Gadda e il fascismo

Robert S. Dombroski

Con l’intervista concessa nel 1968 a Dacia Maraini Gadda intendeva fugare ogni dubbio riguardo ai propri sentimenti politici negli anni del regime fascista: «Solo nel 1934, con la guerra etiopica, ho capito veramente cos’era il fascismo e come mi ripugnasse. Prima non me n’ero mai occupato. Le camicie nere mi davano fastidio e basta […] Ma solo nel ’34, con la guerra etiopica, ho capito veramente cos’era il fascismo. E ne ho avvertito tutto il pericolo» (Gadda 1993b: 168). Con questa dichiarazione l’autore confermava quanto diversi critici, attenti a porre l’accento sul suo antifascismo, volevano credere, ossia che ogni possibile relazione con il regime non fosse che il retaggio di una giovanile retorica patriottica e militarista. Il fervore con cui nel Giornale di guerra e di prigionia e nel Castello di Udine Gadda aveva esaltato il proprio Paese, ad esempio, e la sua rigida preoccupazione per la corretta condotta militare costituivano, a parere di Giuliano Manacorda, «il massimo delle concessioni che Gadda abbia fatto al fascismo», (1) mentre Adriano Seroni si premurò di distinguere tra il Gadda nazionalista e militarista e lo scrittore maturo che col tempo aveva preso atto dell’«antistoricismo» della propria giovanile visione delle cose (Seroni 1969a: 93). Nella prospettiva affatto diversa di Gian Paolo Biasin, invece, il fascismo era stato per Gadda un’esperienza «che egli ha vissuto e sofferto sdegnosamente, silenziosamente» (Biasin 1969: 473).

Un esame ravvicinato degli scritti di carattere tecnico che Gadda redasse dal 1931 al 1942 dimostra quanto giudizi come quelli appena riportati sulle idee politiche nutrite dall’autore siano impropri. Come di recente ha scritto Peter Hainsworth, Gadda fu un «convinto fascista», e solo dopo la caduta di Mussolini e del suo regime si indusse a scrivere astiose pagine polemiche contro il fascismo. La citazione seguente riassume la posizione di Hainsworth sulla questione e coglie l’essenza dell’esperienza gaddiana oggetto di queste pagine:

Il fascismo di Gadda fu ovviamente vissuto all’insegna del nonconformismo e non costituì un aspetto marginale o fortuito della sua esperienza e del suo lavoro durante il Ventennio. Benché possa ora apparire frutto di ingenuità o autoinganno, Gadda considerava chiaramente il proprio appoggio al regime calcolato e ponderato. Il fascismo rispondeva al suo bisogno di ordine e di decoro in un mondo che l’esperienza traumatica vissuta durante e dopo la prima guerra mondiale gli aveva rivelato privo d’entrambi. (Hainsworth 1997: 234)

L’originario programma fascista conteneva senza dubbio molti elementi in grado di attrarre il disilluso idealista del Giornale e del Castello di Udine. Nelle sue prime fasi, infatti, il fascismo si era presentato come una reazione contro la politica liberale del tempo e l’incapacità da parte dei governi democratici di portare a compimento il programma di unificazione nazionale intrapreso dal Risorgimento. Per di più, il disprezzo per il governo parlamentare, tipico del fascismo, si incontrava con quello nutrito da Gadda nei confronti del parlamento italiano, che egli considerava responsabile dell’insufficiente equipaggiamento delle truppe che avevano perso la vita sul Carso e a Caporetto. Da un punto di vista psicologico, inoltre, ben si conciliavano con il fascismo i tratti caratteriali di Gadda che traspaiono dal Giornale di guerra e di prigionia, quali lo straordinario senso d’autostima, la continua accentuazione della particolarità dei problemi personali (ad esempio, il dover vivere in un mondo estraneo, le fantasie d’amore ideale, l’esibizionismo e l’egotismo che il bisogno di porsi sempre al centro dell’attenzione tradisce) e, infine, l’oscillare tra indifferenza e rabbia, vergogna e umiliazione. Tutto ciò comprova come nel Giornale non si abbia a che fare con un caso di «vaga retorica giovanile», poiché l’esaltazione della madrepatria da parte di Gadda e la sua condotta militare schietta ed efficiente, al pari del suo antisocialismo e del suo antigiolittismo, vanno piuttosto giudicati come espressione del déclassement e della condizione di disorientamento di quello strato di borghesia lombarda liberal-conservatrice a cui l’autore apparteneva e con cui si identificava. Gadda, in sostanza, visse la guerra percependosi come un soggetto che una società capitalistica, che andava allora aprendosi alle masse popolari, aveva posto in una condizione di subalternità sociale. La sua profonda deferenza per l’autorità, allora, la sua considerazione di sé come termine di paragone etico e morale e la tendenza a farsi spettatore passivo di un dramma esistenziale, così come i contenuti psicopatologici del Giornale, i continui riferimenti allo stato di inerzia intellettuale, al malcontento, all’isolamento spirituale, ai mali, alla noia e alla paralisi della volontà, assumono tutti un significato politico ed esprimono allegoricamente il dramma di una collettività che tenta di ricostituirsi attraverso una reazione violenta. Solo così è possibile spiegare la varietà di linguaggi del Giornale, la quale si estende dalla notevole stilizzazione del Gaddus che afferma, virgilianamente, Prospexi Italiam summa sublimis ab unda, all’invettiva espressionistica e alla deformazione grottesca.

La visione del caos che Gadda offre nel Giornale e nel Castello di Udine va ascritta a un integrale narcisismo, e questo non tanto perché essa si concentra quasi esclusivamente sulla crisi del soggetto, quanto perché riproduce l’esperienza di un io frammentato esibendola come spettacolo (la prospettiva barocca fondamentale di tutta l’opera gaddiana). In altre parole, la «psicopatologia della vita quotidiana» viene oggettivata, come mostrano la riorganizzazione di pensieri slegati in brevi narrazioni e la decisiva sostituzione dei conseguenti effetti di pericolo e desiderio alle realtà empiriche collegate con la reale esperienza della guerra. Una siffatta assenza narcisistica di coesione, potenziando la frammentazione, genera come antidoto a se stessa i termini del proprio ordine, i quali si concretano nella guerra stessa, o meglio, in un’autoritaria moralità bellica.

Sulla problematica narcisistica torneremo a soffermarci allorché occorrerà valutare la natura dell’antifascismo gaddiano. Si tenga ora presente come la Grande Guerra avesse reciso i legami di Gadda con la nativa Milano, che l’intelligenza pratica delle precedenti generazioni aveva trasformato in un efficiente e stabile organismo economico. Terminata la guerra, il fascismo emergente era riuscito nell’opera di trascinare dalla propria parte la classe media risarcendone il malcontento economico con la retorica dell’efficienza nazionale, dell’onore e del patriottismo, senza tuttavia superare i limiti della politica tradizionale. Come ha rilevato Cesare Cases (1987), l’avvicinamento di Gadda al fascismo fu favorito da un atteggiamento ideologico-politico già costituzionalmente destrorso: da ingegnere borghese che auspicava l’avvento di uno Stato efficiente e ben organizzato, Gadda non poteva che lasciarsi attrarre dall’autorità e dal pragmatismo della politica di potere fascista, né sorprende, data la sua cultura e formazione scientifica, che del regime egli privilegiasse la rivendicazione dell’efficienza tecnica.

Contrariamente a quanto Gadda voleva insinuare dichiarando la propria estraneità alla politica fascista prima del 1934, una serie di articoli risalenti al 1931, tutti dedicati alle caratteristiche e all’impiego dei metalli leggeri e delle sostanze gassose e pubblicati sul quotidiano milanese L’Ambrosiano, ne testimonia il sostegno ai programmi autarchici allora promossi dal regime. Nel primo di questi articoli, intitolato I metalli leggeri (Gadda 1931h, SVP 33-43), il suo atteggiamento di favore nei confronti della politica economica fascista emerge solo indirettamente, mentre è significativo che solo due giorni dopo sulle pagine dello stesso giornale fosse pubblicata una lettera di Arnaldo Mussolini (4 settembre 1931, SVP 1187) nella quale questi non solo elogiava il lavoro di Gadda, ma lo esortava altresì ad avventurarsi oltre i limiti strettamente scientifici della sua esposizione per accennare alle conseguenze economiche che da una larga applicazione dei metalli leggeri sarebbero potute derivare. Per di più, accompagnava la lettera di Arnaldo Mussolini una nota di redazione che sollecitamente rassicurava il fratello del duce che Gadda non avrebbe deluso le aspettative; (2) che è poi quanto l’interessato stesso personalmente confermava nell’articolo successivo, I metalli leggeri: leghe di magnesio, corredato di una premessa chiarificatrice:

Le note che seguono avevano già avuto l’«accessit» dalla Redazione dell’«Ambrosiano»; allorché l’alto monito del Grand’Ufficiale Dottor Arnaldo Mussolini mi incitò a delineare in modo più netto che non fosse per allusioni e rapidi accenni quei problemi di interesse tipicamente italiano che si riconnettono alla produzione delle leghe leggere ed extraleggere. Conscio che il compito del recar idee definitrici al riguardo spetta ai tecnici specializzati nel ramo, mi farò purtuttavia un grato dovere di attenermi alle direttive segnateci dall’illustre Direttore del «Popolo d’Italia». (Gadda 1931i, SVP 44)

Nell’articolo seguente, I metalli leggeri. Produzione e consumo, Gadda descriveva, infatti, i benefici effetti dell’autarchia economica:

Arnaldo Mussolini, sensibilissimo interprete della coscienza economistica della nazione, ha colto con vigile prontezza il motivo fondamentale del tema che ci occupa, incuorandoci a conclusioni men che generiche. Egli, d’altronde, aveva già delineato questo tema e presagito queste conclusioni fin dal 1927, scrivendo che il secolo nostro doveva trovare la sua «forza» nell’elettricità, la sua «materia» nei metalli leggeri […] Se il rifornimento dell’alluminio e del magnesio fosse e dovesse permanere esterno, le loro «brillanti» applicazioni sarebbero cura dell’ingegnere e del tecnico, ma l’economista e il politico rimarrebbero di fronte ad esse in quello stato che Leibniz chiama «d’indifferenza» […]
Ma l’alluminio già oggi è totalmente fornito all’Italia dalla industria estrattiva del suo territorio, e in misura già oggi superiore al consumo interno, così che già si affaccia la necessità dell’esportazione o la convenienza di un più largo consumo […] applicando leghe leggere ed extra-leggere […] là dovunque è possibile, l’Italia non consegue soltanto una finalità tecnica, ma anche una finalità nazionale, in quanto evita di pagare all’estero il diverso metallo che alluminio e magnesio son venuti a sostituire. (Gadda 1931j, SVP 52-53) (3)

L’interesse gaddiano per l’autosufficienza economica, comunque, non è comprovato solo dagli articoli succitati. Anche durante la cosiddetta «epoca gloriosa» del fascismo, egli ritornò sul tema dell’autarchia in quanto in linea con la politica di regime. Nel 1936, infatti, Gadda pubblicò ancora sull’Ambrosiano, in una rubrica dal titolo «Orizzonti dell’Impero», un articolo intitolato Risorse minerarie del territorio etiopico (Gadda 1936c), nel quale dichiarava il proprio consenso nei confronti dell’esito positivo delle ricerche minerarie compiute nella colonia africana di recente conquistata. Il suo appoggio al programma fascista risulta qui evidente sin dalle parole di apertura: «La […] costituzione di un Ente parastatale per le ricerche minerarie in Etiopia […] è venuta ad esaudire una comune e prima domanda circa l’impostazione del problema: e a confermare […] con quale alacrità il governo fascista, per l’impulso del Duce, abbia agito in questo senso».

Un’altra serie di articoli sullo stesso tema apparve l’anno successivo sul quotidiano torinese Gazzetta del Popolo (Gadda 1937b-d, f & 1939g-h) mentre negli articoli pubblicati sulle Vie d’Italia, la rivista del Touring Club Italiano oggetto di dileggio nel Pasticciaccio (RR II 158-59), troviamo altre espressioni di sostegno all’autarchia, delle quali Le funivie Savona-San Giuseppe di Cairo e la loro funzione autarchica nell’economia nazionale (Gadda 1938d, SVP 136-45) costituisce l’esempio più esauriente. E tuttavia, pur testimoniando tutti l’appoggio di Gadda alle iniziative autarchiche del regime, questi articoli, con la sola eccezione di Combustibile italiano, non sono in senso stretto politici, per cui sarebbe esagerato servirsene per imputare all’autore una complicità con il fascismo sulla base del consenso espresso al programma governativo di autarchia, che com’è noto affondava le sue radici nell’Italia liberale. Inoltre, questi scritti di natura prevalentemente tecnica si direbbe mostrino una serietà incompatibile con il facile ottimismo esibito dalla cultura scientifica ufficiale degli anni trenta. (4) Invero, se il giudizio positivo avanzato da Gadda in merito all’economia nazionale costituisse l’unico esempio della sua collaborazione con il regime, esso potrebbe anche venire semplicemente considerato come un dignitoso contributo al dibattito allora in corso tra gli scienziati, sebbene Gadda non si sottraesse alla vacua retorica e ai nebulosi miti che cercava di combattere, come accade, ad esempio, laddove tesse le lodi delle qualità epiche, del coraggio e dell’entusiasmo della gioventù fascista impegnata nel glorioso svago dello sci: «Tutto è stato arditamente voluto, diligentemente eseguito, perché, raggiunto il crinale dell’Italia senza dispendio di tempo, si allegri ognuno delle altissime nevi. Giovini coorti bruceranno, nella felice disciplina dello sci, le ore veloci della corsa, le luminose ore di giovinezza» (Apologo del Gran Sasso d’Italia, SGF I 137-38).

Data al 1935, inoltre, la recensione al volume del generale Emilio De Bono sulla guerra d’Etiopia, dove fra l’altro si legge:

La elaborazione della verità storica è, in genere, una cosa complicatissima. Ma il Quadrumviro la raggiunge in questo suo libro con la felice e diretta sicurezza dell’uomo che ha vissuto e combattuto la guerra da bersagliere, cioè nel più rapido, nel più valido modo. Egli ha patito ma soprattutto agito […] Il libro di Emilio De Bono può considerarsi unico nel suo genere: l’uomo che conduce oggi le operazioni militari nell’Africa parla ai nostri animi «assetati di cose vere», il linguaggio delizioso della verità, parla, come noi diciamo, «fuori dai denti», offrendo alla storiografia della guerra un documento che la storiografia stessa […] non dovrebbe negligere. Troverete nel libro del Quadrumviro battute che solo dalla penna di un quadrumviro possono venir licenziate «a buon fine». (SGF I 799)

Il generale, infine, è accostato a Virgilio, in assoluta coerenza con la propaganda culturale del tempo:

La vita della nazione chiede gran forza ad essere vissuta: e il libro ne fa testimonianza quanto all’autore. Traspare dal turbine una certezza, quella che fu già espressa nei secoli dal poeta di Roma: «Merses profundo, pulchrior evenit». (SGF I 802)

Con la felice conclusione della guerra fascista in Africa, Gadda fece un ulteriore passo avanti nell’accettazione del regime esprimendo la propria fiducia nella lungimiranza e nella saggezza di Mussolini. Nell’articolo Combustibile italiano le sue lodi sfiorano i limiti dell’agiografia:

Lo spirito mussoliniano, subentrato al brontolamento dell’era liberista anglomane o francomane o che altra fosse, è fede nella validità redentrice dell’azione: nessuno e nulla deve essere disprezzato: tutto e tutti devono essere posti in condizione di adempiere al più alto compito possibile. Come egli porge la mano agli uomini, anche ai diseredati, perché si levino, così tocca le cose perché servino. (5)

Con le seguenti parole, invece, nella nota introduttiva in corsivo all’articolo La grande bonificazione ferrarese Gadda esprimeva la propria approvazione del progetto governativo:

Mentre le operanti provvidenze mussoliniane trasformano in terra da lavoro e da frumento le lande impaludate dal cielo o abbandonate dagli uomini, mentre il secolare latifondo siculo è chiamato alla coltivazione intensiva e ferve in tutta Italia la civile fatica della bonifica e del dissodamento, la nostra Rivista è lieta di potersi allineare in ispirito coi combattenti della grande battaglia. (Gadda 1939k, SVP 1216)

L’entrata in guerra dell’Italia non mutò affatto l’atteggiamento dell’autore nei confronti del regime; le sue lodi all’indirizzo del fascismo e di Mussolini, anzi, raggiunsero il loro punto più alto nei Nuovi borghi della Sicilia rurale pubblicato nel 1941 nella Nuova Antologia, in cui viene dichiarato un inequivocabile sostegno al progetto di «colonizzazione» del latifondo siciliano:

Lo Stato fascista, esprimendo in azione la volontà e le direttive del Duce, ha guardato al latifondo siculo come a problema di bonifica integrale. Le opere necessarie sono riferibili a due competenze: statale e privata: cioè a un ente, lo Stato, che si superòrdina ai poteri economici e alla capacità giuridica del singolo, apportando al vasto cantiere il suo contributo finanziario di eccezione – attinto da tutta la fede di un popolo – nonché lo strumento del diritto, sotto specie di provvidenza legislativa avente valore di imperio. (Gadda 1941c: 283)

Dell’aprile del 1941 è invece l’articolo, anch’esso uscito nella Nuova Antologia, I Littoriali del lavoro, in cui Gadda appoggia senza riserve una delle istituzioni più acclamate del fascismo:

la selezione di cantiere e d’officina è un fatto «spontaneo», anzi una caratteristica d’ogni attività industriale. Certe ideologie, in certi momenti, parvero contrastarlo: come lesivo […] agli interessi legati al principio di eguaglianza. Il cànone egualitario si imputò a difendere la causa d’una bassa capacità generale contro l’emergere dei più atti. Ciò non toglie che la coscienza collettiva, quando è veramente impegnata sull’opera, tenda ad affidarla ai migliori, non ai peggiori […] La società mussoliniana ha dunque sostituito alla scelta empirica ed istintiva dell’allievo di bottega da parte del vecchio maestro, una scelta o almeno una lode « nazionale», a perfezionare o ad esprimer le quali adibisce la totalità sistemata delle sue energie di lavoro, dei suoi ordinamenti politici […] Tutta la Nazione Madre assiste al certame dei figli […] compiacendosi d’un empito giovane, che si libera e si richiude nel disegno della gara. I littoriali sembrano riportare alla collettività militante il compito anticamente assolto da ogni maestro d’arte nell’oscura bottega: predispone il lavoro del domani; le braccia e gli animi del domani. (Gadda 1941f: 392 & 395)

Nello stesso articolo, infine, figura quello che potrebbe apparire come il meno gaddiano dei pronunciamenti di Gadda a favore del fascismo, ossia la celebrazione degli ideali fascisti in fatto di benessere fisico:

La concezione del modello-uomo che le dottrine mussoliniane ci presentano, eguagliando e superando la romana e la latina, postula una cospirazione armoniosa delle facoltà naturali: esclude che Littore dell’arte propria debba venire salutato un giovane difettivo nei muscoli, ginnicamente incapace. Esclude del pari che il vigore e l’abilità del braccio, della mano, siano retti da un animo assolutamente inconscio dei compiti civili demandati ad ogni uomo: dei vincoli, poi, che avvincono ogni opera, ogni pragma, ai modi e ai principi del sapere. (Gadda 1941f: 394-95)

Persino nel 1942, quando molti cominciarono a respingere la retorica con cui si presentava la linea di condotta bellica perseguita da Mussolini, Gadda continuò a scrivere articoli che non tenevano conto della realtà della posizione italiana nella guerra. Al contrario, mentre i bombardamenti, la fame e le epurazioni governative prostravano di fatto il morale dell’Italia fascista, Gadda plaudeva al retaggio politico e culturale dell’antica Roma e all’importante missione dell’Istituto di Studi romani allora fondato (Gadda 1942d, SGF I 863-74).

Un tono lievemente ironico si percepisce nel giornalismo gaddiano solo negli articoli redatti a partire dal 1943, tra i quali, ad esempio, All’insegna dell’alta cultura (Gadda 1943b), il quale tradisce un atteggiamento alquanto diverso nei confronti di un’istituzione culturale fascista. Sulla scia del precedente articolo, nel quale si faceva menzione dell’Istituto di Studi romani, Gadda vi descrive le attività dell’Istituto di Alta cultura di Milano, ma qui tanto la lingua quanto lo stile rivelano un entusiasmo assai più pacato per la rivendicazione fascista del primato culturale e della missione spirituale della razza latina. Attraverso metafore al limite del grottesco, quali «i focolari del sapere» dove «si afforna pane per lo spirito» (SGF I 874) o la descrizione del lavoro dell’Istituto milanese nei termini di «un irradiare di postiglioni al galoppo del castello del principe, su tutte le raggere delle strade, verso lontane missioni» (SGF I 877), dove il riferimento ai «postiglioni» suggerisce anche l’immagine di uniformi con grandi bottoni di metallo, si direbbe Gadda parodi lo stile epico della propaganda fascista cui egli stesso aveva fatto ricorso in molti degli articoli già citati. Anche l’uso delle virgolette per l’evidenziazione di parole ed espressioni ufficiali fasciste quali «cicli culturali», «Secolo xx», «“mens” contemporanea» (SGF I 878) e così via, segnala, attraverso il sarcasmo che sembra veicolare, un’indubbia svolta nell’atteggiamento, mentre lo stile allusivamente ironico di diversi passi, infine, rimanda ad alcune delle prime opere narrative, nelle quali l’entusiasmo del narratore per gli oggetti descritti diventa il mezzo di una rappresentazione grottesca. Si consideri, a mo’ d’esemplificazione, quanto Gadda scrive in riferimento al codice Squarcialupi da poco acquistato dall’Istituto:

Vidi, vidi, questo alluminato codice membranaceo degli anni danteschi, fogli d’una pergamena che dava brividi alla palpazione, d’una morbidezza vellutata, vivente, quasi la stupenda pelle d’un essere appartenente a un quarto regno della natura, o della storia […] Nella stessa arca, ch’è una cava segreta, profonda, irraggiungibile dalle mani della rapina, soggiacente ai primi livelli idrici del ghiaione milanese, palpitai d’amorosa venerazione davanti il manoscritto originale. (SGF I 88o)

Come si è visto, soltanto nel 1937, con Combustibile italiano, le lodi gaddiane del fascismo assunsero un timbro mitico. Prima d’allora, a parte l’entusiasmo dimostrato per il generale De Bono e per i giovani sciatori del Gran Sasso, Gadda si era mostrato molto attento a evitare di mescolare alle motivazioni tecnico-razionali dei suoi scritti ragioni d’altro ordine. Si potrebbe quindi supporre che egli rimanesse essenzialmente indeciso o scettico, un conservatore lontano dalle posizioni di destra della corrente principale del fascismo, e che condividesse di volta in volta, ma sempre con un certo distacco, i progetti tecnici del regime che, come egli credeva, sembravano promettere un decisivo miglioramento dell’economia italiana.

Se si guarda ai primi lavori letterari gaddiani, si nota quanto problematico fosse l’atteggiamento dell’autore nei confronti della classe borghese cui pure apparteneva. Gadda, infatti, se ne pose ai margini, ridicolizzandone i rituali vuoti e la mancanza d’ideali, sebbene il suo conservatorismo gli impedisse di concepire un diverso assetto della società. Pertanto, la continua frizione, espressa nei noti accessi espressionistici e nelle sprezzanti invettive, con un mondo considerato inaccettabile alimentò la sua eccentricità, cosicché il senso di un’esistenza ridotta in frantumi e la tendenza a considerarsi parte di una totalità completamente negativa divennero i termini di una dialettica, mai risolta ma sempre e soltanto aggirata, che veniva svolgendosi nell’intimo di personaggi che ricalcavano la figura e la biografia dell’autore stesso. Giocando sulla compresenza del tempo sospeso della rêverie da una parte e dei forti segni del disfacimento materiale e della storicità reale del mondo dall’altra, i testi creativi di Gadda illustrano, come si è già avuto modo di vedere, lo svolgimento e l’insolubilità del dilemma della negazione e della soggezione al potere dell’Altro, una condizione ambivalente per provare la quale l’autore sferra il suo attacco linguistico, la sua rivoluzione, che a un tempo rivela la volontà di penetrare il mondo fenomenico e di portarlo allo stesso, estremo stato di crisi che investe il soggetto narrante.

Come si giustifica nel quadro che si è delineato, allora, il fascismo di Gadda? è possibile conciliare due ideologie evidentemente opposte, delle quali l’una informa gli scritti tecnici fino al 1942, mentre l’altra permea il linguaggio della narrativa, in particolare della Cognizione del dolore, pubblicata a puntate su Letteratura nello stesso torno di tempo? Inoltre, appurata la realtà del fascismo di Gadda, come va valutato il suo acre antifascismo?

Innanzi tutto, è utile sottolineare come gli encomi all’indirizzo di Mussolini e delle istituzioni fasciste disseminati negli scritti tecnici siano soprattutto formule di rito, poiché espressioni quali «lo spirito mussoliniano», «le operanti provvidenze mussoliniane», «la Nazione Madre», e così via, rispondono alla necessità di assumere comportamenti adeguati alle circostanze e di osservare le regole dell’etichetta che vogliono si soddisfino le attese altrui; (6) ciò che non significa, naturalmente, che Gadda non fosse un convinto sostenitore se non proprio del fascismo, almeno della necessaria partecipazione alle consuetudini culturali del gruppo dominante, vale a dire dell’apparato di potere nei confronti del quale egli nutriva profondi sentimenti di esclusione. Piuttosto, questo rispetto per l’autorità, legato al senso della propria diversità, lo induceva a partecipare passivamente, ovvero narcisisticamente, allo spettacolo del potere e a formulare quegli slogan propagandistici finalizzati a produrre nel lettore una sorta di piacere orgiastico.

La celebrazione del fascismo da parte di Gadda, inoltre, risentì senza dubbio della sua esperienza di conservatore milanese, i cui privilegi di classe e il cui senso di sicurezza l’ascesa della piccola borghesia a una posizione di prestigio e d’influenza aveva compromesso. Dal punto di vista di Gadda, che vedeva se stesso come sospeso in una realtà priva di unità e incerta, il fascismo soddisfaceva istanze d’ordine e orientamento, mentre il programma di autarchia e i miti di indipendenza nazionale sembravano infondere nuova vita agli spenti ideali di un illustre e intraprendente passato. A tali generali circostanze oggettive si sommò poi il condizionamento di esperienze private di Gadda, la cui influenza sulla sua posizione sociale fu tale che esse assursero a principali nuclei referenziali: basti pensare, ad esempio, alla morte violenta del fratello minore Enrico nella prima guerra mondiale e, in particolare, agli azzardati investimenti finanziari del padre nella costruzione di una villa a Longone e nella coltivazione dei bachi da seta. L’antifascismo gaddiano va messo in relazione soprattutto con quest’ultima esperienza, la quale si traduce nel disprezzo per la piccola borghesia e per la componente popolare della classe dominante, considerata perlopiù come provinciale e semianalfabeta. L’aggressione di cui sono fatti oggetto Mussolini e il fascismo nel Pasticciaccio e in Eros e Priapo, infatti, scaturisce da una posizione ideologica di destra; essa si origina cioè dallo stesso atteggiamento che indusse l’autore a esaltare ciò che giudicava l’efficienza economica e lo spirito d’iniziativa del regime. Paradossalmente, si potrebbe osservare, l’aggressione costituisce in larga misura un attacco contro le pulsioni narcisistiche presenti nel sentimento antidemocratico e filofascista di Gadda stesso.

La satira e le invettive antifasciste, quindi, sono strettamente connesse con il fondamentale conservatorismo dell’autore e non possono affatto essere considerate come l’espressione di celati o repressi sentimenti democratici. Nel suo recente saggio su Gadda e il fascismo Peter Hainsworth, dando il debito risalto alla complessità psicologica dell’aggressione verbale di Gadda contro il regime, ne rileva accortamente le componenti reazionarie, se non addirittura razziste. L’argomento è ormai più che familiare ai conoscitori di Gadda e non occorre ritornarvi sopra. Sarà tuttavia utile sottolineare l’opportunità di leggere i testi politici gaddiani non, come è stato fatto in passato, al pari delle opere letterarie, ovvero come testi che impieghino una tecnica narrativa adibita al controllo creativo delle ossessioni e dei pensieri sul proprio io del narratore che, come ha osservato Pasolini, costituiscono oggetto di negazione in quanto inaccettabili modalità di comportamento (Pasolini 1963: 64-65), cosicché la scrittura creativa è per Gadda un mezzo per distogliersi da pensieri insidiosi che è impossibile rimuovere e che ripetutamente irrompono nella coscienza. Ne deriva, nei testi letterari, una semantica dell’ansia manifesta nel compulsivo rituale linguistico della descrizione, la quale tradisce un’incapacità – una deficienza nel meccanismo del desiderio, direbbe Lacan – da parte dell’autore a concentrarsi su un oggetto o un obiettivo specifico. Dal punto di vista di un lettore avvezzo a ordinare le associazioni formali in modo tale da denotare l’oggetto cui esse si riferiscono, la sintassi gaddiana infrange la coerenza logica attraverso la formazione di associazioni di referenti esclusivamente interiori e pretestuali che, sebbene richiedano di essere inclusi nella narrazione, vengono sottoposti a censura (quantunque non a cancellazione) nel momento stesso in cui pure se ne avverte la presenza. Le dinamiche interne di una condizione simile trovano quindi espressione in una reazione verbale ossessiva, la quale, generandosi spontaneamente dall’ossessione, funge poi viziosamente da mezzo di controllo della stessa ossessione originaria, sostituendosi così alla realtà empirica dello stimolo. In altre parole, la descrizione storna l’attenzione del lettore dall’oggetto nel momento stesso in cui ne evidenzia l’eterna presenza, per cui i momenti descrittivi sembrano attuare una sorta di esorcismo nei confronti della presenza prepotente di una realtà che è possibile solo scomporre e reinventare senza sosta, non scacciare dalla coscienza. La libera associazione che nella Cognizione del dolore trasforma i battagli delle campane in enormi, mostruosi peni che eiaculano il loro suono sulla rigogliosa e verde campagna, è la stessa che in Eros e Priapo magnifica Mussolini nell’oggetto della satira. Bersaglio è qui il narcisismo patologico o, in termini culturali, il processo nietzschiano di ipertrofia dell’io che sortisce un delirio psicopatologico. Gadda, però, rovescia il modello psicologico di Nietzsche, poiché l’invettiva contro l’ipertrofia dell’io e le sue manie di grandezza agisce da schermo contro quegli stessi deliri e quelle stesse fantasie dai quali deriva lo stile isterico impiegato dall’autore. La volontà di potenza, in altre parole, viene respinta dalla coscienza di un soggetto declassato e preda del senso di colpa, che paradossalmente è poi lo stesso soggetto dal cui déclassement si origina la volontà di sovvertimento. Se l’autore, attraverso la controfigura narrativa di Gonzalo Pirobutirro, merita e sostiene la piena responsabilità di quanto gli accade, se al pari del personaggio può essere insieme se stesso e la voce che gli infligge i più impersonali e ostili giudizi, non è allora arduo cogliere le dinamiche in atto nelle sue invettive antifasciste, in special modo in quelle di Eros e Priapo.

Guido Lucchini ha perfettamente ragione quando afferma che «la casistica del “folle narcissico” [Gadda] delineata nelle pagine di Eros e Priapo […] non si segnala certo né per originalità né per profondità particolari» (Lucchini 1988a: 113); ciò che gli sfugge, però, è che in Eros e Priapo la polemica contro il narcisismo, nonostante la sua inconsistenza teoretica, riesce molto efficace se la si considera come una sorta di esorcismo, come una satira diretta contro l’io, cioè contro la tendenza dell’io vittimista a ostinarsi nel conformismo, a voler riguadagnare parte della considerazione perduta in un mondo tedioso e banale; a ostentare, per dirla in altri termini, la propria solitudine e, nel far ciò, a rivalersi sulla storia. Per questa ragione, Mussolini, celebrato negli articoli tecnici succitati, ricompare nel pamphlet non solo come artefice di una tragedia civile e politica, ma anche come grottesca personificazione di sfrenate forze psichiche, in quanto Eros scaturisce da una cospirazione di istinti vitali tesi alla congiunzione carnale con il tiranno e alla soggezione a questi, mentre Priapo rinvia all’esibizionismo perverso del duce. In Eros e Priapo Gadda investe la propria energia satirica nell’elaborazione della prolungata metafora di uno stupro della collettività da parte di Mussolini, al quale viene addebitato lo sconvolgimento del ritmo naturale dello sviluppo umano e una carica narcisistica che attestano l’eterno perdurare della fase autoerotica della sua psiche. Il duce, difatti, vi viene ritratto come un gigantesco fallo prossimo a deflorare una moltitudine di vittime disponibili alla violenza della sua seduttiva retorica:

Porgeva egli alla moltitudine l’ordito della sua incontinenza buccale, ed ella vi metteva spola di clamori, e di folli gridi, secondo ritmi concitati e turpissimi […] La moltitudine, che al dire di messer Nicolò amaro la è femmina, e femmina a certi momenti nottìvaga, simulava a quegli ululati l’amore e l’amoroso delirio […] E al mezzo […] lo sporgimento di quel suo prolassato e incinturato ventrone, in dondolamento ad avanti-indietro, da punte a tacchi, irrigiditi i ginocchî, di quel mappamondo suo goffo e inappetibile a qualunque. Indi la reiterata esultazione di tutto ’l corpo, come lo iscagliasse ad alto una molla, e di tutta la generosa persona […] indi poi chella fulgurata protuberazione di chella sua proboscide fallica, e grifomorfa in dimensione suina, che dell’abundanzia di carne dell’apparato buccinatorio e del buccale sfinctere e labiale bucco gli era con tutto giolito e deiezione patria d’ogni disceso de’ Malfrullati assentita. (SGF II 224 e 242)

La descrizione metaforica del rapporto tra il duce e le masse raggiunge il suo climax nel passaggio della forza spermatica e seminale dagli organi sessuali alla violenta retorica che Mussolini eiacula sulla testa dei fedeli:

Eretto ne lo spasmo su zoccoli tripli […] il somaro dalle gambe a ìcchese aveva gittato a Pennino ed ad Alpe il suo raglio. Ed Alpe e Pennino echeggiarlo, hì-hà, hì-hà, riecheggiarlo infinitamente hè-jà, hè-jà, per infinito cammino de le valli […] a ciò che tutti, tutti!, i quarantaquattro millioni della malòrsega, lo s’infilassero ognuno nella camera timpanica dell’orecchio suo, satisfatto e pagato in ogni sua prurigo, edulcorato, inlinito, imburrato, imbesciamellato, e beato. (SGF II 243)

Col dare pieno sfogo al proprio impulso satirico, Gadda sostiene di aver scritto la storia di una generazione pervenuta «Per “silentium ad senectutem”» e riconosce, allo stesso tempo, che la sua energica opposizione a ogni forma di narcisismo ispira «un’attitudine critica e una costante beffa della scemenza umana, ivi compresa la sua propria» (SGF II 328). A ragione, pertanto, la critica ha attribuito all’antifascismo gaddiano un significato nettamente metastorico, dal momento che dell’attacco alla figura di Mussolini Gadda si serve come di un mezzo per rappresentare senza sublimazione alcuna la pulsione erotico-narcisistica, le cui radici vanno individuate nelle pulsioni di un Io costituzionalmente esposto alle istanze corruttrici dell’Es.

è superfluo ribadire, a questo punto, che le invettive antifasciste di Gadda sono essenzialmente conservatrici o reazionarie in quanto prendono di mira ed eleggono a oggetto del proprio ludibrio il sesso e il desiderio, per non dire della Donna, la quale vi figura come la principale responsabile:

Non nego alla femina il diritto ch’ella «prediliga li giovini, come quelli che sono li più feroci» (Machiavelli, Il Principe) cioè i più aggressivi sessualmente; ciò è suo diritto e anzi dirò suo dovere. Non nego che la Patria chieda alle femine di adempiere al loro dovere verso la Patria che è, soprattutto, quello di lasciarsi fottere. E con larghezza di vedute. Ma «li giovini» se li portino a letto e non pretendano acclamarli prefetti e ministri alla direzione d’un paese. E poi la femina adempia ai suoi obblighi e alle sue inclinazioni e non stia a romper le tasche con codesta ninfomania politica, che è cosa ìnzita. La politica non è fatta per la vagina: per la vagina c’è il su’ tampone appositamente conformato per lei dall’Eterno Fattore e l’è il toccasana dei toccasana; quando non è impestato, s’intende. Talune gorgheggiavano e nitrivano gargarizzandosi istericamente di «Patria», talaltre di «’nghilterra deve scontare i suoi delitti». (SGF II 245-46)

Il narcisismo patologico che Gadda satireggia in Eros e Priapo potrebbe interpretarsi come metafora della contemporanea cultura di massa cui già preludeva il sistema fascista di comunicazione culturale. Il venir meno dei tradizionali stili di vita collettiva favoriva la comunicazione massificata offerta al consumo irriflesso della società, ciò che faceva del consumo stesso, allora, la relazione sociale primaria e il segno di una cultura che andava rimpiazzando il tradizionale sistema di valori, quello, per intenderci, di una cultura fondata sulla produzione verbale. Per l’io isolato di Gadda il linguaggio della propaganda politica, al pari della parola di Dio, rappresentava un’immagine universale. Il carattere contingente e privo di consistenza ontologica dell’identità individuale, al quale Gadda ha dato espressione in tutta la sua opera, trovava attraverso il fascismo una compensazione nell’unità dell’oggetto di consumo e della sua nomenclatura («Il Duce», «La Patria», «La Razza» e così via).

Eros e Priapo può perciò considerarsi come l’esito del tentativo di esorcizzare il demone potenzialmente presente nell’io solitario. Mediante il racconto della storia della volontà di potenza del fallo, esso coglie tutti i sintomi di una condizione d’invasamento, ma facendo sì che il narratore trovi al tempo stesso riparo da essa schermandosi dietro il meccanismo del pastiche.

Già sotto il fascismo, lo sviluppo del capitalismo veniva traducendosi in un consolidamento progressivo della cultura di massa e in un progressivo perfezionamento della sua organizzazione; i sistemi gestionali moderni mostravano di dipendere sempre più dall’esistenza di un ceto professionale che abbracciava i livelli più alti della società: era tale processo ad accrescere lo stato di parcellizzazione delle masse, il quale aveva tuttavia il suo rimedio in una forma di comunicazione che sollecitava la collettività a riorganizzarsi per il bene comune. L’io atomizzato, in altre parole, diveniva il tramite per garantire la conformità a idee e comportamenti prevalenti. L’orientarsi delle masse a favore della guerra, inoltre, rafforzò il narcisismo consumistico che siamo venuti descrivendo (l’unità dell’io data esclusivamente all’interno di un generale conformismo). È qui che la polemica reazionaria di Gadda deliberatamente smentiva le forze della reazione politica: irridendo la dinamica della coercizione, che aveva mobilitato tutte le sue risorse propagandistiche alfine di rendere omogenea una società culturalmente diversificata, con tragica ironia Gadda affermava che la reductio ad unum avrebbe avuto luogo nell’atemporalità dell’eterno: da furore a cenere.

Pericoli Detail

Note

1. G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea, 1940=1965 (Rome: Editori Riuniti, 1967), 245.

2. «Il Gadda non mancherà di allargare il campo della sua esposizione, esaminando quali feconde conseguenze sia per avere nell’economia italiana l’applicazione dei nuovi metalli» (SVP 1188).

3. Dopo l’articolo conclusivo della serie, I metalli leggeri nel futuro prossimo (Gadda 1931k, SVP 59-67), fu pubblicato sull’Ambrosiano un altro pezzo scritto da Arnaldo Mussolini, di nuovo in riferimento ai temi presi in esame da Gadda (Metalli leggeri e risorse italiane, 16 settembre 1931).

4. Cfr., ad esempio, Divulgazione tecnica – Accessibilità di una rivista (Gadda 1932g), dove riferendosi alla rivista francese La Science et la Vie, Gadda scrive: «Ameremmo questo esempio imitato in Italia, con eguale serietà e facilità. Condizione prima del successo è quella del suddetto pubblico; è l’esistenza cioè di un ceto di lettori che amino conoscere i dati di fatto, il meccanismo palese o segreto della vita e della tecnica […] che spogli la sua mente e le sue labbra dalle frasi fatte, dai “sentito dire”, dai nebulosi miti, dai facili entusiasmi e dai facili abbattimenti […] è giusto ed è necessario che lo spirito dell’uomo moderno si elevi dallo stato mitico, rapsodico ed entusiastico, più proprio degli stregoni, dei dervisci e dei coribanti, a uno stato chiaramente alfabetico e documentario».

5. Gadda 1937f: 1. Nelle Meraviglie d’Italia, invece, dove il pezzo trapassò col titolo Il carbone dell’Arsa, si legge: «La legge d’autonomia che governa oggi l’Italia, dopo i tepori mesozoici della facilità liberista, anglòmane o francòmane o qual altra fosse, è dura legge: ed è fede nella validità redentrice dell’azione: nessuno e nulla deve essere disprezzato: tutto e tutti devono porsi in condizione di adempiere al più severo compito. Dare la mano agli uomini, anche ai diseredati, perché si levino: metter mano alla terra» (SGF I 182-83).

6. Su questo argomento cfr. F. Jesi, La cultura di destra (Milano: Garzanti, 1979), 108.

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ISSN 1476-9859

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