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Glossario di Gadda «milanese»

Luigi Matt

Paola Italia, Glossario di Carlo Emilio Gadda «milanese», Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998, CXXXVII-377pp.

Sul lessico di Gadda si è scritto molto: non c’è dubbio che rispetto alle altre componenti della sperimentazione linguistica gaddiana quella lessicale, che d’altronde si impone con più immediata evidenza all’attenzione del critico come del lettore comune, sia stata meglio descritta. Ne è stata individuata per tempo la caratteristica principale: il prelievo di parole non comuni dagli àmbiti più disparati, e la loro utilizzazione in accostamenti imprevedibili. Nonostante l’imponente mole di studi rivolti all’analisi di vari aspetti del lessico gaddiano, però, mancava ancora un tentativo di schedatura e di classificazione tendenzialmente globale dei termini inseriti dall’autore nelle sue opere. Tale tentativo è stato ora effettuato, con risultati molto convincenti, da Paola Italia: nel suo lavoro prende corpo il censimento di tutte le parole «che costituiscono uno scarto dalla media linguistica d’uso» (p. XIV) rintracciabili nelle opere milanesi di Gadda (i romanzi incompiuti La meccanica e Un fulmine sul 220, i racconti San Giorgio in casa Brocchi e L’incendio di via Keplero, i «disegni milanesi» dell’Adalgisa); (1) l’A. fornisce così una mappa dettagliatissima per orientarsi nell’analisi degli elementi concreti che sono alla base di una scrittura tra le più ricche e complesse della letteratura italiana.

Nella prima parte del libro, dopo due paragrafi di presentazione, trova spazio un’ampia analisi dell’operazione compiuta da Gadda nei riguardi dei vari serbatoi lessicali ai quali egli attinge per la costruzione del pastiche (sette sono le categorie studiate dall’A.: aulicismi, latinismi, toscanismi, tecnicismi, forestierismi, neoformazioni, dialetto milanese). Particolare attenzione è riservata alle fonti letterarie, un argomento più volte affrontato dalla critica gaddiana, su cui però rimane ancora molto da dire. Tra i risultati più interessanti va segnalata l’individuazione – accanto a un preponderante «uso strumentale degli aulicismi in funzione parodica» (p. xix), che costituisce com’è noto un elemento di continuità nella lunga attività letteraria di Gadda – di «un uso stilisticamente solidale» delle reminiscenze culte, che partecipano «alla creazione di un registro alto e fortemente simbolico» (p. xx). Il rilievo è condivisibile: in effetti, la presenza di un registro lirico (che si realizza quasi sempre, come nota l’A., in singoli brani isolati rispetto alla narrazione) nelle opere di Gadda è innegabile; va anche detto, però, che tale registro, molto produttivo nelle opere milanesi, dopo aver raggiunto i suoi esiti forse più conseguenti nella Cognizione del dolore tende decisamente a perdere importanza nei testi successivi, in cui è rintracciabile solo in modo del tutto sporadico.

L’A. indica tra le fonti lessicali di Gadda una decina di scrittori; alcuni di essi, come Dante o Machiavelli, sono destinati a rimanere negli anni degli imprescindibili punti di riferimento, mentre rispetto ad altri, la cui influenza è molto evidente nei testi qui spogliati, Gadda tende a prendere sempre di più le distanze. È il caso soprattutto di Carducci e D’Annunzio, che divengono col tempo veri e propri modelli negativi per Gadda, il quale non perde occasione per scagliare contro di loro i suoi strali satirici. Non è allora un caso che le numerosissime reminiscenze dannunziane caratterizzino soprattutto i testi composti negli anni Venti, «in un momento in cui lo scrittore è ancora alla ricerca di una sua identità, di una sua cifra stilistica, ed è perciò maggiormente sensibile alle influenze esterne» (p. lix). (2)

Un caso a parte è quello di Foscolo, l’autore in assoluto più avversato da Gadda: (3) nella ripresa di stilemi foscoliani nei testi milanesi è già presente, anche se non ancora così violento, quell’atteggiamento sarcastico che porterà nel 1958 alla stesura dell’operetta radiofonica intitolata Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, interamente dedicata all’irrisione del poeta dei Sepolcri.

Naturalmente, non sempre per un termine aulico può essere individuata un’unica fonte: sono parecchi i casi di voci attestate in più d’uno degli auctores di Gadda. In particolare, frequente è la presenza di aulicismi che rimandano «a una koiné carducciano-pascoliano-dannunziana che costituisce il serbatoio privilegiato dei prelievi letterari» (p. xxi). Non è invece il caso di indicare ascendenze precise per molte varianti culte di termini correnti: si tratta per lo più di aulicismi grafico-fonetici assai comuni nell’italiano letterario fino almeno a tutto l’Ottocento, patrimonio facilmente disponibile per chi come Gadda ha a disposizione una «cultura […] solidamente liceale» (Contini 1989: 86).

Quella cultura «aveva lasciato nello scrittore un retaggio prezioso» (p. lxv), evidente anche nell’ottima conoscenza da lui dimostrata dei principali classici latini, che gli permette di avere in pronto una riserva di termini e citazioni cui attingere all’occorrenza. Il latino, in effetti, è una delle componenti fondamentali del plurilinguismo gaddiano, una componente attiva in quasi tutte le sue opere. (4) In pochi casi Gadda cita esplicitamente testi latini, mentre più frequenti sono le citazioni implicite; l’autore più sfruttato come fonte è l’amatissimo Orazio, ma molto vivi nella memoria di Gadda sono anche Catullo, Cicerone e Virgilio. Da ricordare anche la presenza di citazioni scritturali o liturgiche; anch’esse, peraltro, sono ben presenti non solo nei testi qui spogliati. (5) Una connotazione ironica viene quasi sempre data da Gadda sia a termini o locuzioni latini stabilmente accolti nell’uso delle persone colte, sia a latinismi rari (alcuni dei quali – registrati dal GDLI col solo riscontro di passi gaddiani – saranno verosimilmente creazioni dell’autore). Molto interessante è poi il contingente, abbastanza folto, di latinisimi semantici; quella attuata in quest’àmbito da Gadda è un’operazione dotata di una forte carica straniante: ad essere chiamato in causa, infatti, è «un ruolo attivo da parte del lettore, che è sollecitato da un’immediata oscurità del dettato a considerare le possibili valenze espressive contenute nell’etimo originario» (p. lxxi).

Molto numerosi nelle opere milanesi sono anche i toscanismi (cosa che non deve stupire: leggendo Gadda, infatti, «sempre ci accorgiamo che dialettalismi allotrii fanno capolino senza ragioni geografiche»). (6) Ne va notata la «massiccia presenza nelle note dell’Adalgisa», in cui essi (per lo più forme allo stesso tempo toscane e letterarie) concorrono a creare «il particolare registro arcaizzante» (p. lxxii) che costituisce la cifra stilistica fondamentale del Gadda chiosatore. Più in generale, è indubbio che il toscanismo viene assunto dallo scrittore – sin dai suoi primi testi – come un ingrediente adatto a provocare un incremento espressivo. (7) L’A. riporta anche un certo numero di toscanismi da lei definiti «involontari», vale a dire forme che non trovano riscontro nei testi toscaneggianti di Gadda, e che potrebbero non essere stati sentiti da lui come vernacolari; in realtà, nel caso di verbi come biasciare, dilontanare e sparnazzare si possono citare esempi in Eros e Priapo, e proprio in pagine molto connotate in senso toscano. (8)

Un’altra componente fondamentale del lessico gaddiano è notoriamente quella delle lingue speciali. Dagli spogli di Paola Italia emergono termini delle discipline scientifiche (medicina, chimica, matematica, scienze naturali ecc.) e filosofico-giuridiche, ma anche dal linguaggio militare o da quello proprio di arti e mestieri. Tutto ciò è d’altronde ben in linea con l’atteggiamento epistemologico dell’autore; i campi del sapere scandagliati da Gadda alla ricerca, oltreché di parole, di concetti e categorie interpretative sono davvero molti. (9) Egli prende le distanze dalla cultura italiana, colpevole per solito «di essere refrattaria alla storia naturale, d’ignorare le ere geologiche, il darwinismo, i classificatori del Sette e Ottocento, Malpighi e Spallanzani» e di avere «una scarsa predisposizione alla cultura economistica e matematica» (Gadda 1993b: 83). Si vorrebbe aggiungere che non sembra sia stato ancora messo nella giusta luce dalla critica il fatto che l’interesse dell’autore non è limitato alle discipline nobili, ma si rivolge un po’ a tutte le attività umane, comprese quelle maggiormente pratiche. Tutti i mestieri, per Gadda, sono intellettualmente validi, se ben fatti, e quello dello scrittore non ha in sé nessuna preminenza sugli altri. Di più: i letterati faranno bene a non considerarsi gli unici depositari del sapere linguistico: infatti «avviene talora che lo scrivere de’ notai, de’ tecnici, degli avvocati e, quello che più impressiona, degli spedizionieri e de’ ragionieri, sia più che comparabile con quello di certi scrittori» (Le belle lettere, SGF I 481). Il contributo di mestieri che possiedono un alto grado di concretezza può quindi essere utilissimo anche allo scrittore, e all’intero sistema linguistico in cui egli si trova ad operare: infatti essi «Avvezzano lo scrivente a una particolare disciplina […] e immettono nel gran fiume della lingua da un lato il frasario gergale de’ pratici […], dall’altro il frasario di lontana o rinnovata discendenza illustre, che coglie l’etimo alla sua viva (per quanto illustre) ed antica radice: italiana classica, latina, greca, e neo-greca scientifica» (Lingua letteraria, SGF I 493).

Ben rappresentati nel Gadda milanese sono anche i forestierismi (francesismi, in primo luogo, e poi ispano-americanismi e anglicismi). Interessante, soprattutto, è l’uso di vocaboli francesi «caratterizzati dalla mise en relief delle virgolette [che] costituiscono uno degli ingredienti del parlar finito della borghesia milanese» (p. lxxxi), bersaglio deputato dell’ironia gaddiana.

Particolarmente frequente risulta il ricorso alle neoformazioni, e ciò non sorprende: la sperimentazione sul terreno della formazione delle parole (terreno particolarmente ricco di possibilità in italiano, i cui meccanismi derivativi permettono un’ampia e variegata gamma di soluzioni) è uno dei tratti maggiormente caratterizzanti degli scrittori inclini al plurilinguismo. Bisogna anche tener presente la visione gaddiana secondo cui la «conoscenza è deformazione», e di conseguenza anche l’«uso del linguaggio è deformazione» (p. lxxxvi). La lingua per Gadda è principalmente uno strumento conoscitivo, ed è quindi ben comprensibile che il suo lavoro sui meccanismi formativi «non porti mai alla creazione di termini creati dal nulla o facenti parte di un idioletto privato», e invece «muova sempre da elementi appartenenti alla lingua, di cui conserva una parte di significato che assicura la decifrabilità della neoformazione». L’inventario delle formazioni gaddiane è molto ampio: si rintracciano suffissali, prefissali, parasintetici, alterati e composti, tutte categorie che si rivelano ben sfruttate. L’A. si sofferma brevemente anche su toponimi e antroponimi creati da Gadda; è un argomento interessante, che meriterebbe di essere approfondito: la creatività onomastica dello scrittore acquista in molti luoghi della sua opera un’importanza centrale, ponendosi in qualche occasione come perno intorno al quale ruota l’intera orditura plurilinguistica. (10)

Largo spazio ha poi la descrizione dell’uso gaddiano del milanese, la componente linguistica che più differenzia le opere studiate dall’A. dalle altre (singole parole o frasi milanesi compaiono anche in altri testi, ma solo episodicamente). Il dialetto della sua città è l’unico ad essere usato nella sua opera in modo «prevalentemente mimetico» (p. cv), e ciò si spiega bene se si pensa che la borghesia meneghina (e brianzola) viene assunta dallo scrittore come bersaglio principale verso cui dirigere la sua violenta irrisione. (11) L’ottima conoscenza del milanese permette a Gadda di coglierne le stratificazioni diacroniche, che divengono per lui facilmente oggetto di interesse non solo linguistico ma anche etnografico. Ciò è evidente nelle note, molto studiate dalla critica, che corredano il testo dell’Adalgisa; in esse, molto spesso, egli «inserisce, accanto alla spiegazione del termine milanese, anche la sua datazione, istituendo così un continuo confronto tra il periodo rappresentato dai disegni milanesi e quello contemporaneo all’autore» (p. cxi).

Il dialetto non compare solamente nel parlato dei personaggi, ma si affaccia anche nella narrazione (è un processo che Gadda porterà alle estreme conseguenze nel Pasticciaccio, in cui dialogato e racconto si fondono spessissimo attraverso l’uso sapiente del discorso indiretto libero): il «continuo e incessante mutare del punto di vista» adottato porta tra le altre conseguenze la frequente utilizzazione di forme ibride, «che mostrano un diverso grado di mescidazione tra lingua e dialetto» (p. cxv). Si tratta di una coerente applicazione della visione gaddiana della lingua come deformazione.

Un ultimo paragrafo è dedicato allo studio degli «strumenti dell’ingegnere»: l’indagine si sofferma sull’uso fatto da Gadda dei dizionari, che si rivela, contrariamente a quanto ci si potrebbe forse immaginare, «sporadico, finalizzato a una ricerca specifica, in poche parole: strumentale» (p. cxxvii). Non sembra che nessuno dei molti dizionari posseduti da Gadda sia stato da lui assunto come fonte sistematica di parole rare (ciò che invece si riscontra, come è noto, per altri autori italiani, come Dossi o D’Annunzio). È questo un settore di studio molto interessante, fino ad oggi quasi per nulla frequentato dalla critica gaddiana; ed è auspicabile che in futuro si moltiplichino ricerche di questo tipo.

La seconda parte del libro è costituita dal Glossario (seguito da un Regesto del milanese e da un piccolo Regesto degli altri dialetti). L’A. riporta di ogni lemma tutte le occorrenze dei testi milanesi, e una serie di riscontri con le altre opere di Gadda (di particolare interesse si dimostrano le glosse apposte dallo scrittore a parecchi termini); molto utilmente vengono anche segnalate le eventuali attestazioni di varianti, derivati o altre accezioni della parola registrata recuperati dall’intero corpus gaddiano. Trovano poi luogo indicazioni sulla presenza della parola nella tradizione letteraria (sulla base della LIZ ma anche di spogli personali) e, quando metta conto, nei dizionari (l’elenco dei repertori utilizzati è molto ricco). Così strutturati, i lemmi offrono molto di più di un semplice elenco di forme adoperate da Gadda: si ha la possibilità di osservare dettagliamente i materiali di lavoro messi a profitto dallo scrittore nel costruire concretamente la sua pagina.

Il lavoro di Paola Italia, che si pone come un punto di riferimento imprescindibile per le analisi linguistiche su Gadda, può essere molto utilmente sfruttato come una base affidabile da cui ripartire per nuove indagini. Proprio in questa chiave andranno lette le osservazioni presentate qui di séguito su singoli lemmi del Glossario: si tratta nella maggior parte dei casi di informazioni integrative a quelle fornite dall’A.; in qualche occasione viene proposta un’interpretazione alternativa del significato o della storia di un termine.


ABBOZZARE: nell’opera di Gadda il termine si trova non solo nel significato romanesco di sopportare, ma anche, e con una certa frequenza, in quello di smettere, che egli stesso, come ricorda l’A., indica essere proprio dell’uso fiorentino; cfr. p. es. SGF I 468: «A che gioco si sta giocando? abbòzzala!».

ADDORMIRSI: anche se «non risulta att[estato] dal Chiappini», Gadda non ha torto a «glossare il t[ermine] come romanesco», dato che esso è ben attestato in Belli.

AFFOCARE: una fonte certa è individuabile nella Maia dannunziana (un es. del testo è opportunamente riportato s.v. AFFOCATO), di cui va ricordato il sintagma «affoca la coglia» infuoca lo scroto (Laus vitae, 17, v. 150), che trova un’eco lievemente distorta in SGF II 344: «affoca le coglie».

AMAZONICO: in Gadda compare anche il sostantivo amazone (cfr. SGF II 269: «battaglioni di viragini o amazone»; il plurale in -e è un tratto proprio del fiorentino); (12) questa forma etimologica è stata usata anche da D’Annunzio.

AMMANIGLIATO: riguardo all’uso di ammanigliatura nel significato di raccomandazione, si veda la chiosa dello stesso Gadda, che indica etimologia, localizzazione ed àmbito d’uso: «Termine gergale della marina militare, di origine evidentemente ligure o tutt’al più toscana. Dicesi ammanigliato il giovine ufficiale che usufruisce di raccomandazioni/aderenze e simpatie in alto loco: e però è calmo e sicuro: come, nel tangone della nave, è sicuro chi s’è afferrato alla maniglia» (SGF II 1065).

BIASCIARE: alle fonti individuate dall’A. aggiungerei Franco Sacchetti – autore familiare a Gadda – sulla base del già citato passo di SGF II 238 («già principia a rugumare, a biasciare»), in cui è evidente la ripresa da un brano del Trecentonovelle (novella CLXXXV: «le biasciava e rugrumava»).

BIRBO: a differenza degli altri tre esempi riportati dall’A., in SGF II 235, il significato non sembra essere vivace quanto piuttosto mascalzone (i «diportamenti de’ birbi» sono espressione di quel «male [che] deve essere noto e notificato»). Da segnalare poi la presenza in Gadda del peggiorativo birbaccio (cfr. SVP 294), e del sostantivo birberia, che compare nelle sue opere con diverse accezioni: malizia, furba malvagità e dispetto; cfr. rispettivamente SGF I 435: «tutta la birberia di codesto mànfano, vah, d’un Cupidone buggerone»; SVP 259: «Le volpi, in ragione dei loro subdoli istinti, avevano così diffusa reputazione di birberia, che soltanto a udir la proposta le viaggiatrici scimmie pensarono quello che dovevano pensare: l’offerta era un espediente per derubarle», e 260: «incontro ai giochi e alle birberie del vento».

BISCHERO: in Gadda è presente anche il sostantivo bischerata (sciocchezza), più volte usato per definire il fascismo (cfr. Gadda 1988b: 46 e SVP 912), e l’avverbio bischerrimamente, coniazione gaddiana (cfr. SGF II 349). Bischero è un toscanismo popolare, che ancora oggi, pur essendo conosciuto in tutta Italia, non è pienamente entrato a far parte della lingua comune. (13)

BOCIARE: da ricordare anche il corrispondente sostantivo boce ben attestato in Gadda (cfr. p. es. SGF II 25, 225, e RR II 155).

BRODA: nell’esempio riportato dall’A. il significato sembra essere quello di cibo acquoso, piuttosto che quello suggerito di acqua fangosa. Quest’ultimo, comunque, è attestato in Gadda; cfr. SGF I 378: «Quella bella broda pioveva a fiotti sulle mie delicate magliette: uno stroscio, un’emulsione acquosa delle variopinte e variamente olezzanti estrinsecazioni canine della notte». Il termine compare poi nella locuzione «a tutta broda», il cui significato sembrerebbe essere a tutto tondo; cfr. SGF I 1121: «Tali “racconti” ci appaiono meno “tesi”, in rapporto alla icastica del Sacchetti o alla pittura a tutta broda del Boccaccio». Si può ricordare inoltre la presenza in Gadda del verbo sbrodare (emettere liquidi organici); cfr. SVP 277: «sbrodar fuori, dal naso, o dagli occhi, tutto il sudicio che hanno in corpo».

BUCCINARE: in Gadda è presente anche la variante con la consonante scempia (il significato è sempre mormorare); cfr. RR II 198: «Anche del pittor Zeusi, d’altronde, si bùcina che n’abbi fatto un monte».

BURATTINARE: di questa neoformazione, il cui significato nell’es. riportato è «muoversi meccanicamente, come un burattino», si trova in Gadda anche un uso transitivo (nel significato di muovere qualcosa come un burattino); in SGF II 263 infatti si legge: «[il Duce] burattinò cosce nude di quadrate legioni per via dello ’Mpero».

BUTIRRO: segnalo la presenza in Gadda del derivato butirrosità (cfr. Gadda 1988b: 54).

CIOCCOLATTE: nella prosa gaddiana è attestato anche il verbo cioccolattare, coniato dall’autore; cfr. SGF II 264: «il mostriciattolo pisciò, cioccolattò, crebbe e proferì apoftegmi». Il significato, a giudicare dal contesto, deve essere defecare (la cioccolata è qui evidentemente metafora per le feci, con un rapporto istituito sulla base della somiglianza di colore).

COTESTORO: la fonte più probabile di questa forma rarissima è Machiavelli, autore cui Gadda, com’è noto, deve molto: nell’Arte della guerra se ne trovano infatti due ess.

DITTAGGIO: è di notevole interesse il fatto che si tratti di una voce di area lucchese (oltre ai vocabolari citati dall’A.; cfr. GDLI, che porta ess. dei versiliesi Pea e Viani): la presenza di un toscanismo estraneo all’uso fiorentino è un fatto probabilmente unico nell’opera gaddiana (naturalmente l’autore potrebbe averlo recuperato dai molti repertori in cui è citato). Da segnalare inoltre che in Gadda, oltre all’accezione di diceria, è attestata quella di proverbio; cfr. SGF II 16-17: «quel celebrato dittaggio de’ filosafi cinici: “Del pollo il volo, del dindo il passo”».

ECOLALIA: sarebbe opportuno citare l’esempio di SGF II 326 completandolo con la definizione della parola fornita tra parentesi da Gadda: «mimesi fonica delle parole altrui e cioè soprattutto del tono vocale». Come si vede anche dai passi (riportati per intero dall’A.) di SGF I 449 e 546, Gadda sente spesso il bisogno di chiarire il significato di questo termine. Quello di glossare le parole da lui stesso usate è un procedimento non solo applicato per i dialettismi: procedimento che del resto si spiega bene se si pensa che spessissimo nei testi «il rapporto codice messaggio si pone metalinguisticamente e si risolve con una chiamata a correo del codice stesso» (Guglielmi 1967, 19804: 129).

FABULARE: in Gadda sono attestati anche il sostantivo fabulazione e il participio prefabulata. In entrambi i casi l’atto del fabulare rappresenta l’espressione, compiuta in malafede, di menzogne, una delle azioni stigmatizzate con più forza dall’autore (cfr. SGF I 1152: «La furberia cospira alla cancellazione e alla distruzione della vita associata, sostituendo l’attività storica con una pseudo-storia, o, peggio, con una non-storia; in ogni caso una fabulazione turpe e ladresca che sfocia nell’insensatezza e al nulla-di-fatto»; SVP 912: «la bischerata preconcetta, prefata all’analisi, prefabulata al pragma, da ciurmare una manica di grullacci in delirio (finto) con operazione meramente buccale»). (14)

FRODATORE: all’unico es. citato dall’A. si può aggiungere quello di SGF I 452, interessante soprattutto dal punto di vista delle idee linguistiche di Gadda, perché rivela come la frode peggiore, per lui, sia quella nascosta in «certe consecuzioni parolaie» proprie di chi non ha niente di concreto da dire; egli prende a modello autori come Dante, Boccaccio, Galileo e Manzoni, la cui scrittura assume una funzione di smascheramento: essi, infatti, «Levano talora l’edificio del giudizio sopra una sola frase o parola accattata sagacemente e poi diabolicamente inserita nel testo, a dileggio ed a confusione de’ frodatori». Quest’analisi si può ben applicare a ciò che lo stesso Gadda fa molto spesso, per esempio nei confronti dei suoi concittadini, quando «assume il punto di vista dei suoi personaggi, tanto da parlare come loro, usare le loro stesse espressioni, con un effetto sicuramente ironico e caricaturale» (p. CXXII). (15)

GASTIGO: secondo l’A. si tratta, rispetto a castigo, della variante «ant[ica] e disus[ata]», «che Manzoni [nei Promessi sposi] corregge sistematicamente». In realtà, è vero il contrario: Manzoni sostituisce tutte le occorrenze di castigo e derivati presenti nella ventisettana con le forme con g-. (16) Il fatto è che si tratta di forme proprie del fiorentino, sia antico che moderno (oltre che nei Promessi sposi si rintracciano in testi che dànno largo spazio alla toscanità viva, come Fede e bellezza di Tommaseo e Pinocchio). (17) Non stupisce quindi che in Gadda il verbo gastigare si incontri «partic[olarmente] in testi “fiorentini”»; e si legga anche la prima lettera inviata a Contini dopo il trasloco a Firenze, in cui, poche righe prima della mimesi di un tratto vernacolare quale la gorgia di hasa e hostassù, si legge: «ti prego di volermi condonare il castigo o gastigo» (Gadda 1988b: 38).

GRIFO: da segnalare nell’opera gaddiana anche i derivati grifuti, -e (cfr. RR II 193 e SVP 919), e grifomorfa (cfr. SGF II 242).

GRULLO: in Eros e Priapo (l’opera in cui questo toscanismo ricorre con più frequenza, utilizzato per designare i fascisti) sono attestati anche il diminutivo grullerelle (SGF II 243), e i sostantivi grulleria (300) e grullaggine (309); quest’ultimo è riportato dal GDLI col solo esempio gaddiano.

GUARI: in Gadda compaiono non solo le locuzioni non è guari e andar guari, segnalate dall’A., ma anche non stare guari; cfr. SGF II 42: «non istette guari». Si tratta di un avverbio molto comune nell’italiano antico, ma avvertito ben presto come pedantesco: infatti già «nel Cinquecento e nel Seicento […] si biasimava, come noiosamente arcaizzante, l’impiego di guari, già fuori dell’uso dal sec[olo] XV […], ma non del tutto scomparso» (DELI). Ciò ne ha reso possibile un impiego ironico, «per derider chi parla o scrive con affettazione» (Petrocchi). (18)

LUBIDO: oltre agli esempi citati dall’A., è opportuno ricordare i numerosissimi passi di Eros e Priapo; è soprattutto in quest’opera, infatti, che questo «termine prediletto» (Gelli 1969: 53) assume una funzione contenutistica assolutamente centrale. Per quel che riguarda le fonti va detto che a Lucrezio – indicato dall’A. sulla scorta di una proposta di Manzotti – andranno affiancati altri scrittori latini, in particolare Sallustio e Tacito (cfr. Matt 1997: 135, 136, nn. 22-23). Segnalo inoltre che in Eros si trovano formazioni come autolubido, SGF II 323 e passim, e iperlubido, 367.

MINUZZOLO: è voce probabilmente avvertita da Gadda come connotata in senso toscaneggiante: la si ritrova, infatti, in un discorso diretto del racconto La sposa di campagna (RR II 829), testo in cui viene attuata una «registrazione filologica del toscano». (19) Si legga inoltre questo passo del saggio linguistico Il terrore del dàttilo: «Noi udiamo […] il toscano serbare con animo amico e cogliere agevolmente le sdrucciole, tesoreggiarle nella glottide, liberarle serenamente all’aere quando opportunità ne richieda […]. Il toscano non le disdegna, anzi a tutt’oggi ne crea, e ne immette via via di nuove nel magma fonetico […]. Egli dirà pertanto o preferirà dire mùtolo, ràgnolo, formìcola, conìgliolo» (SGF I 520); si noti che l’individuazione del suffisso -olo come tratto toscano è corretta. (20) Inoltre, anche se i dizionari non dànno minuzzolo come voce propria della Toscana, è pur vero che la parola è attestata soprattutto in scrittori di quella regione (o in autori pittosto inclini all’uso espressivo dei toscanismi lessicali, come Nievo). (21) Infine, non è forse inutile ricordare quanto affermato dallo stesso Gadda a proposito dell’omonima operetta collodiana: «Posso citare le primissime letture che ho fatto: Giannettino e Minuzzolo di Collodi. Minuzzolo mi è molto piaciuto» (Gadda 1993b: 162).

ONNINAMENTE: in Gadda è attestato anche l’aggettivo onnìno (assoluto; cfr. SGF II 286). Per quel che riguarda il processo correttivo manzoniano, va precisato che nei Promessi sposi ad essere sostituita da affatto non è la forma onninamente, ma la variante grafica iperlatineggiante omninamente (Vitale 19922: 22).

PRINCIPIARE: oltre ad essere una voce «letter[aria] e poet[ica]», è anche un fiorentinismo vivo, e ciò dà ragione del fatto che, come nota l’A., Manzoni l’inserisce «quasi sistematicamente» nella quarantana (peraltro in luogo di sinonimi anche non connotati, come cominciare); si tratta infatti di una di quelle parole «che sono anche della lingua comune, ma che il fiorentino usa a preferenza di altre che la lingua comune tende invece a privilegiare». (22)

QUADRUPEDATO: nella prosa gaddiana è attestato anche il participio presente quadrupedante; il significato può essere gruppo formato da quadrupedi (cfr. SVP 252: «I cavalli, appena possono, subito si mettono dalla parte della malizia […]. | La bella conseguenza di tutto ciò? Che il bischero maldicente ottiene i loro applausi e ne gode la stima e addirittura la venerazione… della quadrupedante canaglia»), oppure cosa propria di persona animalesca (cfr. RR I 729: «E la piscia, dentro cui zoccolava la Peppa […] E le frittelle di letame compresso che s’erano disquamate di sotto agli zoccoli quadrupedanti»).

QUARANTOTTATO: per quarantotto (tumulto), cfr. la nota gaddiana a SGF I 69: «Quarantòtt – voce lombarda – babilonia, rivoluzione, pandemonio: appunto dal 1848». (23) Segnalo poi il sostantivo quarantottista, riferito in SGF I 651 a Carlo Cattaneo.

SBRAVAZZARE: Gadda usa anche la variante senza prefisso rafforzativo bravazzare (cfr. SGF II 230), da cui deriva il sostantivo bravazzate (bravate; cfr. SGF I 224).

SèRPERE: in Gadda è presente anche la variante serpolare, col medesimo significato di serpeggiare; cfr. SGF II 261: «zefiro e zefirucci gradevolmente serpolanti tra intimine e delicatissime cosce».

TARTAGLIARE: la prosa gaddiana contempla anche il sostantivo tartaglione (persona che balbetta); cfr. SVP 278: «i muti, gli afàsici, nonché i tartaglioni».

VITTUAGLIA: la fonte più probabile di questo arcaismo è Giovanni Villani, autore molto familiare a Gadda. Nella Nuova cronica se ne incontrano infatti ben centoottantasei occorrenze.

ZEBEDèI: il termine è usato da Gadda non solo nella locuzione «levarselo dagli zebedèi»; cfr. Gadda 1988b: 50: «la res publica de’ mia zebedei», e 63 «portatori di zebedèi» uomini.


Aggiungo infine poche annotazioni su voci registrate nel Regesto del milanese.

CADRéGA: in SGF II 337 si trova il sostantivo mezzacadrega, il cui significato è persona mediocre (il termine, sostanzialmente un sinonimo dei più comuni mezzacalzetta e mezzacartuccia, è sùbito ritradotto da Gadda in mezza-seggiola): «ai timidi, ai bruttini, ai debolucci, agli ineleganti, alle cosiddette mezzecadreghe per non dire mezze-seggiole».

CIPPERIMERLO: in realtà, dalle citazioni dei passi gaddiani si ricava che la forma esatta è cipperimerli, anche quando usata come sostantivo singolare (la -o del lemma sarà dovuta ad un refuso); segnalo inoltre l’esistenza della formazione gaddiana cipperimerlificato (cosa verso la quale è stato diretto il gesto del cipperimerli), che egli scrive in grafia analitica; cfr. SGF II 293: «la violata Legge, e ’l cipperi merlificato e manichettato Gran Veto».

FASTIDI: sulla locuzione «compermess che me ven fastidi» (nella cit. da SGF II 267 per un refuso si legge fastidî) si veda l’esauriente glossa gaddiana in SGF II 1057: «Scusate, sto per svenire: (dall’emozione). Dicesi alla vista, o per via, al passaggio d’una bella donna. Me ven fastidi = mi vien male, svengo. Costruzione impersonale. Fastidi è non tanto fastidio nel senso odierno, quanto sofferenza, malessere: (latino fastidium)».

PISTOLA: nella prosa gaddiana è attestato anche il diminutivo pistolino (ragazzino; cfr. SVP 232: «Leva gli occhi, ovvia, pistolino», detto da padre a figlio); in Gadda 1988b: 65 il termine ha il significato di piccolo pene, e ha la funzione di beffeggiare le presunte capacità amatorie di D’Annunzio, che viene rappresentato come «un Narcisso di terza classe che porta a spasso pel mondo il pistolino ritto della sua personcina».

SCARLIGà: il termine compare in una nota molto famosa del racconto Un concerto di centoventi professori; siamo oggi in grado di attribuire la paternità dell’aneddoto lì raccontato a Gianfranco Contini, sulla scorta di questo passo di una delle lettere recentemente edite (che accompagna l’invio di una copia dell’Adalgisa): «Mi sono invece appropriato, con licenza de te avuta per lettera (te ne ricordi?) i diritti d’autore di quell’“Atenti che se scarlìga!”» (Gadda 1998: 23).


Si è voluta fermare l’attenzione su aspetti particolari, a volte su dettagli, sia per dar conto concretamente dei molti spunti offerti da un lavoro come quello di Paola Italia, che analizza migliaia di vocaboli, sia per sottolineare l’opportunità in sede critica di non trascurare – prendendo in prestito le efficacissime parole di Gadda – «alcuni fatti minuti e potremmo dire modesti, i quali hanno pur tanta parte nel concreto coagularsi d’un’opera verso la sua struttura definitiva» (SGF I 475).

Note

* Mi servo dei seguenti repertori: LIZ = Letteratura Italiana Zanichelli (su CD-ROM), a cura di P. Stoppelli e E. Picchi, versione 3.0, Bologna, Zanichelli, 1997 (alla LIZ si rimanda per tutte le indicazioni lessicali di cui non sia specificata la fonte); GDLI = Grande dizionario della lingua italiana fondato da S. Battaglia, Torino, UTET, 1961 sgg.; DELI = Manlio Cortelazzo & Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1979-88; Petrocchi = Policarpo P., Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana, Milano, Trèves, 1919.

1. Si può parlare a ragione di un Gadda milanese, visto che questi testi rappresentano il «percorso narrativo gaddiano nella rappresentazione della realtà milanese» (p. xii). Non sembra soddisfacente invece la periodizzazione – messa in atto in più di un’occasione da Gianfranco Contini, poi sempre ripresa dalla critica, e fatta propria anche dall’A. – in fasi successive (milanese, fiorentina, romana) dell’attività letteraria di Gadda, fasi legate ai cambiamenti di residenza. Più che di tre stagioni, infatti, si tratta di tre diverse maniere (caratterizzate peraltro non solo dall’assetto linguistico) tra le quali ci sono parecchie sovrapposizioni cronologiche. Sulla questione mi permetto di rimandare a Matt 1998: 51-60.

2. Molti segnali, oltre alle dichiarazioni dello stesso autore, mostrano quanto le opere dannunziane – Laudi in testa – fossero importanti per la formazione letteraria di Gadda. L’A. segnala l’esistenza di «un quaderno scolastico che reca nelle prime pagine la trascrizione “in bella copia” dei primi versi di Maia» (p. xlix n). Si possono ricordare inoltre parecchi passi di Giornale da cui si evince che anche in guerra D’Annunzio era tra le principali letture per Gadda.

3. è da lui chiamato spesso con appellativi beffardi: Nicoletto, Basetta, Basettone-Moralone, Bel-collo, Poeta Iperbolico, Zacinzio (cfr. BI 135).

4. A cominciare dal giovanile Giornale. La presenza di inserti latini in una scrittura diaristica, originariamente non destinata alla pubblicazione, è molto indicativa dell’importanza del mondo classico nella formazione culturale dell’autore.

5. La cultura cristiana è da Gadda di frequente sottoposta a un intenso processo di parodizzazione. Già per tempo è stato segnalato che nella Cognizione, «prescindendo dagli stessi termini latini, abbondano gli andamenti ritmici o le significazioni linguistiche di chiara matrice chiesastica» (Flores 1964: 384). Un testo in cui il latino cristiano è particolarmente sfruttato – sempre in chiave ironica – è Eros e Priapo, in cui spesseggiano citazioni dai vangeli («Date suum unicuique», SGF II 227; «sinite parvulos», 314) e dalla liturgia («Accipe Corpus Christi Domini Nostri», 303; «Domine vobiscum. Et cum spiritu tuo», 319); può capitare che una citazione venga adattata forzosamente al contesto, alterandone una parte («ante hos sex menses, ait, male dixisti mihi», 294; e cfr. anche la storpiatura del motto dei Gesuiti: «ad majorem gloriam viduae», 373).

6. P.V. Mengaldo, Il Novecento, in Storia della lingua italiana, diretta da F. Bruni (Bologna: Il Mulino, 1994), 150.

7. Vale la pena di ricordare che già in una famosissima pagina di diario del settembre 1915 (Giornale, SGF II 452-53), spesso citata come primo tentativo di scrittura plurilinguistica gaddiana, tra gli ingredienti del pastiche si trovano alcuni toscanismi (anche se in realtà essi non pertengono al lessico ma al livello fonetico e morfologico: du’ ore, gli è, il participio passato a suffisso zero guasta).

8. Cfr. SGF II 238 («già principia a rugumare, a biasciare, a soffiare, e ad annasar co’ i’ ggrifo»), 287 («te tu ti sei dilontanato») e 301 («e isparnazzando […] e gritando: “E’ sgangiano, e’ sganciano”»; in questo es. va notato anche un tratto arcaizzante come la i- prostetica dopo vocale).

9. Come ha notato Roscioni, Gadda tende a «tener presenti tutti i dati dell’esperienza, [a] mirare anzi a una sorta di inventario generale delle cognizioni» (Roscioni 1995: 59). Proprio a questa visione del mondo possono essere ricondotte molte delle scelte linguistiche di Gadda.

10. Sulla funzione assunta dagli antroponimi all’interno del pastiche gaddiano, cfr. D’Acunti 1994: 847-50; l’analisi è limitata ad alcuni passi del Pasticciaccio, ma offre spunti utilizzabili anche per altri testi.

11. Peraltro, si tratta di un bersaglio che compare in più di un’occasione anche in altri testi gaddiani: per fare un solo esempio, si legga l’apologo posto in apertura del volume delle Favole: «L’agnello di Persia incontrò una gentildonna lombarda, che prese a rimirarlo con l’occhialino. “Fedro, Fedro”, belava miseramente l’agnello: “prestami il tuo lupo!”» (SGF II 13). Un caso tutt’affatto particolare è quello dei Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus, testo scritto nel 1933, tutto dedicato alla sarcastica descrizione della «terra felice, denominata Breanza»; qui l’autore finge di porsi di fronte all’argomento sviluppato con l’atteggiamento di un trattatista obiettivo, e adotta una lingua iperletteraria fittamente intessuta di arcaismi, i quali si raggruppano in alcuni casi fino a formare periodi completamente anticheggianti, come in questo brano: «Li augelli purtuttavia non vi vengono, non perché abbino essi alcuna astuzia o una froda siffatta da scansare quello ingegno, che poi così temibilmente li occùpa, ma perché non v’ha in Lombardia nissuno augello volante, se non balsamato ne’ musei, oltracché le galline, quando tu queste vogli pur dire che son augelli. Ma “l’uomo è cacciatore” dice uno modo da noi: e tu, che sei vuomo e cacciatore e lombardo, sùfola per l’augello, e così puoi augellare per il sùfolo» (SGF I 963).

12. Attestato a Firenze sin dalle origini, «nel corso della seconda metà del secolo XIV […] entra più decisamente nell’uso» – P. Manni, Ricerche sui tratti fonetici e morfologici del fiorentino quattrocentesco, in Studi di Grammatica Italiana 8 (1979): 115-71 (127) – ed è ancora oggi vitale nel fiorentino demotico.

13. Cfr. F. Avolio, I dialettismi dell’italiano, in Storia della lingua italiana, cit., vol. III, Le altre lingue (Torino: Einaudi, 1994), 561-95 (587).

14. I verbi fabulare e ciurmare si trovavano inseriti nello stesso contesto anche in un passo di Eros e Priapo, in una redazione provvisoria (il secondo è stato poi espunto). Su ciurmare esiste una glossa gaddiana: «Per imitazione dal francese charmer dal basso latino carminare = recitare con voce di canto formule (carmina) d’incantagione. Anche nelle leggi delle 12 tavole: era punito: qui mala carmina incantasset (per attirar la grandine e ’l nubifragio sul campo finitimo) cioè chi inscenasse jettature (da jactare = gettar corni doppî) contro al vicino» (SGF II 1062).

15. Sul riuso gaddiano di stereotipi e frasi fatte cfr. l’utile articolo – peraltro poco conosciuto – di Augusta Forconi (Forconi 1993: 297-302).

16. Cfr. M. Vitale, La lingua di Alessandro Manzoni (Milano: Istituto Editoriale Universitario Cisalpino, 19922), 29. Noto un’occorrenza di gastigo in un passo gaddiano in cui Manzoni viene esplicitamente chiamato in causa: «E il totem orografico della manzoneria lombarda mi pareva levantarsi, gastigo ingente» (SGF I 227).

17. Altri riscontri: V. Imbriani, La novellaja fiorentina, a cura di I. Sordi (Milano: Rizzoli, 1976 [ristampa anastatica dell’ed. originale, Livorno, Vigo, 1877]), 294 e passim; G. Papanti, I parlari italiani in Certaldo (Bologna: Forni, 1972 [ristampa anastatica dell’ed. originale, Livorno, Vigo, 1875]), 215 («Firenze [Lingua parlata dalla plebe]», versione compilata da Pietro Fanfani).

18. Petrocchi riporta a sostegno di quest’uso un aneddoto: un sindaco, al quale era stata indirizzata un’istanza piena di termini libreschi, dette questa risposta: «quinci e quindi, unqua, sovente e guari, rifate il ponte co’ vostri denari».

19. V. Coletti, Storia dell’italiano letterario (Torino: Einaudi, 1993), 338. Qualche utile indicazione sul racconto in C. Grassi, Corso di storia della lingua italiana (Torino: Giappichelli, 1966), 179-85.

20. Cfr. L. Giannelli, Toscana [in Profilo dei dialetti italiani, a cura di Manlio Cortelazzo] (Pisa: Pacini), 35.

21. è interessante notare che minuzzolo compare nella frottola La lingua nova di Franco Sacchetti (Rime, CLIX), che è essenzialmente un catalogo di «molti strani vocaboli de’ Fiorentini» (come si legge nel titolo). La frottola è stata minutamente studiata da F. Ageno, Riboboli trecenteschi, in Studi di Filologia Italiana 10 (1952): 413-54.

22. O. Castellani Pollidori, Introduzione all’ed. da lei curata delle Avventure di Pinocchio (Pescia: Fondazione Nazionale Carlo Collodi, 1983), xiii-lxxxiv (lxxv); cfr. anche A. Nesi e T. Poggi Salani, Preliminari per una definizione dell’italiano di Toscana, in Quaderni dell’Atlante Lessicale Toscano 4 (1986): 7-38 (7 e n).

23. Notevolissima è la ricchezza di soluzioni lessicali con cui Gadda rappresenta il campo semantico del disordine; essa è stata evidenziata già da tempo da Roscioni, che ne ha analizzato altresì l’importanza concettuale all’interno del pensiero gaddiano (cfr. il capitolo Il groviglio conoscitivo, Roscioni 1995: 76-94).

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