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Edizioni e scartafacci gaddiani
Paola Italia
1. Edizioni: «vasi comunicanti» e «metamorfosi testuali»
è da una condizione storico-culturale, con implicazioni – in perfetto stile gaddiano – biografiche, letterarie, poetiche e filosofiche, che ha origine la peculiarità e paradigmaticità editoriale dell’opera di Carlo Emilio Gadda. E da questa condizione non si può prescindere per capire la complessa storia dei suoi testi e delle edizioni delle sue opere.
Per non molti altri autori del Novecento, infatti, si è assistito a tale discrasia tra ordine di composizione e ordine di pubblicazione delle opere; discrasia che è alla base dei complessi problemi che un progetto di edizione scientifica, quale richiede ogni autore assurto allo statuto di classico.
Gadda, infatti, ingegnere per formazione e occupazione, ma letterato (nel senso di umanista) d’elezione, non è stato uno scrittore precoce. Il primo tentativo di romanzo, il Racconto italiano di ignoto del novecento, risale al 1924, quando l’autore, già trentunenne, reduce dall’avventura argentina e intenzionato ad abbandonare gli impieghi ingegnereschi per dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, aveva già vissuto esperienze che colmerebbero un’intera vita: la partecipazione alla guerra, la sconfitta e la cattura a Caporetto (1917), la prigionia a Rastatt e Celle Lager (1918), la morte in guerra del fratello, la laurea in ingegneria elettrotecnica (1920), l’immediato inizio del lavoro «ingegneresco» in grandi centrali termoelettriche, prima in Sardegna (1920), poi in Lombardia (1921-22), con incarichi progettuali e gestionali a livello dirigenziale; la crisi e l’iscrizione all’università, a Filosofia, dove aveva iniziato a dare alcuni esami (1922), l’emigrazione in Argentina, dove aveva lavorato quasi due anni presso la Compañia General de Fosforos di Buenos Ayres (1922-1924), il ritorno in Italia con l’abbandono dell’ingegneria e l’inizio della nuova, breve, carriera di insegnante di matematica e fisica al Parini (1924), nella speranza di trovare un impiego che gli permettesse di dedicarsi alla letteratura. Dopo questo primo cimento letterario, rimasto nel cassetto fino al 1983, la carriera di Gadda è costellata, da un lato da continui abbandoni e riprese dell’attività ingegneresca fino al 1950, quando viene stabilmente assunto alla RAI e si trasferisce a Roma, dall’altro da un percorso di scrittura narrativa, saggistica, e in minor misura filosofica, che proseguirà ininterrotto fino ai primi anni Sessanta. Di questa ingente produzione Gadda riesce a pubblicare solo una minima parte, in edizioni eleganti ma numerate, spesso autofinanziate, e che non escono da un ambito letterario ristretto, fino al successo del Pasticciaccio del 1957, che proietta l’autore, giunto all’età di sessant’anni, nello star system letterario.
Da quel momento in poi Gadda vive una rinnovata stagione editoriale, le sue opere vengono lette, ristampate, ne vengono richieste di nuove, e si pubblicano molti dei testi che erano stati scritti vent’anni prima, nel periodo più tormentato, ma più fecondo della sua produzione (1920-1940), incoraggiando un’editoria spesso strumentale, che tuttavia ha avuto il merito di allargare i confini della circolazione della sua opera e di consolidarne la fama fino alla scomparsa, a ottant’anni, nel 1973, all’apice del successo e di una disperata solitudine.
Le implicazioni biografiche, letterarie, poetiche e filosofiche, derivanti da questa situazione, sono state e sono tuttora indagate dalla critica. Valga per tutte la metaforizzazione (inedito / edito) applicata da Dante Isella al delicato rapporto tra
il progetto magnanimo di una rappresentazione esaustiva della complessità del reale e la sua esecuzione: ancorché capace di dare per frammenti l’idea del tutto, forzatamente parziale per l’inadeguatezza ai propositi non solo dell’individuo Gadda, ma dei tempi, della società smarrita in cui gli è toccato vivere. (D. Isella, Presentazione, RR I xviii-xix)
Ma non meno importanti sono le implicazioni testuali.
Diversamente da altri autori del Novecento, Gadda non progetta né lascia un piano editoriale della propria opera, ma affida a carteggi editoriali, solo recentemente editi nella loro integrità, la ricostruzione di un complesso psicodramma letterario che tocca tutta la geografia editoriale italiana, da Sansoni a Bompiani, da Ricciardi a Neri Pozza, da Einaudi a Garzanti, che rappresenteranno il vertice di un conflitto commerciale e personale, fonte di strazio e nevrosi. (1)
La pubblicazione delle Opere di C.E. Gadda, nella collana I Libri della Spiga di Garzanti, dal 1988 al 1993, che si offre come una «meditata proposta filologica» fondata su un «progetto generale di edizione critica» (ed esaurisce la disamina completa della tradizione a stampa, pur senza apparati), è venuta a ordinare una situazione testuale intricatissima, così sintetizzata ad apertura del primo volume, da Dante Isella, direttore dell’impresa:
La prima difficoltà che ci si è posta, nel realizzare il piano dell’opera, ha radice nella divaricazione, suggerita appena sopra, tra pubblico e privato, cioè tra quanto Gadda ha scritto ma tenuto nei suoi leggendari bauli e quanto invece, in una vita sofferta, spesso disperata, gli è riuscito di dare alle stampe. Non che si paventasse la mescolanza di libri compiuti con altri lasciati a mezzo: il «non finito» deve essere assunto come dato costitutivo, ontologico, della creatività gaddiana. Ciò non di meno è parso subito assurdo […] l’ipotesi di un ordinamento in cui editi e inediti si succedessero in consecuzione strettamente cronologica. Si distinguessero pure, raggruppandoli separatamente, tra i vari generi di scritti, per quanto distinguibili in uno scrittore in cui il pastiche non è solo stilistico. Risulterebbe pur sempre evidente (e fastidiosa anche al lettore meglio disposto) l’incongruenza di testi passati all’ultima lima e di altri il cui statuto (quando pure si potesse già disporre di un completo accertamento filologico) rimane fluido, sia a livello di lezione che di struttura. (D. Isella, Presentazione, RR I xx)
Delle strade percorribili dal curatore dell’opera postuma – conservazione del progetto d’autore, distinzione di genere, ricostruzione del percorso cronologico dei testi, ricostruzione storica del progetto d’autore (2) – solo la prima si poteva escludere a priori, ma, delle altre, solo l’ultima è risultata praticabile.
Una semplice distinzione di genere, posto che si potesse applicare, non avrebbe risolto il problema del rapporto edito / inedito (il Racconto italiano avrebbe dovuto inaugurare la sezione narrativa? la Meditazione milanese sarebbe dovuta figurare tra i saggi?). Di lì la scelta di distinguere i testi narrativi (Romanzi e racconti), da quelli saggistici e diaristici, riservando una categoria a parte per un genere, come quello delle Favole, che avrebbe potuto appartenere di diritto alla sezione narrativa, ma viene invece accomunato a quella non narrativa (Saggi, giornali, favole); riunendo sotto Scritti vari e postumi tutto quanto non rientrava nelle precedenti categorie (le Pagine di divulgazione tecnica, che avrebbero potuto figurare anche nella sezione saggistica), insieme alle traduzioni e ai Miti del somaro, a Gonnella buffone, Háry Janos e a Il Tevere.
Per quanto riguarda invece la possibilità di ordinare i testi secondo una ricostruzione del loro percorso cronologico, le ragioni per mantenere una distinzione tra edito e inedito si sono rivelate più forti di quelle a favore di una seriazione cronologica di tutta l’opera (soluzione, per intenderci, che è stata applicata dai curatori dell’opera narrativa di Pier Paolo Pasolini nella collana dei «Meridiani»). Anche se, infatti, da un punto di vista storico-letterario, sarebbe stato molto utile considerare i testi nella loro evoluzione biologica, il loro statuto profondamente diverso non autorizzava a una commistione, che avrebbe finito per mettere sullo stesso piano testi che erano stati e sono profondamente differenti, quanto a struttura (compiuta / frammentaria), a destinatario (privati / destinati a una lettura pubblica), a situazione editoriale (disomogeneità formale / uniformazione redazionale). Se, per esempio, si fosse scelto di seguire l’ordinamento cronologico, la serie narrativa sarebbe stata inaugurata da un abbozzo come Retica, importante frammento e documento della vocazione gaddiana al romanzo, della sua volontà di omnia circumspicere, ma relitto narrativo a cui non si potrebbe dare uno statuto letterario compiuto.
La soluzione scelta da Isella, perciò, propone, fatta salva la distinzione di generi sopra considerata e la separazione tra edito (i primi quattro volumi) e inedito (il solo quinto volume), una ricostruzione storica del progetto d’autore, riconducendo le scelte ecdotiche a quella condizione storico-culturale di cui si è detto in partenza. Riconosciuta una funzione cruciale al decennio compreso tra i primi anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, periodo in cui «Gadda riuscì nell’intento di portare a termine con straordinaria energia un vasto, preciso programma di sistemazione», Isella identifica in una lettera a Einaudi del 14 dicembre 1954 una progettazione d’autore relativa a «quasi tutta l’opera di Gadda» e sulla base di quelle indicazioni ricostruisce, storicamente, un progetto di cui, non meno che per le maggiori opere narrative (il non finito, per Gadda, è davvero una condizione ontologica!), non abbiamo che un abbozzo:
Roma, li 14 dicembre 1954.
Caro dottor Einaudi,
Le sono molto grato della sua cordialissima lettera del 10 corrente.
Mesi fa avevo visitato la signora Ginzburg per dirle che ero riuscito a definire la mia situazione, e che potevo quindi adempiere agli obblighi (graditissimi) assunti con Lei. Ho nel frattempo preparato e radunato il materiale: Lei è sempre del parere di fare due «supercoralli»? o comunque due volumi?
Il volume narrativo comprende:
1. Madonna dei Filosofi 180
2. Castello di Udine 220
3. Adalgisa
4. La Cognizione del dolore 300
(incompiuto)Il volume saggistico comprende:
1. Le Meraviglie d’Italia
2. Gli anni
3. Altri saggi non editi in volume per 100 pag.
(Gadda 2003d: 82-83)
è Gadda stesso, quindi, ad autorizzare la distinzione dei volumi garzantiani in generi: narrativo e saggistico, rappresentati dai volumi di Romanzi e racconti (I e II) e Saggi, giornali e favole (I e II), e a suggerire un’organizzazione interna di tipo cronologico.
Risolto, con una soluzione d’autore, il piano generale dell’opera, restavano però altre difficoltà, legate – ricorda sempre Isella nell’Introduzione al primo tomo di Romanzi e racconti del 1988 – a «due ordini di problemi», che definiscono altrettante caratteristiche peculiari dell’opera gaddiana: un’opera – proseguendo con le parole di Isella – (1) costituita da vasi comunicanti, ovvero dal fatto che «interi capitoli di un libro (o suoi brani cospicui) ricorrono eguali anche in un altro libro (o in più di uno)», da cui «la stretta necessità, nonostante intrecci e sovrapposizioni, di serbare a ciascun libro o raccolta la struttura che gli è propria», e dall’esistenza di (2) una continua «metamorfosi di testi assoggettati negli anni a interventi più o meno incisivi, sia per la lezione (da fissare secondo l’ultima volontà accertata dell’autore), sia, in presenza di raccolte ordinate nel tempo con criteri e modalità diversi, per i mutamenti strutturali» (D. Isella, Presentazione, RR I xx). Vediamo con quali conseguenze ecdotiche.
1. La prima caratteristica, che fa di quest’opera un «complesso sistema a vasi comunicanti», implica la necessità di moltiplicare gli individui testuali, preferendo la riproposta delle edizioni piuttosto la rappresentazione della loro fisionomia attraverso varianti d’apparato.
Così, ad esempio, i due racconti dell’Adalgisa, ricavati dall’allora inedita (in volume) Cognizione del dolore: Strane dicerie contristano i Bertoloni e Navi approdano al Parapagàl, non vengono riprodotti nella versione dell’una o dell’altra opera (a seconda che si volesse privilegiare la loro prima o ultima edizione), ma in entrambe, riconoscendo quindi alla fisionomia dei singoli volumi un valore aggiunto da non sacrificare alla ripetizione dei testi stessi. E tale scelta si adegua, ancora una volta, alla volontà dell’autore, perché, se è vero che nella seconda edizione dei Disegni milanesi del 1945 Gadda aveva espunto i due tratti della Cognizione, in linea con le osservazioni critiche di chi li aveva riconosciuti «poco milanesi», nella riedizione di dieci anni più tardi, nella silloge einaudiana dei Sogni la folgore (1955), li aveva reintegrati, indifferente al fatto che i due testi si susseguissero – come si susseguono nel primo volume di Romanzi e racconti – a brevissima distanza.
E analogamente non vengono espunti anche i due tratti della Cognizione – Una visita medica e La mamma – pubblicati negli Accoppiamenti giudiziosi (1963), che compaiono nel secondo volume dei Romanzi e racconti, così come il racconto Notte di luna, che inaugura con il suo registro alto liricizzante, e a controcanto, la serie dei disegni della stessa Adalgisa, e viene ripubblicato nella sua forma originaria come sezione del Racconto italiano, a cui inizialmente apparteneva. E si potrebbe continuare.
2. La seconda caratteristica, la metamorfosi dei testi nel tempo, coinvolge direttamente, sia a livello di microtesto (la singola lezione) che di macrotesto (la struttura delle raccolte), una riconsiderazione del principio secondo cui un testo va pubblicato seguendo l’ultima volontà dell’autore. Principio dichiarato come guida generale dell’edizione, ma che in qualche caso comporta un sacrificio della realtà storica, di quella necessità di ricostruzione storica di un progetto d’autore che anima tutto il progetto editoriale. Vediamo due casi esemplari.
Il primo riguarda la scelta di pubblicare la Madonna dei Filosofi (princeps nelle Edizioni di Solaria, 1931), il Castello di Udine (princeps nelle Edizioni di Solaria, 1934) e L’Adalgisa (princeps Le Monnier 1944) nella raccolta einaudiana del 1955, I sogni e la folgore, considerata come «stazione terminale di un processo avviato trent’anni avanti» (D. Isella, Presentazione, RR I xvii-xviii). Si tratta di una scelta coerente con le premesse (il volume rappresenta la realizzazione editoriale – sul versante narrativo – di quel progetto d’autore sulla propria opera esposto a Einaudi nel gennaio 1954), ma dalle conseguenze testuali non indifferenti poiché, se la nuova edizione lascia la fisionomia del primo e del terzo elemento del trittico sostanzialmente immutata (si vedano le Note ai testi rispettivamente di Raffaella Rodondi e Guido Lucchini), interviene però massicciamente su quella del Castello di Udine, con tagli testuali e la soppressione di molte note presenti nell’edizione del 1934, note che la curatrice presenta in un’Appendice successiva alla Nota al testo. Ma si trattava di un’edizione storica tra le principes di Gadda, non foss’altro perché – come è noto – la sua recensione (Contini 1934, ora 1989: 3-10) aveva inaugurato quei Quarant’anni di amicizia che avrebbero lasciato un segno duraturo nell’opera dell’ingegnere e nella storia della critica letteraria del Novecento italiano. La decisione di pubblicare la prima edizione, tuttavia, avrebbe rappresentato una linea di indirizzo ineludibile per le opere successive, e modificato la fisionomia dell’opera stessa, ma è un fatto che per leggere il Castello nella sua prima edizione del 1934 dobbiamo andare in Biblioteca, o acquistare un (costosissimo) volume d’antiquariato, poiché le riedizioni dei singoli testi gaddiani, entrati poi in collane più economiche (come quella garzantiana degli Elefanti), hanno seguito il testo delle Opere, e quindi la lezione del 1955.
Il secondo caso riguarda la soluzione data alla complessa situazione dei saggi pubblicati nelle Meraviglie d’Italia (princeps 1939) e negli Anni (princeps 1943), poi raccolti in Verso la Certosa del 1961, (3) che, rielaborando i testi (e aggiungendone cinque inediti) dava una «ristrutturazione unitaria delle due precedenti raccolte» e si configurava come migliore realizzazione della «volontà dell’autore» rispetto all’ultimo pubblicato in ordine di tempo, presso Einaudi, tre anni dopo. Resta, però, che Le Meraviglie d’Italia-Gli Anni del 1964, se pure destituiti di valore autoriale, non erano altro che il volume previsto da Gadda dieci anni prima, nella citata lettera del gennaio 1954, come pendant saggistico de I Sogni, la Folgore.
La presenza di minime correzioni alla lezione di Verso la Certosa, mentre accreditava valore alla raccolta ricciardiana, toglieva credibilità a quella einaudiana, definita da Isella una «mera operazione editoriale autorizzata da Gadda».
Il diagramma autoriale, sceso a picco laddove avrebbe dovuto concludere il percorso in climax ascendente, giusta la legge dell’ultima volontà dell’autore, permette a Isella di valutare per analogia la produzione più tarda degli anni Sessanta e Settanta, quella del successo letterario: «per questi testi la storia vitale dell’elaborazione gaddiana si arresta al ’61 (quanto segue rientrando tra le abili alchimie degli editori)» (D. Isella, Presentazione, RR I xxiv). E che la raccolta del 1964 fosse il frutto di un’operazione editoriale lo testimonia anche la sua natura di ibrido filologico, che riunisce testi coevi alla revisione del 1961 (quelli derivati da Verso la Certosa) con testi tratti dalle Meraviglie d’Italia e dagli Anni nella loro lezione originaria di vent’anni prima (1939-43). Un pastiche che non ha nulla di gaddiano, ma che è solo un pasticcio filologico di una frettolosa cucina redazionale.
Del carattere «quasi postumo» dell’opera di Gadda dopo il 1961 è testimonianza cruciale la storia editoriale di Eros e Priapo, pubblicato nel 1967 in una forma edulcorata da più revisioni, che fino ad oggi, nonostante l’importanza del testo, non ha ancora trovato una sistemazione filologica corretta. (4)
2. Scartafacci: Gadda e la filologia d’autore
Conseguenze non meno importanti ha avuto lo studio dei manoscritti di Gadda, iniziato nel 1983 sul primo degli scartafacci dell’ingegnere, quel Cahier d’études che racchiudeva, con il primo tentativo romanzesco gaddiano, anche la più avanzata riflessione teorica sul romanzo sviluppata in quegli anni nelle note critiche e compositive del Racconto italiano. Di questo testo Isella procura per Einaudi un’edizione critica che costituisce ancora oggi un punto di riferimento obbligato per gli studi testuali gaddiani e, più in generale, per la filologia d’autore.
Non si tratta di un testo semplice, né nel macrotesto (si pensi alla commistione accennata di note critiche, note compositive e parti narrate, alla frammentarietà di queste ultime, alla asistematicità della datazione delle varie sezioni del Cahier) né nel microtesto (di 253 pagine, 80 – meno di un terzo – sono occupate dall’apparato, che testimonia lo stato tormentato e dell’autografo (riprodotto in facsimile a p. 45v del I quaderno del Cahier d’études).
Questa edizione tiene a battesimo il principale strumento ecdotico adottato dalla filologia gaddiana, così sintetizzato dal suo ideatore:
il modello si fonda sulla doppia esigenza di rappresentare compiutamente la complessità della pagina gaddiana e insieme di razionalizzarne le molteplici componenti, liberandole dal groviglio in cui si intricano. Occorre infatti distinguere, innanzi tutto, tra il piano del testo e il piano delle postille al testo, considerando tali l’insieme degli interventi dello scrittore, nei margini o nell’interlinea del primo, per appuntarvi di volta in volta indicazioni di lavoro, dubbi, autocommenti ecc. E occorre tenere distinte le lezioni che nel loro succedersi e correggersi costituiscono le fasi anteriori del testo stabilito (inteso come il punto d’arrivo più avanzato, ancorché non definitivo) dalle lezioni che, pensate come sue possibili varianti (le cosiddette varianti alternative), lo aprono virtualmente verso nuove soluzioni. (Isella 1993b, SVP 1267-268)
I regesti di questi tre elementi diversi – 1. apparato; 2. postille e 3. varianti alternative – formano «la triplice griglia preordinata alla distinzione e organizzazione di tutto ciò che, nel laboratorio dello scrittore, concorre da un lato a definire il testo e a registrarne gli embrionali sviluppi, dall’altro a commentare le proprie decisioni, attuate o attuabili; ma, in presenza di un’opera in fieri (che non esiste come oggetto definito dall’autore, offrendosi come il risultato di una ricostruzione critica, che sempre si vorrebbe suscettibile di tutte le verifiche possibili) quella griglia viene ad essere anche la indispensabile garanzia del testo prodotto» (Isella 1993b, SVP 1268).
Analizziamoli quindi separatamente cercando di vedere, per ciascuno di essi, quali conseguenze hanno avuto non solo per la lettura e interpretazione dei manoscritti gaddiani, ma più in generale, per le tecniche di rappresentazione della filologia d’autore.
1. APPARATO. Dal momento che il testo è costituito dalla ricostruzione dell’ultima lezione del manoscritto, l’apparato è di tipo genetico; rappresenta cioè tutte le fasi di correzione del testo dalla sua prima all’ultima lezione (a testo) ed è di tipo orizzontale (si legge cioè in calce al testo): l’unico praticabile per i testi in prosa, che non permettono di riprodurre la segmentazione versale adottata invece per i testi in poesia negli apparati verticali. Ogni porzione di testo coinvolta in variante viene delimitata da una parentesi quadra e seguita dalla riproduzione dello stato del manoscritto, attraverso opportune abbreviazioni. Si tratta, infatti, di un apparato di tipo parlato, dove la topografia delle correzioni viene rappresentata mediante abbreviazioni (sps. a; sts. a; ins.; da; su, ecc.) piuttosto che simboli.
Questo modello (ultima lezione del manoscritto con apparato genetico orizzontale e parlato), già utilizzato da Isella o dai suoi allievi in altri casi di filologia d’autore, è stato mantenuto anche nelle successive edizioni di manoscritti gaddiani, con una significativa evoluzione costituita dalla decisiva evoluzione dell’apparato in senso sempre più sistemico e diacronico.
Mentre infatti nei primi apparati, per una esigenza di chiarificazione e di semplificazione, le correzioni venivano rappresentate singolarmente, anche laddove avrebbero potuto essere correlate e implicate fra loro, e si privilegiava la sincronia alla diacronia, negli apparati più recenti le correzioni vengono rappresentate cercando di unire le varianti che possano essere legate fra loro, e presentando, quando possibile, la loro seriazione temporale mediante esponenti numerici identificanti le fasi di una determinata porzione di testo. Da un apparato inizialmente sincronico e fotografico, utile strumento di lettura e interpretazione del manoscritto, ci si sta muovendo sempre più verso un apparato diacronico, che disponga su una linea temporale la – se pur complicata – genesi del testo. Da un apparato di singole varianti si sta passando sempre più a un apparato di fasi (comprendenti al loro interno varianti, opportunamente rappresentate).
Si tratta di un’evoluzione molto importante, che si può verificare mettendo a confronto i primi apparati degli anni Ottanta con quelli realizzati vent’anni dopo. Vent’anni in cui proprio grazie al metodo gaddiano di Isella, e alle altre edizioni da lui direttamente promosse o derivate dalla sua scuola, (5) la filologia d’autore ha compiuto grandi passi nelle tecniche di rappresentazione e interpretazione dei manoscritti.
A questa evoluzione si aggiunge la necessità, emersa già dai primi anni Novanta, di un maggior approfondimento nella ricostruzione della genesi del testo, con l’identificazione e la seriazione cronologica delle varie campagne correttorie all’interno della più generale fase genetica. Ho cercato di presentare la dinamica dei manoscritti gaddiani alcuni anni fa, in occasione di un seminario dedicato alle tecniche di rappresentazione di testo e apparato nella filologia d’autore, dove prendevo a esempio i manoscritti dell’Incendio di via Keplero di cui, nel 1995, avevo procurato l’edizione critica all’interno del ricostruito volume di Disegni milanesi (che riuniva Un fulmine sul 220, San Giorgio in casa Brocchi e L’incendio di via Keplero) pubblicato a cura dello stesso Isella e di Giorgio Pinotti.
Dopo avere studiato altri manoscritti e altre edizioni critiche o scientifiche di testi gaddiani, credo che la fenomenologia descritta possa essere ancora valida, naturalmente tenendo conto delle peculiarità relative a ogni manoscritto. Mi sembra confermata la caratteristica comune agli autografi gaddiani di procedere per instaurazione piuttosto che sostituzione, mediante la dilatazione sempre più ampia di un primo segmento iniziale già in sé compiuto con aggiunte marginali, interlineari, ascrizioni, note al piede, o addirittura di interi brani scritti in diversa sede e richiamati da postille o note compositive. Non credo più, tuttavia, che una rappresentazione diacronica delle fasi genetiche sia impossibile, per le più sofisticate tecniche di rappresentazioni delle varianti genetiche messe in atto, nell’ultimo decennio da Isella e dalla sua scuola, e proprio per il vantaggio derivante dal fatto che il principio di accrescimento testuale è identico e grossomodo semplificabile in questo modo (intendendo con n una serie di aggiunte testuali che non modificano la sostanza del testo, ma ne ampliano a dismisura i particolari, le precisazioni, le digressioni, le divagazioni, i garbugli...):
A → B (= A + n) → C ( = A + B [= A +n] + n) → D (A + B + C + n, ecc...).
I tentativi che avevo fatto, a suo tempo, per distinguere le diverse fasi correttorie in relative fasce di apparato, sulla scorta di quanto esperito – su manoscritti di tipo diverso – da altri editori critici, (6) non si erano rivelati soddisfacenti: l’apparato diventava poco praticabile per il lettore, costretto a seguire la genesi del testo attraverso varianti separate sì diacronicamente, ma correlate fra loro logicamente e sintatticamente e, all’atto pratico, inscindibili. La fascia unica mi era sembrata e mi sembra tuttora la più praticabile, anche grazie a questo meccanismo di accrescimento per instaurazione, predominante nel testo. Praticabile, a patto di rappresentare il percorso genetico secondo un ordine delle varianti progressivo (T] 1A → 2B → 3C ecc.) e non derivativo (T] 3C ← 2B ← 1A), proprio per mettere in risalto il principio instaurativo del testo. Di fronte a casi canonici di instaurazione, non complicati da evidenti campagne correttorie, si potrebbero anche dare gli estremi del percorso genetico, ovvero il segmento testuale base, indicato come fase n. 1, e l’ultimo (coincidente con la lezione a testo), di cui si presentano le successive aggiunte e integrazioni:
T] 1lezione base → 2T (con: A ins., B, as., C in interl sup., ecc.).
Le campagne correttorie possono essere identificate con marcatori tipografici evidenzianti, che non sottraggono le varianti alla loro naturale collocazione all’interno di una fase, ma che permettono al lettore di riconoscerne la specificità tipologica. (7)
Vi sono tuttavia anche casi, non così rari, di varianti di sostituzione, per i quali è molto utile la consueta rappresentazione delle fasi genetiche identificate da esponenti numerici, come possiamo vedere nell’edizione del Fulmine sul 220 procurata da Isella nel 2000 (Gadda 2000b) che ha modificato in senso maggiormente diacronico l’apparato già realizzato nel 1995 con criteri di rappresentazione più sincronici e funzionali a una lettura del manoscritto.
Un ulteriore progresso nello studio dei manoscritti gaddiani verrà, oltre che dal riconoscimento e dalla rappresentazione delle campagne correttorie, dalla distinzione tra varianti immediate (quelle fatte currenti calamo e che devono essere state effettuate durante la prima stesura del testo) e varianti tardive (quelle effettuate in un secondo momento, su un testo che, sia pure provvisoriamente, l’autore riteneva compiuto). In filologia d’autore, si considerano immediate (1) le varianti in rigo, e (2) quelle soprascritte, sottoscritte e ascritte implicate (logicamente o linguisticamente), mentre sono tardive tutte le altre. (8)
Nel caso dei manoscritti gaddiani, la fenomenologia correttoria prima individuata permette di circoscrivere le vere e proprie varianti immediate alla realizzazione di una prima stesura base, sulla quale, in uno o più momenti successivi, l’autore interviene con le instaurazioni prima considerate che altro non sono che le varianti tardive. In questa prospettiva, e per casi particolari, potrebbe essere utile modificare il punto di vista da cui traguardare la genesi del testo e non adottare necessariamente l’ultima lezione ricostruibile dal manoscritto, ma la prima lezione base compiuta, sulla quale si sono depositati gli interventi instaurativi. Ciò può essere praticabile non già nel caso di manoscritti inediti dei quali si debba procurare l’edizione critica, dove a testo è opportuno ricostruire l’ultima lezione dell’autografo, ma di redazioni manoscritte anteriori di testi poi pubblicati in rivista e/o volume, dove mettere a testo la prima stesura permette di distinguere facilmente i due tipi di varianti, immediate e tardive, nella doppia fascia di apparato: genetica ed evolutiva e dove spesso l’ultima lezione del manoscritto è pressoché identica a quella della prima stampa.
è significativo che da queste osservazioni (che potranno trovare conferme o smentite da ulteriori, prossime edizioni), si ricavi, concordemente con le osservazioni sulla tradizione a stampa dell’opera gaddiana, una messa in crisi – non sistematica, ma relativa alla situazione storica dei singoli testi – del principio dell’ultima volontà dell’autore: nelle stampe, per l’importanza che assumono, nella prospettiva di un classico del Novecento e della tradizione che in quanto classico costituisce, le prime edizioni rispetto alle ripubblicazioni tardive o ultime; nei manoscritti per l’opportunità, in casi particolari, di non mettere a testo l’ultima, ma la prima lezione compiuta: quel testo base su cui Gadda esercita i suoi pirotecnici virtuosismi linguistici, per una più agevole analisi dell’intero processo genetico del testo.
2. POSTILLE. Con postille, relativamente al Racconto italiano, vengono definite «le osservazioni, scritte un po’ dovunque, con le quali Gadda è solito postillare il già fatto o il da farsi: espressioni di scontento o di soddisfazione, avvertimenti o consigli a se stesso; e anche dubbi (talvolta affidati a un punto interrogativo), e collegamenti tra luoghi diversi; quando non pure indicazioni, attribuibili a un tempo più tardo, in servizio della ricopiatura in pulito di singoli brani o di una loro destinazione al di fuori, ormai, dell’orizzonte del Cahier)» (Isella 1983: xxxiv-xxxv).
Essendo postille al testo, sarebbero da vedere idealmente ai suoi margini, ma per esigenze tipografiche sono raccolte in un regesto finale: «il lettore interessato è puntualmente messo in avvertenza, là dove cade ciascuna di esse, da un segno convenzionale posto, in luogo suo, proprio nel margine della pagina (>): qualcosa come l’estrema riduzione grafica di una mano dall’indice puntato in uso in altri tempi» (Isella 1983: xxxv).
Non si tratta solo di una questione terminologica. Come sempre in filologia le parole sono cose, e dietro le questioni terminologiche vi sono decisioni testuali, atteggiamenti ecdotici spesso di grande portata. Per quanto riguarda le Postille, la decisione di separare dalla dinamica testo / apparato tutti gli elementi che non avrebbero potuto comparire né nel testo né in apparato, perché relativi non a uno stadio testuale, ma a uno stadio metatestuale, ha comportato una razionalizzazione della pagina pari alla sua complessità, sceverando dal manoscritto tutti gli elementi non funzionali alla restituzione del testo e della sua genesi interna, con il duplice risultato di semplificare la rappresentazione del manoscritto stesso e di dare maggiore evidenza al momento riflessivo e progettuale del testo.
Dietro all’etichetta Postille, è possibile infatti identificare, per autori e testi di diversi, altre tipologie metatestuali, la cui rappresentazione separata permette un’efficace razionalizzazione della pagina manoscritta. Si pensi, ad esempio, alle postille / note compositive di cui Leopardi costella alcuni manoscritti dei suoi testi in prosa, in particolare quello delle Annotazioni all’edizione del 1824 delle Canzoni, dove la complessità del manoscritto aveva addirittura impedito la realizzazione di un’edizione critica, fino a quella diretta da Gavazzeni, (9) oppure, per rimanere sempre in ambito ottocentesco, il vantaggio ecdotico della separazione delle postille di Manzoni, Fauriel e Visconti al manoscritto del Fermo e Lucia, dove, come ulteriore elemento di complicazione, interviene l’intreccio dinamico tra testo / apparato / postilla nella restituzione del testo medesimo. (10)
3. VARIANTI ALTERNATIVE. Le varianti alternative sono invece «lezioni concorrenti tra le quali l’autore non sa decidersi, o comunque non dà a intendere per segni certi di sapersi decidere» (Isella 1983: xxxv) vengono registrate a piè di pagina e sono contrassegnate da un esponente alfabetico (in quanto quello numerico è utilizzato per le note d’autore presenti nel testo). Nel Racconto italiano, postille e varianti alternative sono riconosciute più nel loro status di testo, che di apparato: le prime, infatti, compaiono prima dell’Apparato critico vero e proprio e sono da esso separate, le seconde si trovano a piè di pagina e nello stesso corpo tipografico del testo. Anche in questo caso non si tratta di un’innovazione puramente formale, ma della conseguenza tipografica di una valutazione scientifica: per quel testo, in quel punto particolare, non c’è distinzione tra testo e apparato, non c’è nemmeno il testo, che convive con la sua alterità, con la sua possibilità espressiva, a cui bisogna riconoscere uno statuto pari a quello del testo stesso.
Come si può vedere, della portata teorica di questa prima, pionieristica edizione critica, non si è ancora riconosciuta a sufficienza l’importanza, mancando ancora a studiosi e filologi uno strumento che consenta una maggiore comunicazione e si ponga in carico anche una minima storicizzazione della disciplina. Ma, come spesso accade, la prassi è venuta prima della teoria e un buon metodo di lavoro fa subito scuola. I criteri rappresentativi messi in opera da Isella hanno cominciato ad essere applicati ad altri manoscritti gaddiani, scoperti – quando praticamente la collana delle Opere si avviava alla sua conclusione – negli armadi di Via Senato: decine di quaderni, quadernetti e notes di appunti che Gadda aveva donato a Livio Garzanti, in riconoscenza di un sostegno non solo economico nel parto del Pasticciaccio e in previsione di un futuro utilizzo editoriale (come in effetti avvenne: La meccanica del 1970 e Novella seconda 1971 furono pubblicati attingendo a quel «cuófeno» prima della riedizione, a cura di Isella, nelle Opere Garzanti). (11)
Le edizioni che si sono susseguite dal 1983 sono numerose: dalla Meccanica ai Racconti incompiuti (Novella seconda, Dejanira Classis e Notte di luna), (12) dal Giornale di guerra e di prigionia (13) al Primo libro delle Favole, (14) dai Miti del somaro e il Palazzo degli ori (15) e della Meditazione milanese (anche se per quest’ultimo testo non si è trattato di approntare una nuova edizione critica, ma di applicare questo modello filologico all’edizione di Giancarlo Roscioni del 1974), (16) alle Poesie del 1993, (17) fino ai citati Disegni milanesi del 1995.
Dal 2001, grazie ai Quaderni dell’ingegnere, è stato possibile incrementare nuovamente la messe di testi da accreditare al canone gaddiano, a partire dal primo numero, che ha pubblicato il racconto Villa in Brianza, (18) uno dei prodromi della Cognizione del dolore; per seguire con il quadernetto di appunti senesi, Grumi di pensiero silvano, (19) con il saggio di poetica, uscito nel secondo numero del 2003, Primo libro della poetica, (20) accompagnato da Le Marie Luise e la eziologia del loro patriottaggio verbale e Le genti. (21) Del 2004 sono il primo e il secondo tratto della Cognizione del dolore, (22) e i brevi testi: Autoritratto – Cavalli e muli – Facciata e retro nell’architettura neolatina, nonché gli Appunti autobiografici del 1925; (23) mentre la tesi di laurea sui Nuovi saggi di Leibniz, che si credeva perduta, è riemersa invece dal Fondo Roscioni per essere pubblicata nel quarto numero del 2006, a cura di Riccardo Stracuzzi (Gadda 2006a-b). (24) L’ultimo numero dei Quaderni uscito sotto la direzione di Isella, pubblicato nell’ottobre 2007, poco prima della sua scomparsa, offre ai lettori il frutto acerbo della narrativa gaddiana degli anni Trenta: La Ragazza di Albissola (a cura di Liliana Orlando) e Temi di lavoro 1932: I. Un matrimonio sfumati; II. Il “manubia” di Ramas; III. Novella dell’egoista attaccabottoni, e l’ultima fatica filologica del suo Direttore.
Dal quadro che si è tracciato appare evidente il ruolo strategico che un’impresa come quella realizzata da Isella e dalla sua equipe con le Opere Garzanti ha rappresentato, e le prospettive che apre ora, a distanza di un ventennio dalla pubblicazione del suo primo volume.
Che siano finalmente maturi i tempi per potere pensare a un’integrazione delle Opere verso un «Tutto Gadda»? I passi che si stanno muovendo, grazie ancora allo stimolo dei Quaderni, anche verso un’edizione delle lettere (25) e un’edizione degli Appunti (26) lasciano ben sperare.
Note
1. Ci si riferisce in particolare alle Lettere all’editore Einaudi (1939-1967), curate da L. Orlando, e alle Lettere a Livio Garzanti, curate da G. Pinotti – rispettivamente nel secondo e nel quarto vol. dei Quaderni dell’ingegnere (Gadda 2003d e 2006b).
2. «Quando invece l’autore non abbia lasciato nessuna indicazione sulla riedizione della propria opera (intesa complessivamente o solo parzialmente), il curatore si trova a dover scegliere il criterio ecdotico che meglio si adatti all’opera da pubblicare, e potrà procedere secondo una distinzione di genere (non solo quella canonica tra opere narrative e saggistiche, ma anche, il che è più delicato, tra romanzi e racconti, tra romanzi della giovinezza, della maturità, ecc.) oppure ricostruire il percorso cronologico dei testi (che dovrà poi scegliere di pubblicare secondo le ultime edizioni o secondo le prime). O ancora, potrà cercare, sulla base degli elementi in suo possesso, di ricostruire storicamente il progetto d’autore, anche non in stretta relazione a un progetto di Opera omnia» – Italia 2005a: 198-99.
3. Per una completa illustrazione delle soluzioni offerte all’edizione dei saggi rimando al saggio di Liliana Orlando, Dalle «Meraviglie d’Italia» a «Verso la Certosa».
4. Il saggio di Giorgio Pinotti, Sul testo di «Eros e Priapo», illustra problemi, metodologie e progetti editoriali relativi a questo importante momento della riflessione e della scrittura gaddiana.
5. Si pensi al cantiere verghiano, con le edizioni critiche di Vita dei campi e Mastro don Gesualdo, a cura di C. Riccardi, dei Malavoglia, a cura di F. Cecco (Milano: il Polifilo, 1995) e alla duplice impresa dell’edizione critica dei Canti di G. Leopardi (Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 2006), diretta da Franco Gavazzeni e curata da C. Animosi, F. Lucchesini, F. Gavazzeni, P. Italia, M.M. Lombardi, S. Rosini e R. Pestarino, e dell’edizione critica del Fermo e Lucia, diretta da Dante Isella e curata da B. Colli, P. Italia e G. Raboni (Milano: Casa del Manzoni, 2007); edizioni che, per difficoltà dei manoscritti e della situazione testuale, presentano una comune evoluzione di quei criteri di rappresentazione dell’apparato in senso sistemico e diacronico nati dal comune lavoro sugli apparati gaddiani.
6. In particolare nell’edizione critica degli Asolani del Bembo, procurata nel 1991 da Giorgio Dilemmi (Firenze, presso l’Accademia della Crusca).
7. Una soluzione ancora legata alla monocromia cartacea è stata utilizzata nell’edizione critica dei Canti di Leopardi diretta da Franco Gavazzeni (Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 2006), dove particolari categorie di varianti sono state marcate da un fondino grigio evidenziante.
8. Per un’ampia fenomenologia delle varianti tardive cfr. Italia 1999: 57-63.
9. Nota al testo alle Annotazioni, a cura di chi scrive – Leopardi 2006: II, 85-122.
10. Norme per la lettura, Manzoni 2006: xi-xvi.
11. La catalogazione completa del Fondo Gadda dell’Archivio Garzanti, ora depositato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano, è stato pubblicato, a cura di chi scrive, sui primi cinque numeri dei Quaderni dell’ingegnere (2001-2007).
12. Pubblicati a cura di Dante Isella in RR II.
13. Pubblicato sempre a cura di Isella in SGF II.
14. Pubblicato a cura di Claudio Vela in SGF II.
15. Pubblicati entrambi a cura di Giorgio Pinotti in SVP.
16. Pubblicata a mia cura in SVP.
17. Pubblicate in Gadda 1993a da M.A. Terzoli, senza apparato genetico e dando conto solo dell’«ultima fase reperibile in ogni testimone», in ossequio a un criterio di «economia e leggibilità», ma anche a ragioni di ordine teorico: «il tentativo di render conto di tutti gli stadî attraverso i quali si costituisce la lezione ultima di un testo si assume spesso il rischio di ricostruire in maniera indiziaria momenti compositivi che sono, nella maggior parte dei casi, difficilmente documentabili, o almeno di conferire loro un eccesso di realtà, discutibile quando non totalmente arbitraria. Registrando l’ultima lezione attestata da ogni testimone, si dà invece conto di una fase individuabile con certezza, e soprattutto si accreditano soltanto momenti storicamente esistiti, che si inseriscono in un punto certo, e materialmente documentato, della diacronia del testo» (Terzoli 1993b: xxx), posizione che va integrata con Terzoli 1994.
18. Pubblicata a cura di Emilio Manzotti (Gadda 2001a).
19. Pubblicati a cura di Dante Isella (Gadda 2001b).
20. Pubblicato a cura di Dante Isella (Gadda 2003a).
21. Pubblicati a cura di Giorgio Pinotti (Gadda 2003b e 2003c).
22. Pubblicato a cura di Emilio Manzotti (Gadda 2004a).
23. Pubblicati a cura di Dante Isella (Gadda 2004b e 2004c).
24. Nel suo contributo: Chiose all’edizione della tesi su Leibniz lo stesso Stracuzzi riesamina alcuni problemi, anche teorici, emersi durante il lavoro di curatela dell’edizione.
25. Di cui dà puntuale resoconto il saggio di Claudio Vela: Per l’edizione delle lettere.
26. Si tratta di un campo ancora per lo più inesplorato, eccetto la sezione tecnica, per cui si rimanda ai contributi di Andrea Silvestri.
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ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-17-5
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