nevi della Sierra» (RR I 702).

Rispetto al riferimento così insistito alle caratteristiche e alle diversità culturali e somatiche dei vari gruppi regionali o etnici da lui rappresentati, e soprattutto al sottostante concetto di razza («fattore di razza! Mia teoria della vita delle razze!!», Racconto italiano, SVP 408), Gadda sembra riflettere tutti i dubbi e le esitazioni definitorie di gran parte della cultura scientifica internazionale dell’epoca, poco incline ad abbandonare alcuni pregiudizi culturali che hanno piegato ideologicamente anche la migliore teorizzazione scientifica. Guido Lucchini ha già fatto riferimento alle annotazioni di Gadda ne La fatica di Angelo Mosso, dove l’ingegnere si esprime in senso negativo contro le razze meridionali (Lucchini 1994: 241) e ancora devono essere adeguatamente commentati alcuni testi coloniali di Gadda, come Le risorse minerarie escluso dall’edizione della Spiga di Isella, dove il razzismo di Gadda sarebbe ancora più manifesto. Dal punto di vista della storia delle idee, è importante però usare un metro di cautela prospettica e riposizionare le affermazioni di Gadda all’interno del contesto conoscitivo dell’epoca, dove ancora all’inizio del Novecento buona parte della comunità scientifica si caratterizzava per un insistito eurocentrismo antropologico. Un nome autorevole come quello di Giovanni Canestrini, traduttore di Darwin e zoologo di chiara fama, in Antropologia (Milano: Hoepli, 1898), riteneva che la razza mediterranea fosse «la più elevata di tutte […] quella cui devesi la massima parte dei progressi fatti dall’umanità» (p. 148), e in sintonia con il senso comune dell’epoca, scriveva della inferiorità relativa della donna basandosi su dati quali la minore capacità cranica (pp. 1775-777).

Se è quindi scontato che in Eros e Priapo, scritta all’indomani degli orrori della seconda guerra mondiale, Gadda si pronunci contro «l’orrenda parola razzismo» (SGF II 1034), nello stesso contesto l’ingegnere cerca comunque di salvaguardare la plausibilità dell’idea di diversità etnico-culturale, facendo slittare il concetto di razza da un senso strettamente biologico a un più vago modello di «recondite affinità di spirito, di loquela, di mentalità ecc.» delle varie popolazioni regionali italiane. Riferibili a questa prospettiva di ethos localistico, più che a qualsiasi forma di razzismo conclamato, sono le ingiurie contro i meridionali o i «senegalesi dai piedi caprigni» che si colgono nella Cognizione o nel Giornale di guerra, ingiurie che sono «democraticamente distribuite», (36) quale che sia la provenienza geografica o etnica del soggetto in esame, e che probabilmente vanno iscritte a quella «rivolta linguistica», o a quei fenomeni «isterici» compensatori di cui parla anche Dombroski (Dombroski 1989a: 105-07). Gadda non usa poi mai il concetto di razza in chiave eugenica. E ciò è anche più significativo se si considera che l’eugenica a inizio secolo aveva una sua propria legittimità scientifica e veniva teorizzata (e praticata) in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (il primo congresso europeo di eugenica si svolge a Londra nel 1912). Va per altro sottolineato il fatto che l’eugenica ha avuto una modesta fortuna scientifica nel nostro paese e i nostri scienziati, anche in pieno fascismo, ne hanno spesso scoraggiato la pratica. (37)

Darwin e Freud

In questo suo continuo tentativo di integrazione di piano organico e piano psicologico, è interessante notare come Gadda usi la lente darwiniana anche per leggere Freud, soprattutto in Eros e Priapo – allo stesso modo in cui aveva integrato Leibniz e Darwin ne L’Adalgisa e nella Meditazione. I due nomi di fatto gli sono serviti per alimentare la sua personalissima polemica contro «l’io-palo», «l’io-minchia», contro «il più lurido dei pronomi» che si auto-determina «con la sua brava mònade in coppa, come il càppero sull’acciuga arrotolata sulla fetta di limone sulla cotoletta alla viennese» (Cognizione, RR I 638). Il darwinismo e la psicanalisi (e comunque la scienza in generale) hanno infatti contribuito a decostruire la centralità dell’uomo e della sua rilevanza nello schema naturale e di converso ogni atteggiamento egotistico. Come aveva già detto Freud, le teorie di Copernico e di Darwin hanno inferto le prime due grandi ferite al narcisismo antropocentrico dell’uomo, a cui era seguita la terza grande umiliazione portata dalla psicanalisi stessa. (38) Analogamente Gadda in I viaggi la morte scrive che:

Le teorie fisiche, cioè fisico-matematiche, biofisiche, psicologiche, psichiatriche recenti, hanno profluito contro l’idolo io, questo palo: torbida e straripante conluvie sono pressoché pervenute a sommergene, col divin permesso, la coglionissima capa. Hanno inespiabilmente corrotto l’imagine-feticcio d’un io che persiste, che resiste, immanente al tempo (di sua storia), trionfante (nel giorno di gloria). (Come lavoro, SGF I 428)

In seconda istanza è importante sottolineare come in Eros e Priapo molte delle categorie freudiane che un secolo di letteratura psicanalitica posteriore ha ridotto a pure formulazioni linguistico-simboliche (soprattutto nella loro vulgata post-strutturalista), continuino ad essere ancorate da Gadda a un sostrato biologico e etologico, a istinti e pulsioni organicamente determinati. Un esempio si trova nei luoghi dove Gadda fa dell’erotia sadica una struttura istintuale, prima che psicologica: «è evidente negli animali specie ne’ feroci»; «sembra giocare un ruolo fisiologico importante nei primi anni di vita»; «la carica sadica costituisce l’arma con cui l’io muove all’assalto (vegetativo e sessuale) nello struggle for life» (SGF II 1030-031). L’analisi che lui tenta nel suo ecclettismo da «filosofo addormentato» – e lo spiega esplicitamente – è infatti frenologica e psichiatrica, cioè organica e non linguistica, sempre nel suo ossessivo tentativo di ripercorrere l’intera scala filogenetica, che unisce l’uomo alla larva, il primate al genio: «Vorrei, e sarebbe mio debito, essere al caso d’aver dottrina di psichiatra e di frenologo di studio consumato in Sorbona: da poter indagare e conoscere con più partita perizia la follia tetra del Marco Aurelio ipocalcico dalle gambe a ìcchese: autoerotòmane affetto da violenza ereditaria» (SGF II 225). (39)

Dal punto di vista epistemologico bisogna però sottolineare come una comprensione biologico-genetica della vita e dell’uomo così intesa non comporti per Gadda alcun determinismo stretto. I gradi di differenziazione dell’organico corrispondono anche ai gradi di libertà che l’organismo riesce ad assumere, mai staccandosi dalle determinazioni materiali e biologiche, ma acquisendo una sempre maggiore capacità di autonomia rispetto ad esse. In Le meraviglie d’Italia Gadda sottolinea come «è opinione dell’Autore che una Nuova Etica non possa prescindere dalle nuove dottrine psicologistiche» (Tigre, SGF I 75). Il nesso fra determinismo e libertà è quanto mai al centro degli interessi di Gadda che sottolinea i passi ad esso relativi ad esempio in un’introduzione di Hermann Siebeck al pensiero di Aristotele. (40) Sottolineature a margine appaiono anche nel volume di Benedetto Croce, Filosofia della pratica (41) e opinioni concordi vengono riformulate da posizione autonoma soprattutto nella Meditazione. Per Gadda le azioni immorali o criminali non si legano a nessun «determinismo-eredità (Lombroso, neurologia, psicologia sperimentale, studî biologici)» ma «alla mia idea della combinazione-possibilità». Il determinismo è una costruzione causale a posteriori, «è la lettura della curva dell’ananche, non la sua spiegazione» (Racconto, SVP 406-07). Non c’è quindi in Gadda una visione strettamente meccanicistica dell’uomo ma un innesto di una comprensione dei suoi gradi di libertà a partire dai vincoli imposti dalle strutture naturali. La libertà è vista come evento emergente dei processi psico-fisiologici e cognitivi di base. L’uomo autoregolato, che cerca di capire il mondo nelle sue concatenazioni logiche, l’uomo etico, caritatevole e cristianamente fratello, sono i punti di approdo di questo cammino verso l’affrancamento dall’erotomania narcisica del fisiologico.

Da questo punto di vista Eros e Priapo è un testo particolarmente interessante in quanto Gadda ripensa il darwinismo anche su scala sociale, ricomponendo la dizione semplificatrice che vorrebbe il più forte e il più adatto dal punto di vista fisico-organico come vincitore nel processo di selezione, nello struggle for life, termine che è spenceriano prima che darwiniano. Il dato storico-culturale, la strutturazione politico-sociale tipici dell’uomo ribaltano in realtà l’assioma. La retorica della Patria, per esempio, attraverso la sua squisita espressione nella «maiala guerra» ha fatto fuori proprio «gli ottimi: i più belli, i più sani, i più vividi»; «a morire andarono […] i più forti, i più feroci, i più belli, i più geneticamente validi […] fungendo in tra la spezie umana ’l migliore da boccone ghiotto a la Patria, e a la Morte in Gloria; mentreché noi vegghiamo in tra gli allevati animali accadere omninamente il contrario: che lo stallone buono e da bel culo te tu lo guardi a stalla, da rifigliare il migliore» (SGF II 296-97). Questa del resto era un’opinione che diversi scienziati, anche italiani, avevano espresso a più riprese negli anni a ridosso del primo conflitto mondiale, con la comparsa di una vasta letteratura sugli effetti «disgenici» della guerra. (42)

Un riferimento al darwinismo sociale così formulato potrebbe però suonare da facile indizio per quegli studiosi che si sono cimentati nella ricostruzione dei rapporti di Gadda con l’ideologia fascista. (43) In realtà, se l’adesione esplicita di Gadda al fascismo è fatto ampiamente acclarato e documentato, credo sia utile usare un metro di giudizio più cauto rispetto agli elementi filosofico-conoscitivi da iscrivere all’interno delle prove che possono servire a determinare una precisa collocazione ideologico-politica per Gadda. Vedere ad esempio una consonanza fra ideologia fascista da una parte ed educazione scientifica e rispetto per la conoscenza dall’altra, come ha fatto Peter Hainsworth (Hainsworth 1997: 223), mi sembra per lo meno un po’ affrettato. Più condivisibile è invece la posizione intermedia di Dombroski che scorge negli scritti tecnici di Gadda «una serietà incompatibile con il facile ottimismo della cultura scientifica ufficiale degli anni ’30, dal momento che in queste pagine l’attenzione di Gadda verso una seria e profonda attività intellettuale, da lui stesso chiaramente esplicitata in altri articoli, nel corso dei quali si dissocia completamente da ogni sorta di stregoneria scientifica e di razionalità» (Dombroski 1989a: 96-97).

Il darwinismo rappresenta poi un terreno quanto mai insidioso per qualsiasi tentativo di definizione unitaria o ideologicamente purificata. Rispetto a letture ideologicamente univoche sull’estensione del darwinismo al dominio sociale, bisogna ricordare come storicamente il darwinismo sia stato reinterpretato (o misinterpretato) in senso sociale più o meno da tutti: «c’è stato un darwinismo sociale liberista (la versione più nota, quella erroneamente ritenuta tipica), uno solidarista, uno statalista conservatore, uno nazionalista, uno militarista, uno pacifista, uno socialista, uno anarchico […]. Il termine “darwinismo sociale” fu usato quasi sempre per stigmatizzare non l’estensione dei concetti darwiniani alla società, ma l’estensione fatta dai propri avversari». (44) Poco convincente inoltre è l’associazione degli interventi deflattivi sull’io e la necessità di subordinazione del singolo a un «ordine superiore» con un’istanza tipicamente reazionaria, (45) quando si tratta di una costante di tutte le ideologie totalizzanti, da quella fascista, a quella marxista, a quella cattolica.

Dal punto di vista filosofico Gadda contraddice poi palesemente qualsiasi adesione a-critica a un’ideologia di destra, soprattutto perché dissolve, in maniera sorprendentemente postmoderna, molte posizioni ontologiche tipiche di quella matrice idealistica che è stata alla base della filosofia novecentesca e che ha informato anche buona parte dell’ideologia fascista, avvicinandosi a una vaga forma di pragmatismo quasi pre-rortyiano. (46) Come già detto a proposito della Meditazione, Gadda si colloca radicalmente al di fuori di qualsiasi forma di finalismo, sia esso teistico, che simbolico o mitico (patria, regime, o altro), presupponendo nel suo sistema filosofico la possibilità di affrancamento dell’uomo da impulsi di tipo fagico e narcisistico attraverso forme progressive di strutturazione normativa e etica della socialità. Un esempio a riguardo è proprio il passo di Eros e Priapo dove Gadda fa riferimento al darwinismo socio-culturale, e in particolare all’uso della tecnica da parte dell’uomo, la quale entra nel gioco evoluzionistico come «fraude in giostra, e fattizio»; «le macchine furono a l’uomo una evoluzione fallace e disviata (cioè thrown away) quando non gli soccorreva prudenza cioè una ragionevole misericordia de’ destini sua e di sé» (SGF II 299). A parte la vicinanza di queste considerazioni alla posizioni di Arnold Gehlen, che vede la tecnica come una natura-seconda, uno strumento per proteggere l’uomo dalla sua debolezza genetica e di specie, qui Gadda sembra suggerire che il cristianesimo, il soccorso compassionevole per gli ultimi, per i più deboli, è anch’esso uno strumento anti-evolutivo. E non lo dice ovviamente in senso neo-nietzschiano, ma proprio come conquista, come affrancamento dell’umano dalle regole ferree della selezione naturale. L’avanzamento dell’uomo nel suo processo storico di complessificazione sociale non è dato dalla spinta erotica, dall’impulso istintivo, o dall’elan vitale bergsoniano, ma al contrario dall’etica: «In codesti lachi di storia grossa, dove non è chiamata del futuro, ivi Eros ammolla, e più facilmente infracida e bestialmente gavazza. Si credendo andare; e sta» (SGF II 239).

Storia naturale e digressione

Rispetto a altre possibili concordanze fra l’epistemologia darwiniana e le strutture argomentative e di rappresentazione del testo gaddiano, si può far ancora riferimento a ulteriori motivi concettuali individuati da Levine rispetto a tutta una serie di possibili modalità di traduzione della lente evoluzionistica in ambito letterario. Interessanti ad esempio sono le nozioni di «change and history», per cui nel mondo darwiniano «everything is always or potentially changing, and nothing can be understood without its history». (47) Il darwinismo, per sua propria natura, si presenta come un modello narrativo che introduce l’uomo all’interno di una storia naturale, saldando i pezzi disparati del mosaico fenomenico e riportando l’attenzione più che sulla fissità geometrica della fisica o della biologia classicamente ontologizzate, sul «flusso eracliteo pieno di gorghi e di forze aggrovigliate e intersecantesi» (Meditazione, SVP 777). L’albero della selezione genetica, ricomposto a ritroso, offre una narrazione del mondo, la «lettura della curva dell’ananche», e fondamentale per Gadda rimane proprio il continuo processo di mutamento di ogni sistema reale, l’euresi che questo riesce ad estrinsecare. Il mondo si trova in una perenne dinamica trasformativa e niente ha stabilità ontologica, allo stesso modo in cui le speci non hanno realtà ontologica. L’euresi della realtà biologica è «fluxus» e «deve paragonarsi a “tutta la serie” storica evolutiva delle [specie] (in senso Darwin.)» (Meditazione, SVP 838).

Ogni elemento naturale, ogni essere vivente, ogni uomo, è per tanto storia e genealogia, e il darwinismo diventa la struttura di racconto più plausibile del naturale. Il racconto della natura si presenta in particolare come ramificato e digressivo secondo un «complex system of permanence and variations» (Manzotti 1997: 76). E analogamente, il narrare diacronico, digressivo, alternativo, combinatorio di Gadda, si iscrive all’interno di un quadro epistemologico e descrittivo così definito.

«La teoria darwiniana» – scrive Isabelle Stengers – «impone al biologo l’esplorazione di un labirinto di cause e effetti, si traduce nella necessità di una pluralità di racconti, che ricostituiscano, in modo ipotetico, la maniera in cui un insieme variabile di cause si è articolato per produrre un frammento di evoluzione. Il mondo scoperto da Darwin è un mondo in cui la ragione non può comportarsi da giudice, in cui il ricercatore si fa investigatore, incapace di determinare a priori ciò che è significativo e ciò che può essere trascurato». (48)

Per Gadda bisogna «aver attenzione a tutta la realtà complessa per operare buone sintesi»; «il trascurare qualunque fatto della vita o del mondo è menomazione della potenza e della prossima sintesi che di questa vita e di questo mondo si farà». E questa attenzione più che dei filosofi è stata proprio di chi, come Darwin, ha investigato il mondo naturale e zoologico, il «sommo Linneo o […] Cuvier» (Meditazione, SVP 842-43).

Rispetto alla «riva lussureggiante» di Darwin, George Levine parla inoltre dell’emergere nella cultura del secondo dell’Ottocento dell’immagine della «abundance», dove la visione ecologica introdotta dal darwinismo «is connected with a view of a world bursting with life. Always threatening overpopulation», allo stesso modo in cui sono sovrappopolati i romanzi vittoriani, con il loro «excess in ornamentation», e «a newly crowded and complicated life» (Levine 1988: 18). L’abbondanza barocca, la cornucopia descrittiva del mondo in Gadda ne è un equivalente esatto. Quando Gadda spiega che «Barocco è il mondo» ovviamente non sta attribuendo una configurazione estetica alla realtà, ma sta parlando della costituzione fisica e fenomenica del mondo. Il mondo è fatto a pieghe – in senso leibniziano, come spiegato da Gilles Deleuze in Le pli; (49) il mondo presenta un andamento frattale dove ogni linea tende a piegarsi omoteticamente al suo interno evidenziando un dettaglio potenzialmente inesauribile. Ecco che nel capitolo della Meditazione dedicato alla «vivente molteplicità», Gadda fa riferimento alla teoria dell’evoluzione e usa proprio l’immagine darwiniana dell’albero – figura frattale per antonomasia – per esemplificare il proliferare della realtà fenomenica dove «le relazioni del diverso sussistono, aggrappate a un quid morfologico che è loro comune, che loro consente di sporgersi verso l’abisso pauroso della differenziazione» (SVP 653-54).

Su questo «soppalco» di continua differenziazione fenomenologica, l’epistemologia darwiniana presuppone poi quello che gli evoluzionistici definiscono come uniformitarianism: «novels as much as geology depended on the apparent plausibility conferred by the idea that all events can be explained causally», dove le forze in gioco hanno operato uniformemente nel tempo senza interventi esterni. Ecco che la ricerca delle causali diventa il metodo più consono al tipo di razionalità che informa sia lo scienziato che l’investigatore – come sottolineava Isabelle Stengers –, i quali osservano la realtà in termini indiziari, nei dettagli più riposti, per comprendere la tessitura relazionale profonda. Sulla base di questo presupposto gli oggetti del mondo di Gadda non giungono mai sul suo piano descrittivo in maniera del tutto arbitraria o secondo un semplice principio di «enumerazione caotica», alla Borges o alla Calvino, (50) ma vengono disposti secondo nessi causali, secondo genealogie storico-biologiche, secondo la rete dei con-possibili che ogni «oggetto-ragno» tesse attorno a sé. A un attento esame delle aree semantiche individuate dagli elenchi gaddiani e dalle loro reti associative, ci si trova spesso di fronte a un regesto minimo che afferisce soprattutto al mondo naturale: geografia, razza, metabolismo chimico o biologico, metaforica animale. (51)

Come ha messo in luce anche Carla Benedetti (Benedetti 1995: 77), la famosa pagina di descrizione dei gioielli della Menegazzi, non è solo un esempio di euforia descrittiva o una collazione di oggetti irrelati, ma si muove in un pendolarismo stretto tra descrizione fattuale e destinazione d’uso, fra minuzia oggettuale e impiego eterogeneo in vari contesti storici e geografici, culminando, nel suo tour de force descrittivo, in una particolare costruzione genealogica di con-cause, svolte secondo una sovrapposizione di tempo storico, tempo cosmologico e tempo evoluzionistico, ovvero quello che li scienziati definiscono come deep time. Uno smeraldo o un topazio richiamano quindi in ascendenza: 1) la loro iscrizione all’interno di un rapporto di scambio e a un valore economico legato alla loro rarità; 2) la provenienza geografica, «di Ceylon o di Birmania»; 3) la conformazione molecolare, ordinata da una regola matematico-geometrica che rimanda direttamente a 4) Dio, a cui viene contrapposto – a chiudere ironicamente il cerchio – 5) «il valore-lavoro del Tafàno» (RR II 230). L’asse di sviluppo a stadi relazionali n + 1 riguarda pertanto e nella fattispecie geografia, chimica, geometria cristallografica platonizzata, economia; in questo ripercorrrendo la gerarchizzazione di complessificazione del reale e i vari livelli descrittivi che le varie scienze ci forniscono, il tutto saldando in un continuum le leggi geometriche che regolano la costruzione del mondo, con le leggi matematiche che spiegano i comportamenti simbolici dell’uomo, come quelli relativi al valore economico, ri-spiegando e riposizionando così i gesti umani all’interno di una completa e integrata storia naturale.

Order out of chaos

Questa particolare oscillazione tra caos apparente delle cose e trame causali che lo spiegano – caratteristica conclamata dell’esercizio descrittivo gaddiano (nella sua ansia di ricostruire un ordine anche precario nella disposizione e comprensione dell’universo fenomenico) –, corrisponde a quella particolare dialettica fra «mystery and order» che, sempre secondo Levine, viene introdotta nell’epistemologia moderna dal darwinismo:

in the multitudinous and entangled Darwinian world, order is not usually detectable on the surface, but the apparent disorder of nature is explicable to the keen observer in terms of general laws that can be inferred from phenomena. Similarly, the world of the realistic novel tends to be explanatory and analytic, showing that behaviour is psychologically explicable and that events are «probable». (Levine 1988: 19)

I riferimenti all’osservazione psicologica, con corollari quantitativo-statistici, (52) nonché un approccio esplicativo di tipo analitico informa sia la scrittura di Eros e Priapo, dove Gadda propone esplicitamente uno scandaglio psico-sociologico di particolari circostanze storiche e sociali, sia il Pasticciaccio, dove, al di là del finale disforico, la strutturazione consecutiva delle catene causali diventa il motivo portante del racconto. In particolare, l’interesse gaddiano per le genealogie, per il lavoro di ricostruzione stratigrafica della storia naturale – per la geologia come per l’evoluzione, per la pratica psicanalitica come per i gialli, – risponde a quel «paradigma indiziario» formalizzato da Carlo Ginzburg, (53) e proprio di scienze non strettamente falsificabili in senso popperiano, come appunto l’evoluzionismo, e il cui schema metodologico nasce proprio nella seconda metà dell’800, sia dalle teorizzazioni di Darwin, sia da quelle di Freud, o da scienze come la paleontologia, e in definitiva da una lettura del mondo fatta attraverso spie, indizi, che si ritrova esemplarmente rappresentata in quei detective novels che hanno contribuito a strutturare l’immaginario collettivo fra fine Ottocento e inizi Novecento.

Roscioni ricorda opportunamente la dizione di Darwin, per cui le «classificazioni diventeranno genealogie», aggiungendo che per Gadda, «scrivere un romanzo equivale ad aprire una istruttoria, a indagare le ragioni di una cospirazione (di circostanze più che di individui) a dipanare una matassa di intricati e interrelati incidenti» (Roscioni 1995a: 29). Non a caso, in un saggio de Le meraviglie d’Italia lo studio della geologia diventa un «romanzo giallo», la ricostruzione di una «catena delle cause remote» (SGF I 147). Il Pasticciaccio è poi un testo pieno di queste performance ordinative, dove la figura di Ciccio Ingravallo diventa quella di tessitore di trame, di segugio di indizi, che si studia di «radunare le evidenze, così disgiunte: avvicinare i momenti, i logori momenti della consecuzione, del tempo lacero, morto» (RR II 70), dove le preferenze vanno spesso allo studio antropologico, con interessi per una fisiognomica tardo ottocentesca che è forse più darwiniana (da The Expression Of The Emotions In Man And Animals) che lombrosiana: «Quello che je premeva, a Ingravallo, era più de tutto la faccia, il contegno, le immediate reazioni psichiche e fisiognomiche, diceva lui, degli spettatori e de li prottagonisti der dramma» (RR II 88). «A poco a poco, ricostruendo dai dati le loro cause, le loro connessioni, ricollocando in un ordine certi fatti solo in apparenza disgiunti, avvicinando nomi e volti, venni a confermarmi nella mia titubante nozione, a integrarle in una storia» (RR II 877). E se alla fine il tentativo di individuare una trama razionale nel caotico proliferare del disordine umano può giungere a un impasse finale, scontrandosi con un eccesso di entropia sistemica, non per questo l’uomo deve abdicare al proprio tentativo di descrivere razionalmente il mondo. Alle disfatte gnoseologiche che la realtà ci impone, soccorre in aiuto a Gadda il suo istinto alla razionalità, che proprio in quanto rappresentato attraverso un percorso conoscitivo di stampo giudiziario, e non strettamente scientifico, diventa, prima che una esigenza conoscitiva, una esigenza etica, un istinto di giustizia.

St John’s College, University of Cambridge

Note

1. Voglio ringraziare Federica Pedriali e Emilio Manzotti per i numerosi suggerimenti che mi hanno aiutato a sviluppare più esaurientemente alcuni punti di questo saggio. Un ringraziamento va anche a Andrea Cortellessa e Raffaele Donnarumma relativamente alle indicazioni sul problema del razzismo nei testi di Gadda. Spero che queste poche note forniscano anche un primo momento di riflessione a riguardo.

2. Si vedano P. Rossi, 1800-1900: Letterati italiani e loro immagine della scienza, in V. Branca et al. (eds.), Letteratura e scienza nella storia della cultura italiana. Atti del IX Congresso AISLLI (Palermo: Manfredi, 1978); V. Roda, Evoluzionismo e letteratura «fin de siècle», in Il soggetto centrifugo (Bologna: Pàtron, 1984), 13-129; «The Other on Me»: Aspects of Darwinism in Italian Literature, in P. Antonello e S. Gilson (eds.), Literature and Science in Italian Culture: from Dante to Calvino (Oxford: Legenda, 2004), 204-24.

3. G. De Liguori, Materialismo inquieto (Roma-Bari: Laterza, 1988), 59.

4. SVP 909-16. Su questo ha brevemente scritto anche Lucchini 1994.

5. Sul rapporto fra Gadda e Martinetti si veda Lucchini 1988a: 16-24.

6. Di Martinetti Gadda legge e annota anche Il compito della filosofia nell’ora presente (Milano: Bertieri e Vanzetti, 1920).

7. P. Martinetti, Scritti di metafisica e filosofia della religione. Vol. I (Milano: Comunità, 1976), 35.

8. Vari sono i luoghi dove Gadda discute delle proprie posizioni anti-idealistiche. Un esempio è la critica immanentista al rapporto fra ragione umana e ragione divina in Leibniz nella Meditazione (SVP 705-06). In Come lavoro discute inoltre del platonismo di fondo dell’estetica e della critica italiche, troppo prodiga di «vati» e di «profezie»: «Le accensioni mistiche poco o nulla mi accendono: diciamo nulla, che è parlare più esplicito. Rappresentano, alla corta mia vista, un tentativo d’evadere precisi compiti noètici, o pratici, responsabilità conoscitive definite» (SGF I 434).

9. Gustav T. Fechner, filosofo, psicologo e fisico tedesco, deve la sua notorietà soprattutto al tentativo di costruire una psicologia sperimentale su base matematica. Come ricorda lo stesso Gadda: «è l’autore d’un’opera innovatrice: Elemente der Psycophisik (1860). Speculazioni ardimentose e a momenti fantastiche, resultati positivi. Idee: non balorde. Egli enunciò quel principio-base (per la psicologia dei sensi superiori) che in onore di Weber il su’ maestro egli chiamò per l’appunto il principio di Weber e che in oggi si suole più comunemente chiamare il teorema di Fechner. L’intensità della sensazione varia come il logaritmo della intensità dello stimolo» (SGF I 651-52).

10. Su Bergson si è già detto molto, ancorché l’influenza bergsoniana in Gadda credo sia sovrastimata, come hanno già ribadito del resto Roscioni 1995a: 21, 36; Calzolari 1985: 115-16; Gabetta 1993: 31; Sbragia 1996a: 31; Dombroski 1999: 45-47, 49-50. Le esplicite occorrenze bergsoniane nei testi di Gadda sono in effetti ridotte: L’evoluzione creatrice, ad esempio, viene citata da Gadda solo in Eros e Priapo (SGF II 256) databile quindi tra il ’44 e il ’45. Da un accenno parentetico a una particolare genealogia filosofica rispetto all’idea di fine in I viaggi la morte («chiara idea platonica rielaborata dagli evoluzionisti e poi da Bergson», SGFI 581), si può inoltre evincere che quanto Gadda condivide con Bergson, parte proprio dai comuni riferimenti al darwinismo come base teorica per le loro rispettive prospettive filosofiche. Comune è certamente una visione monistica del rapporto mente-corpo come espresso in Matière et memorie; nonché una idea dinamica e trasformativa della realtà. Il problema si pone semmai nella dimensione spiritualistica dello «slancio vitale» che non sembra presente nel sistema di Gadda (così come la critica bergsoniana al meccanicismo di Darwin). In questo senso andrebbero meglio definite anche quelle dizioni che riconducono il pensiero gaddiano al vitalismo perché troppo compendiarie e riduttive (il vitalismo ha significato troppe cose nella storia della filosofia naturale). A favore di un bergsonismo in Gadda, si sono espressi Bonifacino 1978 e De Jorio Frisari 1996, e più recentemente Porro 2004a: 254-75.

11. Considerate le manie onomastiche di Gadda, e ci si può chiedere se il Carlo de L’Adalgisa con la sua passione classificatoria e collezionistica per i coleotteri non sia stata modellata anche sul giovane Charles Darwin, instancabile classificatore di beetles e all’epoca «ozioso perdigiorno».

12. A proposito di egoismo genetico si veda R. Dawkins, The Selfish Gene (Oxford: Oxford University Press, 1989). Nella recensione a Bergman Gadda parla in realtà di un «demone genetico» (SGF I 923), intendendo comunque un simile vincolo semi-deterministico che viene imposto dal proprio corredo genetico all’individuo, costretto per questo ad agire, a sopravvivere, a moltiplicarsi. Nella Cognizione, Gadda parla invece di «impeto e […] necessità genetica» (RR I 691).

13. M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti (Roma-Bari: Laterza 1995), 41.

14. Anche più avanti sempre in Meditazione: «la teoria dell’evoluzione, ne’ suoi più recenti comunicati, ama rappresentare i complessi genealogici come un successivo differenziarsi o moltiplicarsi, per deviazioni, per divergenze, delle specie dai generi. La scimmia e l’uomo han fatto strada insieme per un pezzo e si sono poi lasciati, andando cadauno alla sua: strada comune han fatto per un pezzo i mammiferi, divergendo poi nei generi in che fu divisa la classe: e per un pezzo anche i tessuti e le ghiandole e gli organi tutti, poi differenziatisi morfologicamente come devoluti ad offici “diversi”, sia nelle specie diverse, sia nel singolo» (SVP 884).

15. Cfr. G. Basalla, The Evolution of Technology (Cambridge: Cambridge University Press, 1989).

16. Roscioni 1995a: xvii. Questo giudizio di Roscioni credo che in realtà vada parzialmente temperato, visto che almeno per quanto riguarda le discipline matematiche e le tecniche, l’ingegnere si muove in un orizzonte di chiara competenza professionale. Otto anni di studi e undici di pratica concreta, non possono considerarsi certo un dato accessorio o accidentale nella formazione di Gadda.

17. Secondo Gadda la posizione metodologica del filosofo, «indagatore ed escogitatore», «è e deve essere la ragione pacatamente ed eroicamente integrantesi» (Meditazione, SVP 849).

18. G. Levine, Darwin and the Novelists. Pattern of Science in Victorian Fiction (Cambridge: Harvard University Press, 1988), 13-14. Levine sottolinea comunque che questa particolare Gestalt darwiniana «includes several clearly identifiable ideas, whose presence might be recognized anywhere, and certain fundamental attitudes toward science and toward the study of life that, if not exclusively Darwinian, were essential to Darwin’s project».

19. H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica (Torino: Einaudi, 1999), 73.

20. A riguardo ha già detto Benedetti 1995: 73.

21. Carla Benedetti ha invece ricondotto questa prospettiva a un naturalismo a forte «matrice panteistico-vitalistica da farsi risalire alla suggestione di Giordano Bruno […] ma soprattutto all’influsso di Spinoza, per quel tanto di panteismo che si rintraccia anche nel suo pensiero. […] “Deus sive natura”: vale a dire Dio inteso come ordine eterno della natura, che fa tutt’uno con essa, e che in essa si esprime» (Benedetti 1995: 73).

22. Anche Anna Saccol ricorda che Gadda è «riluttante all’idea di coinvolgere direttamente Dio nelle miserie umane» (Saccol 1993: 51).

23. G. Peruzzi (ed.), Scienza e realtà. Riduzionismo e antiriduzionismo nelle scienze del Novecento (Milano: Mondadori, 2000), 16-17.

24. Jonas 1999: 8. Questa relazione di livelli successivi di organizzazione del viventi si articola secondo due modalità: «secondo concetti della percezione e secondo concetti dell’agire […] ossia da un lato secondo l’ampiezza e la chiarezza dell’esperienza, secondo gradi ascendenti di presenza sensibile del mondo, che attraverso il regno animale conducono alla più estesa e più libera oggettivazione del tutto dell’essere nell’uomo; e d’altro lato, ossia in parallelo e culminando parimenti nell’uomo, secondo la dimensione e il tipo di incidenza sul mondo, dunque secondo la dimensione e il tipo di incidenza sul mondo».

25. Gadda ricorda che «Tito Vignoli, era un filosofo psicologo milanese: fu il primo presidente del Circolo Filologico Milanese» (SVP 913). Gadda fa riferimento anche a altre fonti da cui attinge questa prospettiva: Réaumur e Fabre in particolare.

26. In Spinoza, Etica, III, Prop. LVII, Scolio, si legge ad esempio che: «gli affetti degli animali che si dicono irrazionali […] differiscono dagli affetti degli uomini soltanto quanto la loro natura differisce dalla natura umana», presupponendo una differenza solo di gradi fra l’apprensione umana e quella animale.

27. P. Martinetti, Saggi e discorsi, 2a ed. (Milano: Libreria Editrice Lombarda, 1929), 211-64.

28. Su questo ha scritto F. Moliterni, Primo Levi. Dell’a-topia letteraria, in F. Moliterni, R. Ceccarelli, A. Lattanzio, Primo Levi: L’a-topia letteraria. Il pensiero narrativo. La scrittura e l’assurdo (Napoli: Liguori 2000), 48-61.

29. Sull’integrazione gaddiana di Leibniz e Darwin si era già espresso Roscioni 1995a: 38.

30. «“Le petit perceptions” nella psicologia di Leibniz, (Nouveaux Essais sur l’Entendement Humain), sono incrementi infinitesimi nella vita dell’essere individuo, causali inavvertite della scelta: come “la [fonction] différencielle” è l’incremento infinitesimo nella funzione algebrica» (Adalgisa, RR I 559).

31. Cfr. D’Arcy Wentworth Thompson, On growth and form (1917) (Cambridge: Cambridge University Press, 1961). L’esempio adotto nella fattispecie è appunto quello della costruzione delle celle di un alveare, che Gadda dice di mutuare da La vie des abeilles (1901) di Maurice Maeterlick (RRI 558), ma che era stato proposto anche in The Origins of Species. In particolare nel capitolo 7, a proposito del «Cell-making instinct of the Hive-Bee»: «the most wonderful of all known instincts, that of the hive-bee, can be explained by natural selection having taken advantage of numerous, successive, slight modifications of simpler instincts; natural selection having, by slow degrees, more and more perfectly led the bees to sweep equal spheres at a given distance from each other in a double layer, and to build up and excavate the wax along the planes of intersection» – C. Darwin, On the Origins of Species (1859) (New York: Gramercy, 1979), 256.

32. G. Celli, Darwin delle scimmie e altri scritti (Torino: Bollati Boringhieri, 1999), 52-59.

33. Gadda cerca sempre di innestare elementi organico-istintivi nel manifestarsi degli impulsi o desideri umani. Come ad esempio nella figura di Zoraide de La meccanica: «Questo suo Dio era un po’ immanentista: si transustanziava docilmente nella serenità fisiologica del suo corpo, splendido d’una forza racconta, pacata e indicibilmente viva. […] A qualcosa doveva certo servire: e nell’oscura coscienza fisiologica della donna, oscura ma ferma, il qualcosa, senza troppa metafisica, diventava un qualcuno» (RR II 487-88).

34. E. Mayr, Storia del pensiero biologico (Torino: Bollati Boringhieri, 1990), 67.

35. Sul concetto di «genti» per Gadda, si veda anche la nota specifica a riguardo inclusa nella Cognizione (RRI 676).

36. Si veda ad esempio nella Cognizione dove Gadda mette alla berlina «Tutti, tutti! Turchi, frittellari, circassi, mendicanti ghitarroni d’Andalusia, polacchi, armeni, mongoli, santoni arabi in bombetta, labbroni senegalesi dai piedi caprigni, e persino i Langobardòi di Cormanno, immigrati da Cormanno (Curtis Manni), a battere, anche nel nuovo mondo, il primato della ottusità e della mancanza di fantasia» (RR I 695).

37. Claudio Pogliano ricorda fra l’altro che il primo filone di pensiero eugenico nasce all’interno dell’Istituto italiano di igiene, previdenza ed assistenza sociale fondato da Ettore Levi grazie a fondi privati e diventato ente morale nel 1922. Ne entrano a far parte soprattutto rappresentanti della sinistra moderata, medici, igienisti, scienziati sociali e i presidenti di confindustria e confagricoltura. Cfr. C. Pogliano, Eugenisti, ma con giudizio, in A. Burgio (ed.), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia (1870-1945) (Bologna: Il Mulino, 1999), 423-42.

38. S. Freud, Una difficoltà della psicoanalisi, in Opere, vol. 8 (Torino: Bollati Boringhieri, 1989), 660-61. Freud commenta che «al narcisismo universale, all’amor proprio [sono] state fino a ora inferte tre gravi umiliazioni da parte dell’indagine scientifica». Queste tre umiliazioni – o ferite – sono quella cosmologica, legata alla rivoluzione copernicana, quella biologica, associata a Darwin e quella psicologica, associata alla psicanalisi. Secondo Freud «la terza umiliazione, di natura psicologica, colpisce probabilmente nel punto più sensibile».

39. Concetto poi ribadito nel ’77 in un intervista con Alberto Arbasino: «Alla psicanalisi mi sono avvicinato e ne ho largamente attinto idee e moventi conoscitivi con una intenzione e in una consapevolezza nettamente scientifico-positivistica, cioè per estrarre da precise conoscenze dottrinali e sperimentali un soprappiù moderno della vecchia etica, della vecchia psicologia, e della cultura che potremmo chiamare parruccona e polverosa di un certo tardo illuminismo lombardo» (Arbasino 1977: 353).

40. H. Siebeck, Aristotele. Trad. di E. Codignola (Milano-Palermo-Napoli: Sandron, s.d.). In particolare si veda il passo a p. 128 interamente sottolineato da Gadda: «Il libero arbitrio dell’uomo consiste […] nella capacità di poter ridurre all’obbedienza gli appetiti, che di loro natura contrastano alla ragione, eppure sono destinati ad esserle sottomessi. Il che viene reso possibile mediante la riflessione, guidata dalla ragione, che si rivolge al bene ed a tutto ciò, la cui attuazione è in nostro potere».

41. B. Croce, Filosofia della pratica. Economia ed etica (2° ed. Bari, Laterza, 1915). In particolare alle pp. 122-23. Nessuna glossa o commento specifico da parte di Gadda a riguardo.

42. Cfr. per esempio G. Sergi, L’eugenica e la decadenza delle nazioni, in Atti della SIPS VII Riunione (Roma, s.d.), 180-200.

43. Cfr. Sbragia 1996b; Hainsworth 1997; Dombroski 1984a e 1999. In particolare Albert Sbragia tenta di legare la posizione filo-interventista (o pre-fascista) del giovane Gadda a un credo darwiniano, con riferimento particolare al Giornale di guerra e di prigionia (SGF II 594, 617, 770); cfr. Sbragia 1996b: 43.

44. A. Lavergata, Il darwinismo sociale, in A. Minelli e S. Casellato (eds.), Giovanni Canestrini Zoologist and Darwinist (Venezia: Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2001), 400.

45. Questa posizione è sempre di Sbragia 1996b: 43.

46. Ci sono ulteriori elementi di carattere filosofico che parlano contro un profilo ideologico di stampo rigidamente fascista in Gadda, come per esempio quando nella Meditazione afferma che «non esiste un contenuto standard della virtù, ma che virtù esprime un rapporto, variabile a seconda dei casi» (SVP 684); o quando spende una parola contro la pena di morte, perché non è tanto il grado della pena importante nella prevenzione del crimine, ma «l’efficacia maggiore o minore dei mezzi di indagine e accertamento» (SVP 692).

47. Levine 1988: 16. Ai concetti di change and history si lega inoltre, sempre secondo Levine, la scomposizione delle categorie narrative di chiusura e teleologia, rendendo assolutamente dinamiche tutte le possibili definizioni essenzialistiche: «closure is perceived as artificial and inadequate because it implies an end to history and is incapable of resolving the problem raised by the narrative». La famosa urgenza gaddiana per la non-chiusura, filosofica e narrativa, può anch’essa essere inquadrata sotto questa declinazione darwiniana.

48. L. Chertok e I. Stengers, L’ipnosi (Milano: Guerini, 1991), 14.

49. Cfr. G. Deleuze, Le pli. Leibniz et le Baroque (Paris: Minuit, 1988). Su questo ha scritto diffusamente Dombroski 1999: 6-8.

50. Si veda ad esempio Rushing 1997: 412, che nella sua analisi comparativa considera gli elenchi di Gadda più disordinati di quelli di Calvino, sposando la dizione di Roscioni che vede nell’enumerazione «il mezzo più adeguato per esprimere il caotico e precario convergere di cose, uomini e interessi». Cita Roscioni 1975: 25.

51. Altri esempi nel Pasticciaccio: animale-gallina, teatro, tecnica-locomotiva (RR II 223); geografia, chimica, geometria platonica/divina, economia (RR II 226); nella metaforica attribuita ai gioielli di Liliana abbiamo riferimenti a mondo animale, geometria, geografia, religione (RR II 230-31).

52. «Nella sua vita di umiliato e offeso e nonostante il suo aspetto di filosofo addormentato, De Madrigal ha avuto occasione di conoscere e di analizzare implacabilmente donne e uomini» (Eros, SGF II 309); il «naturale spirito mimetico» è «presente in minore o maggior misura nel 50-60% dei giovani» (SGF II 331); «constato il fatto ai fini […] lo constato anche quantitativamente e statisticamente, perché non ho a’ numeri, ai chiari e veri e istruttivi numeri della statistica biologica, quell’orrore che hanno taluni sofi o sofoni solo immersi nella categoria qualitativa» (SGF II 337).

53. Cfr. C. Ginzburg, Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia (Torino: Einaudi, 1986): 158-209.

Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)

ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-06-X

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framed image: after a detail from Joseph Wright of Derby, An Experiment on a Bird in the Air Pump, 1768, National Gallery, London.

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