Pocket Gadda Encyclopedia
Edited by Federica G. Pedriali
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Iper-romanzo
Massimo Riva
I. Per parafrasare lo stesso Gadda, nel cui glossario milanese troviamo due sole ricorrenze del prefisso iper-, iper-asparago e iperbatico, iper-romanzo potrebbe definirsi semplicemente il Nembroth dei romanzi (come l’iper-asparago lo è degli asparagi), non immune, inoltre, da «quella capacità iperbatica e permeatrice d’ogni testo [nell’originale: tessuto] ch’è d’ogni nuovo dogma o neoplasma o neo-gambero, ovverosia carcinoma, o canchero», capace di propagarsi e divulgarsi in breve tempo.
Queste due proprietà (iperbolica, da un canto, iperbatica, dall’altro, ossia, come glossa lo stesso Gadda, oltrepassatrice ma di un oltrepassare che procede a salti e a balzi, alterando l’ordine naturale) si mescolano e conflagrano nell’agglomerato dell’iper-romanzo: neologismo o neoformazione prefissale da intendersi, dunque, sia come crescita e potenziamento (o oltrepassamento, appunto) che come alterazione patologica, escrescenza tumorale del più modesto romanzo.
Parlare di iper-romanzo in Gadda equivale ad adottare una strategia di lettura che fa capo a Calvino, colui che nella letteratura italiana ha praticamente coniato, alla lettera e in teoria, questo termine (a partire dall’ultimo racconto di tconzero, Il Conte di Montecristo). È dunque il caso di prendere le mosse da una citazione o meglio un montaggio di citazioni da Calvino:
Carlo Emilio Gadda cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento (Lezioni americane, Calvino 1995: I, 717)
è il ribollente calderone della vita, è la stratificazione infinita della realtà, è il groviglio inestricabile della conoscenza ciò che Gadda vuole rappresentare… (Il pasticciaccio, Calvino 1995: I, 1077)
Nell’opera dell’ingegnere-scrittore-nevrotico (come la descrive Calvino) si manifesta una fondamentale, inconciliabile tensione tra metodo intellettuale e digressione nevrotica, da cui dipende anche il concetto di iper-romanzo che, sulla scorta di queste osservazioni, andremo ad abbozzare. Non va tuttavia dimenticato che Calvino qui, attraverso Gadda, sta parlando anche della propria opera e in generale del romanzo nella sua evoluzione tardo- o post-modernista, il romanzo come «grande rete» dei «possibili», «campionatura della molteplicità potenziale del narrabile» ( Joyce, Jarry, Proust, Valery, Musil, Borges, Queneau, Perec sono i nomi che ricorrono in queste pagine di Molteplicità, insieme a Rabelais, Flaubert, Dostoevski).
Il modo in cui Calvino descrive l’opera di Gadda è da questo punto di vista molto simile a quella in cui descrive un racconto di Borges (El jardìn de los senderos que se bifurcan) considerato un archetipo della narrativa ipertestuale e la cui idea chiave è appunto quella di «un tempo plurimo e ramificato in cui ogni presente si biforca in due futuri, in modo da formare una red creciente y vertiginosa de tiempos divergentes, convergentes y paralelos». Così pure:
Nei testi brevi come in ogni episodio dei romanzi di Gadda ogni minimo oggetto è visto come il centro d’una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descrizioni e divagazioni diventano infinite. (Lezioni americane, Calvino 1995: I, 718)
Ma ciò che in Borges risponde «alla rigorosa geometria del cristallo e all’astrazione di un ragionamento deduttivo», realizzando così l’ideale estetico di Valery, «il gusto dell’ordine mentale» che accoppia poesia e scienza all’insegna dell’esattezza, rimane in Gadda in uno stadio di magmatica, nevrotica tensione. Questa tensione patologica produce tuttavia una originalissima visione e rappresentazione enciclopedica (tendenzialmente paranoica) del mondo, destinata, suo malgrado, a rimanere aporetica o aperta – un leibnizismo senza teodicea, insomma, la disarmonia prestabilita analizzata da Roscioni. Non è che (secondo Calvino) Gadda cercasse innovazioni formali: è che non gli riusciva di portare in fondo quei «solidi romanzi con tutte le regole» che intraprendeva a scrivere. Ancora Calvino:
Quando questa immagine di complicazione universale che si riflette in ogni minimo oggetto o evento è giunta al parossismo estremo, è inutile chiederci se il romanzo è destinato a restare incompiuto o se potrebbe continuare all’infinito aprendo nuovi vortici all’interno di ogni episodio. (Il pasticciaccio, Calvino 1995: I, 1077)
Dunque, seguendo Calvino, parlare di iper-romanzo in Gadda è legittimo se non ci si limita a puri formalismi ma si ricollega il concetto alla personalità e umoralità dello scrittore e della sua scrittura: a questa andrebbe ricondotta la prolifica deformazione barocca gaddiana, con i suoi creativi grovigli (Dombroski 1999). Una specie di anamorfismo la esalta e la affligge:
Una comicità grottesca con punte di disperazione smaniosa caratterizza la visione di Gadda […] di modo che, quanto più il mondo si deforma sotto i suoi occhi, tanto più il self dell’autore viene coinvolto da questo processo, deformato, sconvolto esso stesso. (Lezioni mericane, Calvino 1995: I, 719)
Moltiplicità, complessità, apertura come consapevole attrazione intellettuale, da una parte; divagazione, complicazione, parossismo, come nevrotica centrifuga, dall’altra. Queste (secondo Calvino) le forze o gli ingredienti contraddittori del vorticoso iper-romanzo gaddiano.
Ma perchè iper- e non semplicemente romanzo (nelle sue varie concretizzazioni) e sia pure romanzo-centrale elettrica, capace di generare energia, come lo definisce Gadda stesso (Meditazione, SVP 646), una definizione ripresa da Amigoni (Amigoni 1995a: 48)?
è utile allora distinguere, come ipotesi di lavoro e per fare un passo avanti, due idee, due accezioni possibili di iper-romanzo: da intendersi sia come romanzo potenziale che (e/o) potenziato (la terminologia proviene dall’Oulipo). Tale distinzione può riferirsi a due aspetti fondamentali e concomitanti, segnalati per Gadda anche da Guglielmi (Guglielmi 1997: 25-42), del romanzo modernista (apres Gide):
a) l’essere essenzialmente work-in-progress (zibaldone, taccuino ecc.) – opera aperta che si fa, dunque, in relazione al tempo (oltre che allo spazio) della pagina e delle trame convergenti, divergenti o parallele che progressivamente disegna o intreccia (Les Faux-Monnayeurs di Gide, Ulysses di Joyce, la Recherche di Proust, Der Mann ohne Eigenschaften di Musil, e naturalmente Borges ecc.)
b) l’evidenziare o denudare le proprie regole (o contraintes) compositive, la fisica e la meccanica combinatoria della narrativa romanzesca – fino a farne il fine stesso, ludico o cibernetico dell’operazione letteraria (Valery, l’Oulipo, Queneau e Perec, fino al Calvino del Castello dei destini incrociati e di Se una notte d’inverno un viaggiatore ecc.)
Entrambe queste fondamentali caratteristiche pongono il romanzo in tensione (almeno potenziale, ossia epistemologica) con i limiti tecnologici della forma-codice e della piattaforma-libro che postulano unità e chiusura sia teoretica che fisica (nonchè univocità e diritto autoriale). Di esse Gadda mostra un’etica e aporetica consapevolezza, fin dal Racconto italiano:
[…] che l’intreccio non sia di casi stiracchiati, ma risponda all’istinto delle combinazioni cioè al profondo ed oscuro dissociarsi della realtà in elementi, che talora (etica) perdono di vista il nesso unitario. (SVP 460)
Il «nodo, o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo», da una parte, e la «maglia o rete» ma non a due o tre dimensioni ma a «dimensioni infinite» (Meditazione, SVP 650), dall’altra, sono i «modelli mentali» non biunivoci ma dilemmatici di una pratica già al suo stadio di gestazione iper-romanzesca, tenuti precariamente insieme dal seguente teorema: se il romanzo ottocentesco (avant Flaubert – qui, più che Gide, il terminus a quo) imponeva ordine al caos, il romanzo modernista (e manierista, secondo Guglielmi), tornando ad archetipi anteriori (Tristram Shandy, Jacques le Fataliste, persino il Foscolo delle Ultime Lettere) si pone il problema del caos o del caso, del determinismo o del destino (in negativo) – ossia, in termini manzoniani e gaddiani, di quel guazzabuglio o garbuglio che è la vita – senza volervi imporre un ordine narrativo se non relativo, all’insegna della relatività, reimettendo il caos nell’ordine artificiale del narrato.
Dunque, in questa gestazione il caos si postula come principio paradossale (iperbaticamente istintivo e cognitivo) dell’ordine romanzesco e l’iper-romanzo va inteso (e compreso) all’insegna della specifica, iperbolica complessità che ciò genera. «Passando dal semplice al complesso, dall’uno al molteplice (e io ci dovrò passare essendo il mio romanzo della pluralità)…» – si legge ancora nei taccuini del Racconto italiano laddove Gadda postula la necessità di muoversi tra una focalizzazione ab interiore a una ab exteriore del racconto, in modo che il narratore onnipotenziale («siamo tutti onnipotenziali») faccia propri tanto il mondo mentale che i diversi registri linguistici dei suoi personaggi (al maschile e al femminile). Questa dissociativa mossa post-pirandelliana (dall’uno ai molti, dal semplice al complesso) conduce al potenziamento formale del romanzo, ossia ad un allargamento e approfondimento del narrabile, nel senso iper-romanzesco (la moltiplicazione del sé di cui parla Calvino).
La mia ipotesi, in breve, sull’abbrivio della lettura di Calvino, è che anche (almeno) i due romanzi maggiori di Gadda, il Pasticciaccio e la Cognizione, possono intendersi come esemplari (di) iper-romanzi della nostra letteratura – romanzi potenziati e potenziali che postulano l’iper-romanzo come deformazione o anamorfismo di una forma-romanzo tradizionale.
II. La ricerca metodica e sperimentale dell’iper-romanzo come forma di narrativa onnipotenziale e tuttavia confinata entro i limiti della nostra frammentaria e frammentata realtà cognitiva, che si inaugura nei taccuini del Racconto italiano, prosegue nella Meditazione milanese, per confluire (date le debite intermittenze e interruzioni) nei romanzi maturi, assume in Gadda due fondamentali aspetti: uno sistematico – la ricerca del sistema come «variazioni sul tema [della] non-conclusione» (Bertone 1993: 145 sgg.), l’elusivo bandolo della matassa, chiave dell’enigma o del teorema delittuoso, – l’altro linguistico, il garbuglio o guazzabuglio che corrisponde alla esplosiva vitalità macaronica e allo humour subliminale del dialetto. Ma, a differenza di Calvino, che abbraccia il lato meno pessimista e oscuro dell’illuminismo, il principio epistemologico e cognitivo di questa (anamorficamente proustiana) ricerca rimane in Gadda melanconico o tragico, in termini quasi settecenteschi (la Cognizione del dolore), in realtà bergsoniano-pirandelliani (come ricorda Guglielmi, nella Meditazione milanese Gadda definisce Pirandello «il nostro grande tragico»): la chiave del sistema come enigma o puzzle cognitivo sarebbe anche la soluzione del delitto (la Cognizione del pasticciaccio), ma lo slancio vitale è ciò che in effetti confonde o falsifica, deforma ogni possibilità di prova o dimostrazione inconfutabile (il groviglio doloroso che a tutto soggiace). È la catastrofizzante caotica che il tendenzialmente paranoico sistema iper-romanzesco postula ma non contiene o neutralizza: «Tendo a una brutale deformazione dei temi che il destino s’è creduto di proponermi come formate cose ed obbietti: come paragrafi immoti della sapiente sua legge» (Castello di Udine, RR I 119). E Ingravallo:
[…] le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. (Pasticciaccio, RR II 16 – è il passo che Calvino commenta ad esordio della quinta lezione americana)
Di questa iper-romanzesca teoria delle catastrofi (della natura catastrofica del reale), il linguaggio non può essere veicolo cognitivo trasparente, al contrario; e l’equazione intellettuale che Calvino riduce a quella tra mondo scritto e non scritto, mantiene in Gadda le tracce di una irreprimibile, magmatica e sintomatica oralità: in altre parole, il plurilinguismo, un ingrediente essenziale del potenziamento operato da Gadda, ci riconduce semmai all’archetipo iper-romanzesco del Tristram Shandy di Lawrence Sterne, in cui la nevrosi della divagazione e della digressione è fomentata da e fomenta a sua volta il gusto satirico e quasi-sadico della caricatura (linguistica), al contempo distorcendo e aprendo smagliature e voragini nel continuum spazio-temporale, nell’ordine mentale e reticolare del racconto, destinato infine alla pubblica liberazione, o alla camicia di forza, della stampa.
Brown UniversityPublished by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS)
ISSN 1476-9859
ISBN 1-904371-00-0
© 2002-2025 by Massimo Riva & EJGS. First published in EJGS (EJGS 2/2002). EJGS Supplement no. 1, first edition (2002).
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