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Introduzione a Meditazione milanese
Gian Carlo Roscioni
«Che cosa vuol dire sistema?» (SVP 750) Questo sembra essere l’interrogativo cui la Meditazione milanese cerca di dare risposta. Prima ancora che una riflessione sul reale essa è un discorso, o dialogo, sul metodo. Ora, il metodo non è un astratto congegno, una chiave universale, ma un principio di organizzazione del reale: in quanto principio esso implica dei criteri elettivi, in quanto strumento di organizzazione presuppone una «porzione» determinata di realtà da organizzare. Questa porzione di realtà è il dato. E poiché il dato si manifesta come «qualcosa di non semplice in sé» (860), poiché esso consta di termini di relazione, capire che cosa è il dato e quale deve essere il metodo equivale a porsi il problema degli aspetti e dei significati di un sistema.
Il dato inoltre è mobile, e il sistema soggetto a un suo «logico ed attuale derogarsi a significati nuovi» (861); Gadda si chiede perciò come e donde scaturisca questo «nuovo», questo «diverso». Il mutamento, la «deformazione» di alcuni elementi di un sistema risalta contro lo sfondo di apparente immobilità che caratterizza gli altri elementi: è il relativo persistere di questi che permette di rilevare la perturbazione intervenuta in quelli. Per meglio osservare il fenomeno conviene isolare arbitrariamente nel flusso della deformazione le «stazioni o pause» che esprimono i diversi, molteplici «significati» del sistema e del dato. Queste «posizioni» o «situazioni» logiche sono in realtà esse stesse sistemi nell’ambito di un sistema piu articolato e comprensivo. Scopo precipuo della messa in evidenza di un piano della coattualità rispetto a quello della «successione» logica, è di illuminare il meccanismo della differenziazione e il gioco delle interdipendenze degli elementi che compongono il sistema.
Ma esistono elementi semplici? «La “semplicità” – dice Gadda – io chiamo aggruppamento» (651). Che cosa è allora che differenzia, che identifica l’insieme di relazioni che chiamiamo elemento o individuo?
un complesso di relazioni diviene individuo allorché si scopre almeno una relazione comune o un fattore comune che conferisca alle relazioni del complesso un riferimento comune identificandole tutte rispetto ad altro. (1)
Invece
il mero semplice è un chiuso in sé e non potrebbe rappresentare alcunché, nemmeno sé medesimo, non potendo riferirsi ad alcunché, nemmeno a sé medesimo. Ché relazione implica almeno sdoppiamento o polarità. (829)
Sulla polarità come fattore di identificazione Gadda torna più volte. «L’essere luce – afferma – implica una distinzione tra luce e non luce, l’essere calore analogamente» (661-62). In ogni sistema poi, «l’atto della coscienza [per Gadda ogni sistema è autocosciente (2) ] è un atto di polarizzazione (almeno); è una crisi euristica o giudizio euristico contrapponente alcunché ad alcunché, anche sé a sé» (829). L’«(almeno)» sta a significare che raramente si osservano nella realtà relazioni così elementari. (3) Nel caso di relazioni multiple e di sistemi complessi, il fatto che l’identità di un elemento dipenda dai rapporti intercedenti tra esso e gli altri elementi del sistema è confermato da quanto accade ogni volta che un incidente viene a turbare l’equilibrio specifico di una data pausa o situazione. Si constata allora che
uno spostamento in un sistema è spostamento, alloiosis, di tutti gli elementi di un sistema: non è concepibile una mutazione d’un elemento, da solo: perché nel mondo delle relazioni non esistono monete tesaurizzate nell’arca e dimenticate dalla pulsazione vitale, ma tutte si muovono e rappresentano soltanto rapporti. (649)
Una simile logica delle opposizioni e delle correlazioni non ha certo i caratteri della novità per un lettore degli anni settanta. Anche se digiuno di filosofia, egli sa,che lo studio dei rapporti e delle funzioni nell’ambito del simultaneo ha messo, durante gli ultimi decenni, profonde radici nelle discipline più disparate. Se poi la sua informazione non è troppo superficiale, ed egli conosce gli exempla più spesso ricorrenti in questo genere di indagini e di argomentazioni, non stupirà nell’apprendere che Gadda, muovendo dalle premesse appena registrate istituisce, per meglio chiarire il proprio discorso, il classico paragone, caro a logici, linguisti ed economisti, del «sistema» e degli scacchi. Il confronto che s’impone è con il Cours de linguistique générale.In esso si legge che negli scacchi come nella «langue», «on est en présence d’un système de valeurs et on assiste à leurs modifications»: (4)
Nella Meditazione milanese Gadda scrive:
Giocando agli scacchi, si ottengono situazioni logiche continuamente difformi: quel gioco è, in misura tipica, una perenne deformazione logica. (866)
Le «situazioni logiche» sono i saussuriani «états du jeu», corrispondenti agli «états de langue». Quanto alla «deformazione», è il fenomeno per cui «le système […] varie d’une position à l’autre» (Saussure 1965: 125-26). Ma vediamo qual è, secondo il Cours, il meccanismo della trasformazione logica:
Chaque coup d’échecs ne met en mouvement qu’une seule pièce […] Malgré cela le coup a un retentissement sur tout le système. (126)
Più sfumato, ma identico nelle conclusioni è il rilievo di Gadda:
L’elemento deformatore ci sembra essere il solo pezzo attualmente mosso, nel mentre la restante massa dei pezzi ci appare il “persistere attuale o provvisorio” del sistema. È, per altro un persistere “sui generis”, un persistere che risente della mossa eseguita… (SVP 866)
Il passaggio da una posizione all’altra equivale per Saussure a un generale cambiamento di sistema («le système n’est jamais que momentané» – Saussure 1965: 126), ma anche a una modificazione dei valori espressi dalle posizioni dei singoli pezzi sulla scacchiera. Analogamente Gadda afferma che poiché «la deformazione d’un sistema implica mutamenti nella totalità de’ rapporti che intercedono fra li elementi di esso» (SVP 869):
i pezzi non giuocati risentono qual più qual meno della nuova situazione: in quanto ciascuno di essi è un “garbuglio o gomitolo di rapporti logici attuali”, il suo valore logico attuale, la sua essenza logico-storica, per l’operarsi della deformazione è mutata. (869-70)
Entrambi gli scrittori richiamano l’attenzione su un fattore o premessa costante della deformazione logica:
Il est vrai que les valeurs dépendent aussi et surtout d’une convention immuable, la règle du jeu, qui existe avant le début de la partie et persiste après chaque coup. (5)
Permangono inalterati in ciascun pezzo certi fondamenti logici a priori (e cioè le mosse astratte che ciascuno potrebbe fare se fosse onninamente libero, se, avulso dalla partita reale, venisse collocato sopra una scacchiera vuota)... (870)
Ma non sono tanto «le premesse», cioè «le mosse matematiche o astratte, poste come realtà prima o divina di quel gioco» (646) («la “grammaire” du jeu» – Saussure 1965: 43) che interessano Saussure e Gadda, quanto il valore differenziale che la posizione dei pezzi sulla scacchiera e le sue modificazioni conferiscono alle diverse situazioni di gioco. I principi saussuriani sono troppo noti perché sia necessario richiamarli qui diffusamente. Osserviamo piuttosto verso quali esiti (parzialmente divergenti da quelli del Cours) tenda l’argomentazione di Gadda:
Il pezzo giocato, limitando e quasi eleggendo una serie di situazioni future, conferisce attualmente fisonomia e caratteristiche logiche a una determinata partita, sceverandola da “altre” partite a scacchi. Si dirà quindi il gioco Carlo contro Marco, il gioco Stefano contro Senatore. (SVP 866)
Mentre Saussure non cessa di insistere sulla distinzione dei successivi equilibri, Gadda sottolinea il contributo che il movimento di un singolo pezzo dà all’identità di tutta la partita. La differenza di atteggiamento è enfatizzata dal collegamento, istituito nella Meditazione milanese, tra la mossa attuale e le «situazioni future». Per Gadda esiste infatti uno stretto rapporto tra le successive situazioni logiche: Saussure non ignora questo rapporto ma, nell’intento di distinguere nettamente i fatti sincronici dai diacronici, relega nello sfondo della discussione i problemi che ne derivano. La situazione o «pausa» logica è, nella Meditazione milanese, un momento (momento logico e non temporale) di un indefinito sovrapporsi e «internuclearsi» di sistemi. Ogni elemento di un sistema è, come abbiamo visto, anch’esso un sistema, i cui propri elementi sono tutti deformati da una modificazione del sistema più comprensivo, anche se alcuni sembrano immutati perché fungono temporaneamente da sostanza (di fatto non esiste «sostanza» al di fuori di questo provvisorio, relativo permanere). Per Saussure invece gli effetti di certe modificazioni introdotte nella «langue» sono limitati ad alcuni fenomeni e non investono la totalità dell’elemento perturbato: così cambiamenti fonetici, per esempio, alterano i suoni senza mettere in causa le parole (Saussure 1965: 133). In verità altro è la «langue», e altro il «sistema reale» di Gadda. Se per Saussure
une partie d’échecs est comme une réalisation artificielle de ce que la langue nous présente sous une forme naturelle. (125)
nulla, secondo Gadda, si presenta in natura come la partita a scacchi,
che essendo un gioco finito e chiuso ci dà l’idea di un cosmo logico, con premesse che la chiudono, come un muro chiude un giardino. (SVP 646)
Egli precisa anzi che l’esempio degli scacchi permette di rilevare, per contrasto, un fatto di importanza pregiudiziale, e cioè che
Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola. I filamenti di questo grumo ci portano ad altro, ad altro, infinitamente ad altro: ma ciò dico non nel senso, dibattuto e noto del regresso delle cause finite e progresso degli effetti finiti […]. Ma dico invece ciò nel senso di una coestensione logica… (645)
Lo stesso Saussure, nonostante la perentorietà del giudizio appena citato, aveva molte perplessità circa i limiti (non logici, ma temporali e spaziali) di un «état de langue»: nozione che poteva essere solo «approximative», e utilizzabile in virtù della «simplification conventionnelle des données» necessaria in ogni scienza (Saussure 1965: 142-43). Gadda dal canto suo afferma che, non essendo nessun «grumo di relazioni» chiuso e autonomo, i confini di un sistema sono sempre arbitrari, e «determinabili in base al grado di approssimazione dell’analisi che ci interessa di istituire»… (SVP 648)
Questa è l’ultima, relativa coincidenza tra la Meditazione milanese e il Cours. Poiché una volta stabilito il carattere convenzionale dei limiti del sistema, Saussure e Gadda procedono in direzioni opposte: l’uno lavorando dentro quegli steccati, non importa come drizzati, l’altro mettendosi alla ricerca di fenditure, di squarci che consentano di accedere in spazi più ampi. Questi squarci del resto si offrono immediatamente allo sguardo. «Infinite relazioni apparentemente esteriori a un sistema pertengono a questo sistema»… (814); anzi, solo un sistema che sia consapevole della impossibilità di una sua chiusura ermetica «è valido in quanto sistema» (741). Ciò dipende dal fatto che «un sistema non è che una porzione (in senso logico generale più che strettamente quantitativo) di realtà» (822), e che esso non è perciò definibile se non in relazione a qualcosa di logicamente esterno. Ma che cosa è, al di fuori di questa «porzione», il quid rispetto a cui si identifica il sistema? La risposta che Gadda dà a questa domanda è, nonostante qualche incertezza nello svolgimento dell’argomentazione, (6) di stampo chiaramente costruttivistico. Un sistema può definirsi tale solo «se esiste “altro” cioè se esiste una ascensione di sistemi» (664). Data questa impostazione, la domanda iniziale «Che cosa vuol dire sistema?» ne trascina con sé una seconda: «Come e perché esistono dei sistemi o gruppi?» (750). La ricerca del «perché» è gravida di implicazioni metafisiche, e Gadda vi accenna appena, preferendo mantenersi sul più sicuro terreno dell’indagine intorno al «come».
L’«integrazione» dei sistemi si attua secondo lo schema seguente. Un sistema implica un oggetto della propria operazione sistematrice, ad esso logicamente e non temporalmente precedente: questo oggetto è «fatto a sua volta di sistemi, e questi di sistemi subordinati, e così via» Nell’opposta direzione esso ha invece a che fare con un «caos soprastante», il quale «presto disparirà e anche ascendendo sentiremo di dover passare di sistema in sistema» (664). Questo «presto» e questo «ascendendo» non devono far pensare a una sorta di ottimistico evoluzionismo logico: accanto alla «coinvoluzione», c’è infatti la «deinvoluzione», il regresso, su cui Gadda indugia ripetutamente. Nel caso dell’«ascensione», da una parte abbiamo il «preesistente logico» o «acquisito logico», su cui si opera la deformazione che dà vita al sistema di cui ci occupiamo, dall’altra l’«acquisendo logico», che è, rispetto a quello, un sistema più ricco e «integrante». Ogni sistema vive (oltre che del proprio, relativo, equilibrio interno) dell’equilibrio che si stabilisce tra le due opposte spinte verso l’acquisito e verso l’acquisendo. Alle «misteriose equazioni» che lo governano è dedicato un intero paragrafo (§ XVIII, 765-75), in cui Gadda esamina soprattutto la patologia del rapporto tra situazioni logiche successive: l’equilibrio infatti a volte si rompe per un eccessivo prevalere del sistema sopraordinato sul sistema subordinato; o per il rifiuto opposto da quest’ultimo alla supremazia del primo e al nuovo, integrante significato che essa comporta. In una scrittura immaginosa ed «emozionale», da scandalizzare il più tollerante dei filosofi del linguaggio, Gadda descrive i frequenti, tragici effetti di queste sfasature nell’«internuclearsi» dei sistemi, e i conflitti che nascono, nella vita, dalla «molteplicità dei significati del reale».
è lo scrittore, si dirà, che prende il sopravvento sul filosofo. Senza dubbio. Ma bisogna anche tener presente che il costruttivismo di Gadda, nonostante tutto il parlare che nella Meditazione milanese si fa di logica, di equazioni, di teoremi ecc., ha una matrice fondamentalmente biologica e vitalistica: matrice che porta continuamente l’analisi del reale in quanto sistema a trasformarsi in discorso sul reale in quanto «vita». L’immagine, espressa in stilemi sempre variati lungo tutta l’opera, della «pulsante deformazione logica», (7) e le altre molte ispirate ai processi della vita organica sono la spia di una idea o visione che domina lo sfondo della discussione sul sistema e sul dato:
Si sente
Nel vano desolato
L’andare del mondo.
Rotola, rotola sterile
Bestia.
Insieme con la figurazione della torpida animalità del pianeta, questi versi de Gli amici taciturni, (8) una poesia del 1919, convogliano l’idea della sfera, «imagine geometrica, topografica dell’uno-tutto» (SVP 647). Il mondo come organismo e il mondo come tutto: c’è contraddizione tra i due concetti? Tradotti in termini logici, il primo designa un sistema, mentre il secondo allude a un sistema dei sistemi. Il programma di «costruzione» logica (di trasformazione del «caos soprastante» in una serie o groviglio di sistemi) tende in ultimaistanza verso la formulazione di un sistema che integri tutti gli altri. Esigenza ascientifica che Gadda cerca di giustificare con la sua critica dell’«astrazione» (astratto è ciò che non tiene conto di tutte le correlazioni, di tutte le implicazioni possibili), dimenticando di aver egli stesso dichiarato che è proprio in virtú dell’arbitrio con cui si determinano i limiti di un sistema che può avere inizio l’analisi. La contraddizione è del resto palese anche in ciò che egli dice del singolo sistema. Sostenere che esso debba essere «pensato nella sua vastità ed onneità» (814) equivale a smentire il principio della sua «impossibile chiusura». Gadda ne è in qualche modo consapevole quando afferma che il sistema da lui teorizzato è
un mostro indescrivibile, che fa pettegolezzi con tutti, come certe serve che coinvolgono nella loro curiosità malefica tutti i coinquilini. (804)
Ma se gli inquilini di un palazzo sono in numero finito, e perciò possono essere «tutti» coinvolti, le relazioni e i gruppi che ogni singolo sistema, pensato nella sua «onneità», dovrebbe coinvolgere sono infiniti. E ciò rende inattuabile la «costruzione» proposta. Gadda dà per scontato che essa debba esprimersi in una rete complicatissima di rapporti (bisogna «organare il groviglio conoscitivo», 742), ma l’idea sottintesa del sistema dei sistemi la rende priva di pertinenza logica. Il principio di un «groviglio estremamente complesso e direi confuso» (777) non può che rendere impraticabile il metodo e sempre più labirintica l’argomentazione («Occorrono parentesi delle parentesi per spiegare bene il mio pensiero», 688).
L’obiettivo di un sistema «totale» è ascientifico, si diceva. In realtà, dietro questa esigenza c’è la «reductio ad absurdum» di due teorie fondamentali nella scienza e nella filosofia moderne: quella del reciproco condizionamento dei termini della relazione conoscitiva («conoscere – afferma Gadda – è inserire alcunché nel reale,è, quindi, deformare il reale», 863); e quella della relatività di qualsiasi sistema e punto di riferimento nella conoscenza. La fisica einsteiniana ha lasciato una forte impronta nelle pagine della Meditazione milanese, contribuendo tra l’altro alla formulazione della critica dell’astrazione. «Astratto», per Gadda, non è soltanto un sistema rigido e chiuso come il gioco degli scacchi, ma anche la visione-sistema che di un paesaggio si costruisce da un unico osservatorio. Diceva Saussure:
Il serait absurde de dessiner un panorama des Alpes en le prenant simultanément de plusieurs sommets du Jura; un panorama doit être pris d’un seul point. De même pour la langue... (Saussure 1965 : 117)
Per Gadda invece è indispensabile tener presente che «l’acrocoro può esser visto da molte sue quote; e ogni sistema è riferibile ad assi coordinati infiniti» (SVP 815). Anzi, bisogna partire proprio da questo presupposto: che «il sistema della deformazione conoscitiva [...] è come un sistema montuoso che secondo i punti di osservazione si deforma all’occhio dell’esploratore» (748). Certo, un’«ermeneutica a soluzioni multiple» è «come un enigma che avesse un numero infinito di soluzioni», e la formalizzazione di un simile sistema si tradurrebbe in un «mostruoso logogrifo». Ma come potrebbe essere diversamente, se il mondo, cioè l’«insieme dei dati», non è esprimibile che con «la tabella delle infinite combinazioni» ( 727) delle categorie del reale?
I fattori di disgregazione insiti nel «teorema della necessità della ricostruzione del coesistente» (646) e nell’idea di coinvoluzione totale saranno più tardi enfatizzati e drammatizzati da un Gadda che ha rinunciato alla filosofia. Ma l’autore della Meditazione milanese, pur denunciandoli, crede fermamente nel senso della propria ricerca: le note compositive e il testo stesso dell’opera palesano dubbi e perplessità circa la formulazione di questo o quel problema, ma testimoniano anche la certezza che, nel confronto con l’inafferrabile «realtà», delle nuove posizioni sono state acquisite. E il discorso si chiude su una nota di serenità e quasi di orgoglio. Il lavoro del filosofo non è vano, né vana o inconclusiva è stata l’indagine compiuta: «Un altro pensiero è nella Mente» (849).
Ragionando del «sistema», Gadda investe molte altre questioni, parzialmente denunciate dai titoli dei paragrafi: e discute dell’essere e della causa, dell’io e del male, della materia e del fine, della molteplicità e dell’atomo, della felicità e dei sensi, continuamente divagando anche da questi argomenti per affrontare temi disparatissimi come la liceità del suicidio, la temperatura della luna, la pena di morte, la strategia dell’attacco, la funzione dell’utopia, i misfatti della burocrazia. Non senza sostare, e con frequenza, su quello che sarà in tutta la sua opera il «sistema» più studiato: «il complicatissimo sistema morale che risponde all’etichetta del mio nome» (Giornale, SGF II 789).
Alcuni paragrafi sono consacrati alla demolizione degli «idoli» e dei «miti», cioè di concetti e principi come la sostanza, la categoria o la causa, cui la tradizione filosofica attribuisce una consistenza logica che, secondo Gadda, essi non hanno. Potrebbe sembrare questa la parte meno persuasiva di tutto il saggio. Demolire nel 1928 l’idea di sostanza? Da più di due secoli Locke ci. aveva pensato. Che dire poi della causa? La teoria esposta nella Meditazione milanese, etanto cara al commissario Ingravallo, che si debba «sostituire alla causa le cause» (Pasticciaccio, RR II 16) era stata svolta da Mill nel decimo capitolo del terzo libro di A System of Logic, intitolato per l’appunto ‘Of plurality of causes and of the intermixture of effects’. Quanto all’affermazione della limitata validità e della disintegrabilità delle categorie e dei concetti filosofici e scientifici in genere, sembra una tarda eco di discussioni sorte alla fine del secolo scorso in ambito empirio-criticistico (9) (direttamente da Avenarius parrebbe discendere anche l’identificazione di dato e realtà, da cui tutta l’analisi di Gadda prende le mosse). Ma bisogna vedere qual è il vero significato di queste demolizioni e di queste critiche nella Meditazione milanese. A un esame un po’ attento appare chiaro che, in essa, sostanza o materia sono più pretesti che oggetti di indagine: sono, meglio, i reagenti che permettono di accertare la pertinenza del «sistema» e i modi della «deformazione».
Assai più delicato è il problema della genesi di questi ultimi due concetti. Purtroppo Gadda, sempre pronto a riconoscere il suo debito (certamente cospicuo) verso Leibniz, Kant e Spinoza, è assai meno prodigo di notizie sulle sue letture di autori più recenti. Ma anche nomi come quelli di Hume e di Mill non figurano nella Meditazione milanese;così come non vi compare quello di Russell che, in un’opera fondata sulla identificazione di filosofia e logica delle relazioni, è il primo che si penserebbe di incontrare. Questa scarsità di riferimenti fa sì che della formazione filosofica di Gadda (astraendo dall’influsso della triade sopra ricordata) sia più facile parlare per negazioni che per affermazioni, sottolineando per esempio la sostanziale impermeabilità che egli ha sempre mostrato nei confronti delle correnti idealistiche e storicistiche del Novecento, o la scarsa eco che sembrano aver avuto nel suo pensiero le lezioni di Piero Martinetti che egli seguì, sia pure con discontinuità, all’Università di Milano. Dire che la sua preparazione scientifica e tecnica ha avuto un ruolo decisivo nell’impostazione di certi problemi, e forse nella determinazione di tutto il suo abito speculativo, significa proclamare un’ovvietà che avrebbe bisogno di rigorose messe a punto per riuscire di qualche utilità, nell’esame di testi come la Meditazione milanese. Certo è che nello studio delle scienze fisiche e matematiche come in quello della filosofia recente e contemporanea – s’intende al di fuori del curriculum universitario – Gadda non è mai uscito dai limiti di un fervido dilettantismo, che ha senza dubbio condizionato l’esplicarsi della sua seria, sicura vocazione teoretica. E ciò non soltanto per le note ragioni biografiche (necessità economiche, pesante lavoro ingegneresco, continui spostamenti, ecc.), ma per la sua incapacità o impossibilità a scegliere, anche nel momento di massimo impegno speculativo, tra filosofia. e letteratura. Non si rischia troppo, comunque, ad affermare che la sua conoscenza di molti autori dell’Ottocento e del Novecento, quando esiste, è di seconda mano. Il problema merita però di essere approfondito. L’apparente isolamento della Meditazione milanese nel contesto del pensiero italiano tra le due guerre ha bisogno di essere spiegato e, per quanto possibile, ridimensionato, se si vogliono evitare definizioni sbrigative e fraintendimenti.
Nelle pagine che precedono si è fatto spesso, per esempio, il nome di Saussure. Va da sé che Gadda non ha letto Saussure (né prima né dopo il 1928): quali autori o quali teorie possono allora avergli suggerito le sue idee e congetture intorno al «sistema»? La nota in cui dice di impiegare questa parola «nel senso onde la si usa in matematica e in meccanica» (SVP 861) contiene un’indicazione certamente utile, ma che resterebbe generica se altre affermazioni e indiretti riferimenti non ci aiutassero a cogliere il motivo della relativa prossimità di alcune pagine della Meditazione milanese edel Cours saussuriano. L’esame di questi indizi porta a una spiegazione abbastanza semplice, della convergenza rilevata. Secondo ogni apparenza Gadda deve l’impostazione del problema alla stessa dottrina in cui Saussure sembra aver trovato uno stimolo allo studio dell’«axe des simultanéités» nella lingua, e cioè all’economia pura paretiana. (10)
Ma cerchiamo di fissare momenti e modi di questo rapporto. Invano si cercherebbe nella Meditazione milanese il nome di Vilfredo Pareto. Tuttavia, in una nota critica dell’inedito Racconto italiano del Novecento (1924-26),ragionando della tonalità generale da conferire alla narrazione, Gadda registra come prima tra le maniere che gli sono più congeniali «la logico-razionalistica, paretiana, seria, cerebrale» (SVP 396); in un’altra nota, di poco posteriore, egli prescrive a se stesso di osservare i principi seguenti: «logico-matematica nella condotta generale, simbolismo e realismo nei mezzi» (405). Parlando di «logico-matematica» Gadda sembra avere in mente la tecnica della narrazione «logico-sperimentale» propugnata da Pareto nel Trattato di sociologia. Questa consiste nell’integrare il metodo positivistico-naturalistico della ricerca delle cause con un’indagine volta a stabilire se le presunte cause non siano anche e soprattutto effetti (654). Le teorie che si fondano sulla ricerca causale, dice Pareto,
hanno una parte, che talvolta può essere notevole, la quale concorda coll’esperienza, ma ne hanno pure una che se ne discosta interamente. Il che segue principalmente perché in due modi si trascura l’interdipendenza dei fenomeni, cioè: Iº Dove non si vede che una “causa”, ce ne sono in numero grandissimo; 2º Dove, anche considerandone per astrazione una sola, si pone in relazione di causa ad effetto con altri fenomeni, vi sono invece spesso relazioni di interdipendenza, che dànno origine ad un seguito di azioni e di reazioni. (11)
Vediamo così ribadito anche da Pareto il principio della molteplicità delle cause, corretto da quello dell’interdipendenza di azioni e reazioni da lui precedentemente formulato nel Cours d’économie politique.Gadda, sempre attento alla componente economica dei fatti reali e, si direbbe, affascinato dalla particolare evidenza che nel mondo economico ha il gioco delle relazioni («La realtà economica – scrive nella Meditazione milanese – è quella “che più prontamente reagisce all’errore”», SVP 693), accoglie l’obiezione paretiana e enfatizza l’invito a estendere l’analisi in ogni direzione:
L’ipotiposi della catena delle cause va emendata e guarita, se mai, con quella di una maglia o rete: ma non di una maglia a due dimensioni (superficie) o a tre dimensioni (spazio-maglia, catena spaziale, catena a tre dimensioni), sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti. (650)
Ciò implica il passaggio dalla diacronia del rapporto effetto-causa alla sincronia o, piuttosto, alla extratemporalità delle relazioni logiche e matematiche. Passaggio analogo, in qualche modo, a quello dall’economia tradizionale all’economia pura, la quale rifiuta come astratto lo studio separato dei diversi processi economici partendo dal presupposto che «la capitalizzazione, la produzione e il consumo avvengono congiuntamente». (12) L’analisi deve adeguarsi a questo stato di fatto, il che significa, secondo Pareto, che «tutte le equazioni dell’equilibrio vanno [...] considerate congiuntamente» (Pareto 1971: 208), sebbene un vero e proprio
equilibrio non sia mai raggiunto, giacché, a misura che si cerca di avvicinarsi, esso si modifica continuamente perché si modificano le condizioni tecniche ed economiche della produzione. (177)
Conclusione quest’ultima cui perviene, come già si è accennato, anche Gadda, il quale parla della precarietà di ogni «equazione di equilibrio», dovuta al fatto che «il sistema delle relazioni rappresentato dal funzionamento di oggi è diverso dal sistema di relazioni rappresentato dal funzionamento di jeri» (SVP 657 660).
Un risultato dello studio simultaneo dei fenomeni economici è che «il sistema completo delle equazioni dell’equilibrio» – afferma Pareto – ci illumina «sul senso delle variazioni di certi elementi quando se ne fanno variare altri» (Pareto 1971: 639). E questo si riscontra non solo in economia, ma nel più ampio contesto dei fatti sociali, «la modificazione di uno [dei quali] si ripercuote su una parte più o meno grande degli altri, e con un’intensità più o meno grande» (Pareto 1964: 75). La scienza economica e la scienza della società vertono dunque essenzialmente sull’analisi del meccanismo combinatorio che regola le interdipendenze, e sullo studio degli equilibri che di volta in volta si instaurano tra i diversi elementi. In una nota del Racconto italiano del Novecento si legge:
La combinazione, l’istinto della combinazione è nell’universo. L’equilibrio è l’affermazione cosciente della combinazione, mentre ciò che non sussiste in equilibrio è l’incombinabile, cioè l’irreale. È l’errore.
Dunque: * Concetto della combinazione-possibilità. * Concetto dell’equilibrio e della vicendevole reazione. bene * Concetto della polarizzazione e male. (SVP 407)
La derivazione paretiana di queste proposizioni è evidente (basterebbe a denunciarla l’espressione «istinto della combinazione») (13) così com’è evidente che a Pareto Gadda deve, in senso più lato, il suo approccio analitico e logico allo studio dei fatti: approccio basato sull’identificazione della realtà con un sistema retto dalle leggi della combinazione e dell’opposizione, secondo schemi non dissimili (almeno in alcuni postulati fondamentali) da quelli che caratterizzano la «langue» saussuriana. (14)
Più difficile è accertare le origini della teoria, svolta soprattutto nella seconda e terza parte della Meditazione milanese, della coinvoluzione di sistemi. Non si va molto lontano dal vero se la si collega a influssi evoluzionistici e vitalistici o, piuttosto, ai tentativi di mediazione tra evoluzionismo e strutturalismo organicistico peculiari delle correnti neo-darwiniste del primissimo Novecento. Sicuro è che essa trova più immediato riscontro nella genetica e nella logica matematica che nell’economia o nella linguistica. Particolarmente suggestivo, anche perché indicherebbe non una derivazione ma piuttosto un’anticipazione (a livello “intuitivo”, beninteso), è il confronto che si può istituire tra il principio gaddiano dell’«impossibile chiusura di un sistema» e, nella logica matematica, le teorie dell’«incompletabilità dell’aritmetica formale». (15) Secondo il cosiddetto primo teorema di Gödel (formulato nel 1931), in ogni sistema assiomatico c’è almeno un enunciato che non è deducibile nel sistema, ma soltanto all’interno di un sistema più ricco. È questa l’«intima angoscia», l’«indeterminatezza» di cui, secondo Gadda, soffre qualsiasi «sistema di relazioni espresso dalla conoscenza umana» (SVP 740, 741): perché
ogni sforzo conoscitivo integratore della realtà ha un punto maligno o punto difettoso ove i nodi della costruzione vengono al pettine della critica. (740)
È vero che nel paragrafo da cui sono tolte queste citazioni il «sistema» è fondamentalmente il sistema della «conoscenza umana totale», cioè il sistema filosofico, il che sembra conferire alla teoria un sapore relativistico e storicistico, ma i nomi dei pensatori cui Gadda si richiama, Zenone, Bayle e Kant, ci fanno capire che la proposizione va interpretata in un’accezione fondamentalmente logica. Del resto il sistema filosofico, qualsiasi sistema filosofico è, a causa delle antinomie in esso contenute, solo uno degli infiniti «sistemi in sé ingiustificabili» che si offrono alla nostra osservazione, non diverso, sotto questo rispetto, da un corpus di leggi o da una automobile. (16) Ora, gli «errori di chiusura» di un sistema sono tali «rispetto all’integrazione», (17) possibile solo all’interno di un sistema più comprensivo (SVP 742, 741). L’idea della «coinvoluzione di sistemi significativi» (752) si trasforma così in quella di una «Gerarchia di sistemi»: espressione, questa, caratteristica anche del costruttivismo logico di Gödel. (18) Di costruzione Gadda parla spesso; anzi, la «teoria della molteplicità dei significati» è propri fondata sulla constatazione che ogni più comprensivo e integrante sistema «è [...] una invenzione o costruzione, è un n + 1rispetto al sistema zoppicante n» (755).
Altri paragrafi e altre affermazioni concernenti il funzionamento e la crescente complessità dei sistemi o significati-sistemi (758) possono far pensare a scienziati che vanno dai teorici della Gestalt (19) a Bertalanffy e a Piaget. Ma è bene non indulgere troppo alla tentazione di puntualizzare affinità e concordanze sulla base di semplici coincidenze terminologiche o di proposizioni che nel testo e nel discorso gaddiano restano isolate: (20) soprattutto quando esse paiono conferire una vernice di attualità a idee sorte in un contesto culturale sensibilmente diverso dal nostro. La formula “aggiornata” in cui l’interprete tende spesso a tradurre le teorie e le esperienze del passato (non importa se remoto o recente) è proprio quella di cui i lettori delle generazioni successive non sapranno che cosa fare. Basterà dunque aver suggerito con gli accostamenti fin qui proposti l’ambito epistemologico generale entro cui l’indagine di Gadda, pur fra anomalie e incongruenze, sembra trovare la sua più appropriata collocazione.
In una filosofia che nega soggetto e oggetto (o li ammette soltanto come termini provvisori di una relazione), e studia, invece delle cose, il loro organizzarsi e deformarsi, non c’è posto per una estetica. Se essa deve ignorare l’oggetto e il soggetto dell’arte in quanto tali, può tuttavia interessarsi all’operare artistico, e a quella particolare specie di costruzione deformante che è l’espressione. Essa può, in altri termini, avere delle implicazioni di poetica.
A una prima lettura la Meditazione milanese sirivela, sotto questo profilo, deludente. Le osservazioni e divagazioni che essa dedica, sempre incidentalmente, ai problemi dell’arte, i giudizi su opere e scrittori del passato e del presente, spesso legati a quella «povertà ginnasiale delle citazioni» (I viaggi, la morte, SGF I 577) che non senza civetteria (21) lo stesso Gadda denuncia nei suoi scritti, sembrano la scoria della riflessione che, con risultati tutt’altro che trascurabili, egli aveva iniziato nelle note del Racconto italiano del Novecento e nelle ‘Annotazioni per il secondo libro della poetica’. (22) Come sela nuova opera, limitandosi a riprendere certi temi di Apologia manzoniana (SGF I 679-87) e accogliendo qua e là generiche tirate sull’arte e il dolore o sulla differenza tra creatori e imitatori (appesantite da impennate di patriottica fierezza per il genio di Dante e di Michelangelo), non segnasse, rispetto a quelle prime prese di posizione, alcun passo avanti. La verità è che gli esiti, in questo campo, delle idee maturate da Gadda intorno al dato e al sistema non si trovano nelle pagine della Meditazione milanese ma in quelle del saggio Le Belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche, pubblicato in Solaria nel 1929, che ne costituisce come un’appendice di poetica.
La premessa dell’indagine è nella polemica «questione» (polemica nei confronti della filosofia idealistica) con cui il saggio si chiude:
se l’attività estetica sia realmente prescissa, come da taluni nobilmente è stato affermato, dai momenti che sogliamo chiamar prammatici dell’esser nostro o se nel fondo cupo d’ogni rappresentazione sia ritrovabile ancora quello stesso germine euristico che è la sintesi operatrice del reale. (Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche, SGF I 488)
Le ultime parole suonano precisa conferma di quanto si è detto, e cioè che Gadda, riconducendo, a un’unica matrice il processo della «rappresentazione» e quello della «sintesi operatrice del reale», si muove sul terreno della poetica e non dell’estetica. Ma come si estrinseca, nella speciale «attività» che costituisce il tema e l’oggetto del saggio, «lo stesso germine euristico» che è all’origine della costruzione del reale? Punto di partenza, anche per la deformazione espressiva, sono delle realtà «esterne» (476). Il «preesistente o dato […] offrentesi allo scrittore» è costituito dal
lavoro collettivo, storicamente capitalizzato in una massa idiomatica, storicamente consequenziato in uno sviluppo, o, più generalmente, in una deformazione. (475)
Ora, «lo scrittore [...] rimove e coordina queste realtà date» e «conferisce ad esse quel supersignificato che è il suo modo d’espedirsi» (476). Sull’importanza del preesistente nella costruzione logica, sul carattere imprescindibile del dato (quel «dato empirico che Kant non spiega» – Gadda 1974: 368-69, 189-93 n.), Gadda insiste ovunque nella Meditazione milanese sia questione dell’attività del sistema: «ché non è pensabile di poter sistemare se non un qualche cosa». (23) Su questa nota egli si ferma soprattutto dove tratta della gerarchia dei sistemi:
L’n + 1 è sintesi da n; ma non si può sintetizzare o categorizzare o mettere in ordine se non qualche cosa, anche a costo di crearlo, di inventarlo, questo qualcosa. Sicché il supersistema guarda o si riferisce al sistema. (808)
Il «supersignificato», che secondo il saggio di Solaria è il «modo d’espedirsi» dello scrittore, è il supersistema che nasce dalla deformazione di quel sistema subordinato che è il «dato linguistico preesistente» (SGF I, 476). Senza il quale, Gadda afferma ricalcando l’argomentare della Meditazione milanese, loscrittore non può procedere alla sua «rielaborazione (meglio “coordinazione”)»:
Da poi che accadde con questo verbo “coordinare” ciò che con tutti i transitivi: non si può coordinare se non… un qualche cosa.
Le «pause espressive» o «situazioni espressive», proprie del dato linguistico precedente (si ricordino le «pause» o «situazioni» logiche della Meditazione milanese) «segnanocome il limite inferiore di pertinenza» (477) della coordinazione. «Esse sono nel campo prammatico dell’artista in lavoro, quello che fu ai fisici l’atomo, che oggi è l’elettrone o che altro»; e come nella Meditazione milanese (SVP 714) si dice dell’atomo, il limite che esse oppongono alla elaborazione artistica è arbitrario e removibile, ciò che sappiamo essere vero di ogni situazione logica.
Introducendo il tema della removibilità di questo limite, Gadda passa da quella che egli chiama la tesi (fondata sulla constatazione della imprescindibilità del dato) alla antitesi del saggio. Secondo quest’ultima, lo scrittore può respingere «tutti o alcuni» degli elementi confluiti nel dato, «ricreando “ab imo” la pausa espressiva» (Le belle lettere, SGF I 485) in essi realizzata. E ciò o perché egli decida di assumere una posizione «volutamente, consciamente evasiva» rispetto ai risultati raggiunti e codificati nel linguaggio, «o [perché] li riassuma nello scorcio della prospettiva o [perché] li releghi nell’indistinto, o [perché] loro deneghi validità nell’affermazione di contrastanti valori» (486). Gadda ammette la plausibilità delle quattro motivazioni, anche se è soprattutto l’ultima (sulla quale si diffonderà molti anni dopo, in Fatto personale.... o quasi, SGF I 495-501) a destare, con quel tanto di antimoralistico (o di moralistico) che essa implica, il suo interesse. Pure, in assenza di una sintesi, si direbbe che la tesi nel saggio prevalga nettamente sull’antitesi, i cui postulati e argomenti vengono accompagnati dall’invito a procedere in questa direzione con la massima prudenza («la disgregazione e la successiva e nuova integrazione del materiale primo sia motivata»). Tutto l’articolo di Solaria inoltre è centrato, come dice il titolo, sui «contributi» che le «tecniche», cioè le esperienze assommate nel linguaggio, possono dare alle «belle arti»; (24) e il consiglio di rispettare e di utilizzare tali contributi, che è poi quello di prendere dalla «vita» termini e modi espressivi («già il soldato, prima del poeta, ha parlato della battaglia, e il marinaio del mare e del suo parto la puerpera» – Le belle lettere, SGF I 488) ha come presupposto fondamentale l’idea della mimesis, da cui Gadda non si discosterà mai. Sorge però all’interno di questo presupposto il vero problema. L’arte è rispecchiamento, sta bene. Ma rispecchiamento di che? Gadda è fin troppo consapevole del fatto che il dato, come egli lo pensa, ben poco ha a che vedere con il tradizionale oggetto della mimesis:
Questo dato, vi ho insistito in principio, non concepisco come un quid certo, irremovibile, secco (fico secco – mummia ultrasecca) ma come una pluralità deformabile dallo stesso processo conoscitivo. È questa un’idea che mi stacca nettamente dalle consuetudini della indagine. (Meditazione, SVP 667)
Né le cose cambiano quando, invece che di dato, egli parla di vita,
poichè la vita è il differenziarsi e il rifrangersi de’ motivi per entro i motivi, in situazioni infinite e nucleate ciascuna in un attimo. (Le belle lettere, SGF I 488)
In quest’ultima frase è soprattutto il verbo «differenziarsi» a chiedere la nostra attenzione. Di «differenziazione», di «divergenza», si parla spesso nella Meditazione milanese, non senza richiamare l’origine darwiniana del concetto. Ma per cogliere il senso, ricco d’ogni sorta di implicazioni, che esso acquista nel pensiero di Gadda, bisogna tener presenti altri suoi testi, saltare addirittura a esaminare quello che egli ha definito il «tema essenziale» del Pasticciaccio. (25) Qual è il dramma di Liliana Balducci? Il suo male viene diagnosticato dal commissario Ingravallo come
psicosi tipica delle insoddisfatte, o delle umiliate nell’anima: quasi, proprio, una dissociazione di natura panica, una tendenza al caos: cioè una brama di riprincipiar da capo: dal primo possibile: un “rientro nell’indistinto”. (Pasticciaccio, RR II 105)
... «rientrare nell’indistinto, rispetto alla differenziazione gloriosa che ci eravamo proposti» – si legge nella Meditazione milanese (26) – è piegarsi «alla totale insipienza del caso o per meglio dire alla richiesta che l’optimum della totalità fa a nostro riguardo». Il caso e la sua insipienza si identificano nel romanzo con il torbido mondo delle serve-nipoti, nel quale Liliana cerca un compenso alla sua mancata maternità: ci penserà poi il coltello dell’assassino a ristabilire, recidendo l’inutile pianta, l’«optimum della totalità». Il migliore dei mondi possibili o, più semplicemente, il nuovo equilibrio (per non discostarci dalla terminologia fin qui usata) viene realizzato così attraverso una differenziazione che è lungi dall’essere «gloriosa» come quella sognata da Liliana, ma è invece atipica, straordinaria, «spastica». Ci sono infatti degli individui i quali:
si differenziano o divergono a tal segno […] che mal si riferisce la loro eccezionale divergenza a una direzione o criterion medio.
Ce ne offre un esempio «il piacere che prova un sàdico». Esso
è un’estrema divergenza, dovutaprobabilmente a ingiurie estreme arrecate alla genesi (anche lontana) di quell’anormale dal tessuto della realtà. Egli chiede alla realtà il ristabilimento o ripristinamento e lo chiede in forma spastica, angosciosa, folle, mortale, mostruosa. (27)
Della teoria gaddiana dell’uso spastico della lingua si è già discusso altrove, e non è il caso di tornarvi in questa sede: se non, forse, per sottolineare come tale procedimento o fenomeno, costituisca un caso particolare di differenziazione, secondo uno schema identico a quello che si osserva nella «realtà». L’accenno, nella Meditazione milanese, a una «divergenza espressiva» (Gadda 1974: 415, 344-45 n.) sembra confermarlo, implicitamente anticipando quanto Gadda scriverà più tardi circa il «gioco definitore o disgiuntore» (Fatto personale, SGF I 496) della maccheronea: gioco «definitore», va precisato, perché «disgiuntore». Non si deve dimenticare che il concetto di differenziazione, se rimane legato in Gadda a premesse darwiniane, (28) tende spesso ad assumere una precisa connotazione logica: esplicitata dal ricorrente discorso sulla polarità come «intrinseca differenziazione dell’essere, implicante coesistenza logica» (Meditazione, SVP 664).
Esprimersi significa comunque inseguire, e al tempo stesso attuare il reale nelle sue disgiunzioni, coglierlo e produrlo nella sua «frenetica differenziazione» (882). Come nei precari e febbrili equilibri delle relazioni «reali» gli oggetti esterni acquistano e subito perdono confini e identità, la rappresentazione, in cui si attua la stessa «sintesi operatrice» che dà vita al reale, si organizza e si deforma in una spastica tensione. Così si spiegano certi fenomeni espressivi che sembrano esulare dalla norma e che sono di fatto antichi come la letteratura. (29) Anzi essi non sono, a rigore, specifici della letteratura: il saggio di Solaria sui contributi delle tecniche è un elogio del linguaggio degli «esperti» (del soldato, del marinaio, della puerpera), i quali «conoscono le possibilità spastiche e astrattive della espressione» (Le belle lettere, SGF I 481) e sanno benissimo attingere il supersignificato o supersistema cui tende lo scrittore. A leggere certi giudizi, sembra che Gadda ribadisca la vecchia teoria di chi vedeva nelle Halles il regno della metafora. Ma egli non crede affatto che l’origine del linguaggio sia da ricercarsi solo nel popolo: la lingua «nasce dal popolo come nasce anche dai cavalli, che col loro verso ci hanno suggerito il verbo nitrire» (Lingua letteraria e lingua d’uso, SGF I 490).
In realtà, se la lingua è «specchio del totale essere, e del totale pensiero», il linguaggio di cui si parla nel saggio di Solaria, quel dato o preesistente che lo scrittore deve coordinare, è «così vasta designazione, da poter disgiungere in esso, come fibre in un tronco, motivi e fatti per lor natura distinti, e talvolta disparatissimi»: psicologia e storia, tecnica e scienza nei loro dettagli, nelle loro «divergenze» infinite. «Si va insomma da una gnoseologia alla “questione della lingua”» (Le belle lettere, SGF I 476) Come coordinare, tante relazioni? Il problema è insito nel postulato da cui muove tutta la riflessione di Gadda: se il dato è «qualcosa di non semplice in sé», se ogni sistema è fatto di sottosistemi e così all’infinito, coordinare questo «qualcosa» significa tener conto di un numero praticamente illimitato di fatti, e registrare le infinite relazioni che essi sottendono. A Gadda non sfuggono i rischi e la sostanziale impraticabilità del programma. Lo scrittore rischia di essere sommerso dalla ricchezza del dato:
come se al buio botteghino d’un allampanato “bouquiniste” arrivassero a un tratto quaranta furgoni di Gondrand carichi d’ogni montagna di casse e di cubi, da non saper più dove incantonarli. (478)
Negli anni della Meditazione milanese e del saggio di Solaria la fiducia nella capacità della mente di dipanare la matassa del reale non è ancora venuta meno in Gadda; ed egli respinge «la deviazione o deformazione possibile del suo pensiero», che sa «gravida d’un mostruoso parto: lo scrittore Larousse». La coordinazione è, a suo avviso, possibile perché «esiste (kantianamente) una attività nucleante che […] dispone il reale raggrumandolo» (Meditazione, SVP 651): si tratta della «percezione o coscienza», la quale «è il sistema, è il mettere in ordine il mondo» (826-27).
La formula «mettere in ordine il mondo» ricorre più volte nei suoi scritti filosofici e giovanili, ora in un’accezione etica e parenetica, ora nell’accennato senso kantiano. Sono i«princìpi esprimenti le operazioni della coscienza […] che “eseguiscono” l’impalcatura del mondo, che “mettono in ordine” il mondo». (30) Solo che per Kant questi princìpi o forme sono a priori e immutabili, mentre nel costruttivismo gnoseologico gaddiano essi variano a ogni successiva situazione logica. Se cambiano i significati delle parole, non è soltanto per ragioni storiche:
Le frasi nostre, le nostre parole, sono dei momenti-pause (dei pianerottoli di sosta) d’una fluenza (o d’una ascensione) conoscitiva-espressiva. (31)
Noi sappiamo che ogni pausa, ogni situazione espressiva è un sistema nella genealogia dei sistemi. Ma sappiamo pure che questo sistema non è chiuso; anzi, «il problema dell’espressione non sembra potersi disgiungere da un riferimento alla totalità» (I viaggi, la morte, SGF I 580). Anche in sede di poetica l’idea di “ascensione” sfocia dunque, fatalmente, in quella di totalità, che trasforma il sistema in pasticcio. Ma sebbene l’ombra dello «scrittore Larousse» continui a incombere sulle sue proposizioni, il giovane Gadda non cessa di credere nella cosciente, vittoriosa coordinazione dell’artista-espressore; e nel saggio di Solaria tutto tende a sottolineare, nel lavoro letterario, il fattore intenzionale. L’avverbio «volutamente» torna con insistenza a puntualizzare il carattere razionale, costruttivo dell’elaborazione espressiva dello scrittore (Le belle lettere, SGF I 486-87), che proprio per questa consapevolezza (e non per i procedimenti adottati) si distingue dal tecnico». Né ciò deve stupire, dal momento che, almeno nel caso previsto dall’antitesi,
il compito del disintegrare e del ricostruire l’espressione emana dalla funzione stessa della conoscenza: è euresi, è attività connaturata alla costruzione gnoseologica. (487)
La Meditazione milanese testimonia perplessità e rivela dubbi che finiranno per avere ragione di questa fiducia nel potere coordinatore della mente. «Il magma – vi si legge – difficilmente si può incanalare». (32) Ma per il momento Gadda insiste nel tentativo di «organare il groviglio conoscitivo» (SVP 742) e di tradurre il caos in sistemi. Perfino nei paragrafi che trattano dell’etica, nei quali si fa ripetutamente strada il pessimismo legato al tema della negazione, il male è spesso visto come imprevidenza, come evitabile errore. A ciò contribuiscono lo spirito pragmatico, l’amore della concretezza, la diffidenza verso ogni forma di alibi morale, in una parola il buon senso che impregna di sé le pagine di una meditazione, sotto questo aspetto, veramente «milanese». Gadda indulge ai paradossi, è vero, o predica l’onore, la patria, l’eroismo, ma sempre con l’aria di raccomandare che, per carità, questi princìpi e «ideali» non restino vuote parole sotto le quali si nascondano l’inefficienza, la retorica, i conti che non tornano. Un giorno tutte le illusioni vaniranno, e inadeguati e impropri si riveleranno gli schemi e i programmi di comprensione e di coordinazione del reale. Ma ora egli è fermo nel proposito di non deflettere dalla sua lucida, ostinata ricerca: «io dissi:… “metter in ordine il mondo”» (Gadda 1974: 372-73, 157-58 n.).
Il lettore che prova disagio di fronte a queste dichiarazioni e a questi atteggiamenti – poco consoni, senza dubbio, con i princìpi e le poetiche che oggi hanno corso – non ha che da sfogliare, per rinfrancarsi, i frammenti narrativi di quegli anni. Prima o poi si imbatterà in pagine che rivelano il sempre vivo impulso dello scrittore, in Gadda, a confutare o a «beccare» il filosofo. «Il nostro volere non è che un’apparenza, con cui crediamo di avvisare e mettere in ordine il mondo» (RR II 1051), si legge in Novella seconda, un testo coevo della Meditazione milanese. Accingendosi a raccontare la storia di Denira Classis, condita di ogni genere di riflessioni e controriflessioni, Gadda scrive: «Mi par di vedere l’umanità cambiare stile dall’oggi al domani, per effetto delle nostre seguenti proposizioni» (1041). Né mancano puntate in questa direzione nel corpo stesso della Meditazione milanese, dove la finzione del dialogo con il critico e le obiezioni che questi muove all’autore sono qualche cosa di più che una semplice eco di Leibniz o di Galilei. Per non parlare poi delle «cattive facezie» che Gadda, nella nota finale della prima stesura, dice di voler espungere dal testo (SVP 850). Le «facezie», buone o cattive che siano (qualcuna, forse, è realmente «cattiva», e avrebbe potuto essere eliminata senza danno), svolgono una funzione molto precisa nell’economia generale dell’opera, contribuendo a realizzare sul piano del. linguaggio quella «dissociazione critica» che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Autore (Gadda 1974: 316-17; 342-43, 67-71 n.). Lo dimostrano i paragrafi della seconda stesura, nei quali Gadda si è guardato bene di attenuare il carattere bizzarro ed eteroclito della composizione. Alla fine del primo di essi si premura anzi di avvertire che nel corso dell’opera il lettore inciamperà in «erbacce mal germinate» e che «il nesso tra un paragrafo e l’altro soffrirà per avventura alcuna soluzione di continuo» (SVP 865). In nessun caso egli avrebbe rinunciato ai modi compositi della sua scrittura, alle divagazioni autobiografiche, agli spunti satirici e comici, all’erratica e talora aberrante esemplificazione. E non c’è dubbio che qualora egli avesse tentato di collocare, nel 1928, la Meditazione milanese presso un editore, questi caratteri e la singolarissima qualità dell’eloquio, oscillante tra Spinoza e D’Annunzio, tra le Operette morali e Il Travaso, lo avrebbero esposto a serie, forse insuperabili difficoltà.
Oggi invece, per chiunque abbia familiarità con la sua scrittura, queste dissonanze costituiscono l’aspetto meno inatteso del libro. La vera sorpresa situandosi sull’altro versante, quello della serietà e ingegnosità dell’impianto speculativo. L’impegno e il talento dimostrati da Gadda anche in questo campo spiegano perché l’artista, in lui, non si diverta sempre a beccare il filosofo, ma ne ascolti spesso 1a voce e gli sia anche, di molto, creditore: lo dimostrano i temi e la costruzione dei suoi racconti, e, più esplicitamente, gli appunti compositivi di opere come il Racconto italiano del Novecento o La cognizione del dolore. (33)
Parrebbe anzi che nel decennio 1920-30 la filosofia sia stata più d’una volta sul punto di soverchiare la letteratura nella mente e nelle preoccupazioni di Gadda: anche se, a guardare le cose un po’ da presso, la questione si presenta più intricata. Qualche dato e qualche documento potranno giovare a rendere il discorso meno generico.
Di letture filosofiche ci sono già tracce nel Giornale di guerra e di prigionia. (34) Gli interessi che esse riflettono si traducono, dopo il ritorno di Gadda in patria, in una decisione concreta. In un frammento inedito di diario, del 5 gennaio 1925, si legge:
La crisi filosofico-universitaria risale per altro al 1919: quando, con Tecchi, mi informai alla Segreteria dell’Accademia se potevo inscrivermi in Filosofia, ed a che corso. Al 2º soltanto, perché allora non ero ancora ingegnere: (laurea di ingegnere 14 luglio 1920). Allora rinunciai, anche per motivi economici: tre anni senza guadagnare erano troppi. – Rinunciai allora con dolore. Mi inscrissi dunque nel ’22:ma poi irrequietudinee America. (35)
Rientrato dall’Argentina, e pur lavorando come ingegnere, Gadda supera uno dopo l’altro tutti gli esami del corso di laurea in filosofia (ma la tesi su La Teoria della conoscenza nei «Nuovi saggi» di G.G. Leibniz, concordata con Martinetti e successivamente approvata da Banfi, resterà non finita nel cassetto). Il diario del gennaio 1925 insiste sulla non casualità della decisione presa:
Questo è una prova che l’«ictus philosophandi» era già vivo in me e aveva già condotto la mia sgangherata persona a manifestazioni esteriori. Vivo era d’altronde fin dal liceo, fin dal ginnasio. (36)
Nella stessa occasione parla con accenti accorati di quella parte del proprio spirito che i nuovi studi sembrano sacrificare:
L’impeto «poetico», veramente «poetico», della mia adolescenza, che, se fosse stata sana avrebbe prodotto «ogni virtù», si è attenuato. Il mondo logico-critico e filosofico sta sovrapponendosi al mondo estetico. (37)
Ciò non gli impedisce di progettare e di scrivere romanzi e novelle. Ma se dobbiamo credere a quanto afferma in un testo di qualche mese più tardi, Gadda in questo periodo attribuisce ormai alla propria attività letteraria un ruolo quasi marginale:
fino al 26º-27º anno la mia vita interna è stata dominata dal fattore estetico. Alcuni «incidenti» dolorosi e le preoccupazioni materiali hanno spezzato questa simpatica tirannide e il despota è diventato un cittadino qualunque. (38)
A prescindere dagli «incidenti», sembra essersi maturata in lui la convinzione che diversa è la sua vocazione più profonda. L’«impeto poetico» dell’adolescenza non si era forse sovrapposto a un più antico bisogno di disciplina intellettuale e di metodo?
Tecnicamente la mia mentalità deve la sua prima formazione all’analisi logica e alla sintassi latina del ginnasio. (39)
Questa mentalità non gli impedì di fare le prime prove nella lirica e nel racconto, né di aprire con il Giornale di guerra e di prigionia la lunga e multiforme serie delle scritture autobiografiche. Ma anche in questi testi un lettore attento ravvisa un abito riflessivo e analitico che proietta sulle fresche immagini e sensazioni della giovinezza l’ombradel «mondo logico-critico». Lo stesso Gadda tende a confondere nella memoria l’una e l’altra esperienza evocando, anni più tardi, «i bei sogni filosofici di mia primavera, fiorita di calcolo differenziale» (Gadda contro Gadda, SGF I 752). Quando scrive queste parole, egli ha, già da qualche anno, cessato di occuparsi di filosofia. Con la Meditazione milanese sichiude infatti il periodo della sua più intensa attività speculativa: la redazione di questo saggio ha arricchito ma anche liberato lo scrittore, che potrà ora dare corpo ai fantasmi della sua immaginativa senza più rischiare di vederli, come nel Racconto italiano del Novecento, sopraffatti dai problemi e dalle obiezioni della sua coscienza critica.
La Meditazione milanese non costituisce un unicum nella produzione di Gadda. Essa era stata preceduta (e sarà, in misura assai minore, seguita) da altre brevi «meditazioni», da «abbozzi», da appunti che documentano la lenta e coerente elaborazione del suo pensiero e del suo metodo. (40) I frutti di questa stagione filosofica egli non li rinnegherà mai, e vi farà anzi più d’una volta riferimento, anche a distanza di decenni, in termini che suonano conferma della certezza, espressa nella già ricordata conclusione della Meditazione milanese, di essere approdato con la sua «facile e popolaresca» (SVP 622) discussione a risultati forse limitati e provvisori ma non irrilevanti: (41) «sembravano banalità. Non erano banalità», dirà nel Pasticciaccio delle «teoretiche idee» del commissario Ingravallo (RR II 16).
Affermare che Gadda ha riversato nei romanzi e nei racconti gli esiti della sua riflessione, o ha demandato ai personaggi di gestire tesi o concetti è formulare un giudizio sommario e parziale; anche se non c’è dubbio alcuno che egli abbia inteso servirsi della narrazione, e più specialmente degli intrecci («Che l’intreccio non sia di casi stiracchiati, ma risponda all’“istinto delle combinazioni”» – Racconto, SVP 460), per tradurre in finzioni e in immagini la sua concezione logico-combinatoria della realtà. «Io voglio esprimere artisticamente questa verità filosofica», dice in una nota del Racconto italiano del Novecento (405) accennando al rapporto dialettico, di opposizione «polare», tra normalità e anormalità, che è uno dei temi del romanzo. Dichiarazioni di questa specie, nelle note costruttive dei suoi testi narrativi, sono tutt’altro che rare. (42) Ma capita di osservare che le verità filosofiche da trasporre nell’opera letteraria siano, a loro volta, elaborazioni logiche di esperienze e di intuizioni già registrate in testi letterari precedenti, soprattutto in poesia. Se i versi e le immagini presi a prestito da composizioni giovanili e incastonati nella prosa della Meditazione milanese hanno talvolta l’indubbia funzione di «abbellire» e liricizzare un’opera che non vuole essere un «contributo astratto alla teoria della conoscenza», ma intende rimanere «largamente intinta de’ cattivi attributi di psicologica, storica, autobiografica, empiristica, ecc.» (SVP 623), in altri casi il rapporto di quei versi e di quelle immagini con il nuovo contesto non è così estrinseco: si nota infatti più volte che la riflessione filosofica, quando non sia già in qualche modo implicita nei testi lirici più antichi, è sorta a margine, o come sviluppo analitico e logico, di precedenti intuizioni. (43)
Le numerosissime postille di Gadda alle opere dei suoi autori Prediletti, Leibniz, Spinoza e Kant, o a quelle di studiosi e storici della filosofia suggeriscono analoghe considerazioni. Anche qui il rapporto che egli istituisce, o che progetta, tra la «filosofia» (la filosofia o l’opera filosofica altrui, questa volta) e il proprio lavoro letterario è spesso accidentale. Leggendo, per esempio, nella traduzione francese di Barni della Critica della ragion pura, quanto Kant dice della libertà che ha l’uomo «de commencer tout à fait de soi-même une série d’événements» (indipendentemente dalle cause naturali e anche contro di esse), Gadda scrive a lato: «frase poetica e bella – notare per mio Romanzo». (44) Ma molti marginalia denunciano un diverso tipo di relazione tra la pagina letta e l’opera o l’esperienza del chiosatore: e sembrano testimoniare che la lettura è stata occasione di conferma e di approfondimento di una antecedente «scoperta». Secondo Fichte, afferma Paul Duproix, buon discepolo è quello che gode «à embrasser les choses dans leur liaison». Gadda, sottolineata in questa frase (che sinteticamente esprime uno dei temi fondamentali della sua filosofia) la parola liaison, postilla: «Vero – miei ricordi Ginnasio e Politecnico». (45) In un’altra nota a un passo dell’«Analitica trascendentale» in cui Kant analizza il rapporto tra il reale e il possibile, Gadda scrive: «Mie idee. Già da tempo ero pervenuto a conclusioni simili – Mio romanzo». (46) I marginalia che, come questi, rimandano alle proprie «idee» ed esperienze sono tanto numerosi da rendere plausibile l’ipotesi che lo studio della filosofia sia stato, almeno fino a un certo punto, più la ricerca di una verifica che un’indagine astratta o un apprendimento.
Questa nativa e prepotente disposizione all’analisi, questo alternarsi e intersecarsi di osservazione e di riflessione, di intuizione e di teorizzazione nella mente di Gadda, rendono futile qualsiasi discorso sulla priorità della «filosofia» rispetto alla «letteratura» o viceversa. Per chi in Gadda studi la «letteratura», la presenza accanto ad essa della «filosofia» non indica un prima o un al di là della «letteratura» quanto piuttosto l’estrema consapevolezza dei problemi conoscitivi sottesi alla «deformazione» espressiva, allo scrivere. Ciò non significa che in un’analisi delle sue opere, si debbano privilegiare il momento della progettazione e l’«Autocoscienza del lavoro» (a questo tema è dedicata un’importante nota del Racconto italiano del Novecento, SVP 406-08). La stessa Meditazione milanese ci mette in guardia contro ogni semplificante «astrazione» critica; (47) e di riflesso, senza che Gadda se ne avveda, contro certe sbrigative o interessate definizioni che egli dà del suo modo di intendere e di attuare la «rappresentazione». Non saremo così ingenui da prestargli ascolto quando, per esempio, vuol farci credere che tutto è lucido e coerente nella sua mente, e che perfino la sua collera è «esplosa e per dir così rampollata dalla fonte stessa del raziocinio» (L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, RR I 762).
Ma il suo «raziocinio» non lo prenderemo neppure sottogamba, come troppo spesso è avvenuto fino a oggi. Gadda è forse l’unico scrittore italiano di questo secolo, le cui opere, i cui sistemi di motivi, di rapporti, di temi debbano il proprio statuto teorico a una ricerca fondamentalmente autonoma. Dopo il 1930, quando egli cesserà di occuparsi attivamente di filosofia (salvo che per redigere qualche nota, qualche recensione), altre preoccupazioni e nuovi, determinanti influssi si affiancheranno al nucleo di idee e di problemi che aveva trovato espressione nei quaderni della Meditazione milanese. Ma di quelle idee e di quei problemi tutto il suo lavoro successivo reca la traccia indelebile. Alterati, sviluppati, stravolti da cento altre esperienze, essi rimarranno stabile patrimonio della sua coscienza e fonte inesauribile di spunti e di suggestioni per i libri a venire. Mentre la più parte dei contemporanei cedeva all’ecofrastornante di sempre nuove retoriche e ideologie, Gadda restava tenacemente fedele al mondo di concetti e di postulati, di «fissazioni» e di ipotesi che negli anni della giovinezza studiosa e inappagata egli aveva metodicamente costruito, «nel silenzio, per gli stipendi di nessuno». (48)
Note
1. SVP 662. Il corsivo è mio.
2. In SVP 757, n. – Gadda sembra ammettere l’esistenza di sistemi non coscienti. Ma cfr. p. 759, n.
3. Cfr. SVP 663 («La realtà difficilmente noi raggiungiamo […] talora dall’una o dall’altra»).
4. F. de Saussure, Cours de linguistique générale, publié par Ch. Bally et A. Sechehaye (Paris: Payot, 1965), p. 125.
5. Saussure 1965 : 126. Ma cfr. anche p. 135.
6. L’«inconosciuto sistema» esteriore di cui si parla nel § Iº (I) è più un mero «termine di riferimento» (SVP 861-62; 628-29), una «posizione antitetica al dato» (862), che un «caos» da organizzare in un’«ascensione di sistemi» secondo lo schema costruttivistico dei §§ VII e XVI, e non sembra possibile identificare l’uno con l’altro.
7. SVP 748 (il corsivo è mio). Altrove Gadda parla di «flusso teoretico pulsante per attimi» (868), di «pulsare della molteplicità» (650), di «pulsante palpito» della realtà (670), della realtà pensata «come pulsazione oggettiva» (676), dell’«andare altrove (in senso logico) della pulsante realtà» (758), e ancora della realtà come «pulsante deformazione» (776).
8. La poesia è stata pubblicata in Studi in onore di Leone Traverso, Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura, XLV, nuova serie B, n. 1-2, 1971, pp. 384-86. Cfr. Gadda 1993a: 20-22.
9. Per rendersene conto basta scorrere la tesi di laurea di un altro grande scrittore-ingegnere, Robert Musil, pubblicata di recente anche in italiano – Sulle teorie di Mach, traduzione di M. Montinari (Milano: Adelphi, 1973). Ma non va dimenticato, in questa direzione, neppure il convenzionalismo di Poincaré, cui Gadda esplicitamente si richiama (SVP 707).
10. Parlando dell’«indépendance relative des lois d’équilibre par rapport à celles de développement», Jean Piaget – Le Structuralisme (Paris : PUF, 1972), p. 65 – scrive: «Saussure a tiré à cet égard une partie de son inspiration de l’économie qui, à son époque, insistait surtout sur les premières (avec Pareto à la suite de Walras), et où effectivement les crises peuvent conduire à un remaniement complet des valeurs indépendamment de 1eur histoire (le prix du tabac en 1968 dépend de l’interaction des marchés actuels et non pas de ce qu’il était en 1939 ou en 1914)».
11. V. Pareto, Trattato di sociologia generale (Milano: Edizioni di Comunità, 1964), II, p. 299.
12. V. Pareto, Corso di economia politica, edizione italiana a cura di G. Palomba (Torino: Utet, 1971), pp. 206-07. Il corsivo è mio.
13. All’«Istinto delle combinazioni» sono dedicati i §§ 889-990 del Trattato di sociologia generale.
14. Si osserva incidentalmente che, al di là delle concordanze epistemologiche e di metodo, una sottile affinità di cultura, forse psicologica, unisce Gadda a Pareto: basti pensare allo spirito enciclopedico e continuamente divagante che caratterizza discussioni e narrazioni in entrambi gli scrittori.
15. Cfr. W.C. e M. Kneale, Storia della logica (Torino: Einaudi, 1972), pp. 817-29.
16. SVP 743. Il corsivo è mio.
17. Di «integrazione» si è molto parlato nella filosofia dell’Ottocento: in un’accezione cosmologico-costruttiva da Spencer, psicologia da Ardigò e logica da Rosmini: Gadda sembra aver trasfuso nel suo concetto qualcosa di tutti questi significati.
18. Cfr. S. Papert, Méthodes techniques et problèmes épistémologiques, in Logique et connaissance scientifique, a cura di J. Piaget (Paris: Gallimard, 1969), p. 433.
19. Il principio del «lavoro minimo», della «via più breve» che conduce da un equilibrio all’altro è, come Gadda ci ricorda (SVP 772), un principio di derivazione leibniziana, ma esso viene reinterpretato nella Meditazione milanese in una diversa chiave logica che lo avvicina a quello gestaltista della miglior forma possibile ottenuta con la minima azione.
20. La più naturale per un lettore dei nostri giorni è ovviamente di accostare la teoria della «molteplicità dei significati del reale» (sganciata dalla sua prospettiva costruttivistica) a quella della pluralità dei sensi nel messaggio poetico e, in generale, nel linguaggio.
21. è «per diletto di luoghi comuni» (SVP 893) che egli dice di ricordare testi e fatti ultranoti della storia letteraria. A parte la civetteria, è vero che in fatto di letteratura Gadda è stato sempre un uomo di eccellenti e solide letture classiche piuttosto che un goloso scopritore.
22. Frammenti e abbozzi di un’opera con questo titolo occupano in Cahier d’études, II, ff. 144v-54r,e in Cahier d’études, III, ff. 41v-45r. Non datati, sono certamente anteriori alla Meditazione milanese.
23. SVP 750. Il corsivo è mio.
24. Già le Annotazioni per il secondo libro della poetica prevedevano un «paragrafo della tecnica (notarile, ingegneresca., ecc.)» – Cahier d’études, II, f. 153r.
25. «Tema essenziale [del romanzo] è il dramma della non ottenuta maternità in una donna – moglie – che perviene alla disperazione e alla rovina della mente in una terra e fra un popolo dove le speranze legate al connubio sogliono per lo più allietarsi a certezza di prole rinnovata» (Incantagione e paura, SGF I 1214).
26. SVP 640-41. Il corsivo è mio.
27. SVP 799. I corsivi sono miei.
28. Anche quando discute di fatti della lingua: «dal francese marmiton (sguattero) al milanese marmotôn (infingardo, pigrone, ciccione melenso) corre fuor di dubbio un divario, un “divario di parentela” tuttavia, quello chenella storia biologica, per organi o tessuti di comune origine che si sono poi separati e distinti nella funzione, si suol chiamare divergenza» (Il terrore del dàttilo, SGF I 517-18). Di una «differentiation» nella storia del linguaggio parla Spencer in First Principles, §§ 123-24.
29. L’«accezione “spastica” della parola, suggerita da Orazio nell’arte poetica» è stata, Gadda ci ricorda, «praticata da tutte le scuole un po’, fino ai dì nostri» (Lingua letteraria e lingua dell’uso, SGF I 492-93).
30.La Teoria della conoscenza nei Nuovi Saggi di G.W. Leibniz (Milano, maggio 1929), f. 7r. Cfr. Gadda 1974: 422.
31.Come lavoro, SGF I 437. Il corsivo è mio.
32.Meditazione, SVP 735. Non mancano inoltre prove del nascente interesse di Gadda per l’inconscio: «Errore di credere che tutto sia sistematico, deliberato dal Parto della Volontà deliberante. Quando canterello un motivo senza pensarci, io agisco quasi come automaton» (750, n.). Nove anni più tardi Gadda arriverà a parlare dell’«inconscio che governa l’espressione» (Postille a un’analisi stilistica, SGF I 821).
33. Basterà scorrere le note di questo volume [Gadda 1974 – n.d.e.] per trovare esempi – oltre a quelli indicati nella presente introduzione – di tale debito e dipendenza.
34. «Ho per le mani un libro filosofico di Troilo: Il positivismo e i diritti dello spirito, opera di cui non posso ancor dare un giudizio» (21 maggio 1918); «Lessi anche un po’ (Correnti di filosofia contemporanea;pubblicazione di conferenze di filosofia teoretica, morale, ecc. e di vario argomento, a cura di un circolo d’alta cultura genovese)» (31 maggio 1918 – SGF II 788, 793).
35.Cahier d’études, III, f.5r.
36.Ibid., f. 4v.
37.Ibid., ff. 3v-4r.
38.Abbozzi di temi per tesi di laurea, f. 1r – cfr. Gadda 1974: 421.
39.Ibid.
40. Alcuni di questi testi sono stati utilizzati nelle note in Gadda 1974 (vedi Abbreviazioni, I); altri, come la «meditazione» sull’impreveduto cui si accenna in § XII (SVP 720), sono da considerarsi perduti (cfr. Gadda 1974: 320).
41. Noto è l’accento al «cuòfeno ’e “meditazioni filosofiche”, non totalmente spregevoli» in Intervista al Microfono (SGF I 502).
42. «Verità filosofiche» Gadda cerca anche, in quegli anni, nelle opere e nel io di altri scrittori: «Siamo già [in Baudelaire] al di là della tecnica espressiva alle soglie di una chiarezza filosofica di cui non mancano accenni nel poeta di Correspondances»; «Anche qui [in Le Bateau ivre di Rimbaud] la tecnica espressiva è avvalorata da un’intuizione di ordine filosofico» (I viaggi, la morte, SGF I 566, 575).
43. Per degli esempi di questo fenomeno cfr. Gadda 1974: 388 (231-40 n.), 414 (286-94 n.), 417 (529-37 n.)
44. Postille a E. Kant, Critique de la raison pure, traduction J. Barni revue et corrigée par P. Archambault (Paris: Flammarion, s.a.), II, p. 92 – Gadda allude al Racconto italiano del Novecento. Cfr. Gadda 1974: 422.
45. Postille a P. Duproix, Kant et Fichte et le problème de l’«ducation (Genève: Georg & Cie, 1895), p. 190 – cfr. Gadda 1974: 422.
46. Postille a E. Kant, Critique de la raison pure, p. 246.
47. Nessuna teoria della critica è esplicitamente formulata nella Meditazione milanese. Sulla base dei rari cenni in questa direzione che l’opera contiene, e seguendo le linee generali del discorso metodologico di Gadda, essa potrebbe forse essere ricostruita nei termini seguenti. Poiché tutto è sistema, anche le composizioni degli scrittori lo sono; ma, si badi bene, esse sono «sistemi reali» e non finzioni logiche come il gioco degli scacchi. Di tali sistemi, come di tutti i sistemi reali, noi possiamo arbitrariamente fissare i confini, «in base al grado di approssimazione dell’analisi che ci interessa di istituire» (SVP 648); ma a patto di non dimenticare le «infinite relazioni apparentemente esteriori» che ad essi pertengono (814). Cadremmo altrimenti nell’errore di coloro che credono «nelle Georgiche pacco postale, nato per sé, vivente in sé, avulso da tutto, chiuso nella scatola buia del singolo» (889). Un testo rimanda invece «ad altro, ad altro, infinitamente ad altro» (645). Che cosa è l’«altro» di un testo? Sono, ovviamente, altri sistemi, cioè i progetti e gli appunti che ne hanno preceduto la stesura, i testi ad esso anteriori o posteriori dello stesso autore, le lettere che egli ha scritto e quelle che ha ricevuto, la psicologia e la vita dei suoi corrispondenti, i fattori familiari e sociali che hanno condizionato questa psicologia e questa vita, l’ambiente storico e culturale che sta dietro ai fattori familiari e sociali, il mondo geografico e fisico che ha determinato l’ambiente storico e culturale, ecc. ecc; e inoltre: il pubblico che leggerà il testo, le critiche di cui sarà oggetto, la personalità, la filosofia, la poetica degli autori di queste critiche, le opere non ancora scritte che con esso potranno essere raffrontate, l’ambiente storico e culturale che condizionerà queste critiche e queste opere, ecc. ecc. La necessaria, indefinita estensione dell’«altro» ci lascia subito capire che la filologia e la critica storica sono assolutamente inadeguate all’istituzione dell’analisi (senza contare che indagini storico-filologiche di tipo tradizionale, come per esempio la ricerca delle fonti, appartengono al genere della ricerca delle cause, volte come sono a stabilire un prima e un poi, mentre valida è solo l’analisi che miri a cogliere l’interdipendenza o, meglio, l’«internuclearsi» dei diversi sistemi). Assai più sicuro parrebbe allora limitarsi a studiare le relazioni e le funzioni all’interno del sistema da noi arbitrariamente circoscritto, ignorando quelle che ci portano fuori del «cosmo logico» (646) così delimitato. Le leggi che governano un simile sistema sarebbero passibili della più rigorosa formulazione e dimostrazione, poiché in esso tutto sarebbe dato o deducibile; e nulla verrebbe a turbare i suoi equilibri e le sue relazioni perché esso sarebbe chiuso e isolato dal «sistema esterno o integrante» (861) come una barca in una bottiglia.
Purtroppo le Georgiche sono invece una barca che naviga nell’Oceano, simile al «bateau ivre» che è il punto di osservazione, tante volte evocato nella Meditazione milanese,in cui si pone l’io conoscente. In tale sistema di sistemi noi possiamo e dobbiamo isolare gli elementi che sono suscettibili della nostra rielaborazione. Così facendo, ci accade di tralasciare molte relazioni che, pur essendo sicuramente presenti nelle Georgiche,non trovano posto nella nostra «costruzione o invenzione» critica (Gadda chiama «“costruzione o invenzione” indifferentemente la scoperta d’un nuovo significato d’un oggetto», 748); questa, d’altra parte, implica l’introduzione nel sistema Georgiche di nuove relazioni che prima della nostra rielaborazione non vi erano comprese, implica, in una parola, la «deformazione» delle Georgiche. Tutto ciò è legato al fatto che le Georgiche, in quanto oggetto «reale», non sono a rigore un sistema, ma un «sistema-non sistema» (742), che noi possiamo comprendere («comprehendere») solo a patto di uscirne. Operazione realizzabile in virtù del fatto che, in quanto critici «intelligenti», ci muoviamo all’interno di un sistema che, sia pure soltanto in una direzione data, è più esteso e più comprensivo di quello che abbiamo isolato all’interno dell’opera analizzata.
48. «Attediato dai clamori della radio», il protagonista della Cognizione del dolore (RR I607) «avrebbe voluto una investitura da Dio, non a gestire la Néa Keltiké per gli stipendi di Don Felipe el Rey Católico, bensì a scrivere una postilla al Timeo, nel silenzio, per gli stipendi di nessuno».
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ISSN 1476-9859
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