Escher Caos

Gli studi filosofici di Carlo Emilio Gadda (1924-1929)

Guido Lucchini

La vicenda (1) dei rapporti tra Gadda e la filosofia, in sé complessa e intricata, come è noto, è diventata questione critica rilevante a partire dal memorabile libro di Gian Carlo Roscioni, La disarmonia prestabilita (1969). Mettendo a frutto il prezioso fondo lasciatogli dallo scrittore, Roscioni compiva una prima ricognizione della sua cultura filosofica fino ad allora pressoché ignorata dalla già non esigua schiera dei gaddisti. Nel quarto di secolo trascorso tre sono gli eventi di capitale importanza che hanno arricchito e modificato la figura culturale, letteraria, e direi anche umana di Gadda. Sono in ordine di tempo la pubblicazione degli scartafacci giovanili, la Meditazione milanese (1974), a cura dello stesso Roscioni, e il Racconto italiano di ignoto del novecento (1983), a cura di Isella; infine l’edizione Garzanti delle opere, diretta sempre da Isella, in cinque volumi (1988-1993) che, pur non avendo l’ambizione di essere un’edizione critica, costituisce nell’insieme un notevolissimo progresso negli studi e, nel caso di alcuni testi (ad esempio, la Meccanica e Novella seconda), addirittura decisivo. Se alla luce del corpus gaddiano postumo risultano oggi molto più chiari i rapporti e le reciproche implicazioni tra letteratura, teoria del romanzo e filosofia nell’opera giovanile dello scrittore, ancora allo stato magmatico è invece rimasto finora nell’ombra l’aspetto, per così dire, curricolare dei suoi studi presso la facoltà milanese di Lettere e filosofia, aspetto non del tutto secondario per conoscere meglio gli anni della sua formazione.

Pochi mesi or sono, del tutto casualmente, nel corso di una ricerca nell’archivio della segreteria studenti dell’Accademia Scientifico-letteraria di Milano mi è accaduto di rinvenire nell’incompleto fascicolo personale dello scrittore, una lettera tarda, del settembre 1951 con allegato promemoria, che mi è parsa non indegna di essere pubblicata (Lucchini 1993: 239-42). La burocratica istanza destinata, come spesso avviene nel nostro burocratico paese, a restare inevasa, era dettata dalla necessità di presentare un certificato degli esami di corso sostenuti tra il 1924 e il 1927, per l’iscrizione all’albo dei giornalisti, probabilmente richiesta dalla RAI (è infatti il periodo della sua collaborazione con l’ente radiotelevisivo) (2). Dalla memoria non nitidissima, ma ancora lucida, del maturo ingegnere emergevano alcuni dati, poi confermati nella sostanza dalle mie indagini presso l’archivio della casa editrice Garzanti. Prima di esporli in breve, vorrei premettere una considerazione critica d’ordine più generale. Molto probabilmente, come già s’intuiva leggendo il Racconto italiano, occorrerà retrodatare gli anni fondamentali per la formazione della cultura non solo filosofica ma anche letteraria di Gadda.

Vari documenti ora ritrovati impongono una revisione in tal senso e sollecitano del pari a rivedere il noto giudizio di Contini sulla «cultura nobilmente liceale» (3) del nostro. Giudizio che oggi appare forse troppo limitativo e, soprattutto, cronologicamente sfasato: alle spalle di Gadda c’è anche una non vasta, ma solida cultura filosofica nonché letteraria che risale agli anni dell’Accademia Scientifico-letteraria. (4)

Gadda, iscrivendosi nel 1921 al terz’anno del corso in filosofia presso quell’Accademia (5) che aveva menato sessant’anni di vita difficile ma decorosa, ed era in procinto di trasformarsi nella facoltà di Lettere e filosofia dell’università «mangiagallica» (1924), come avrebbe scritto nell’Adalgisa, compiva certo una scelta in contrasto con gli studi tecnici seguiti in precedenza e soprattutto con le aspirazioni della madre. Adele Lehr si era diplomata, è vero, nel 1883 in lingua e letteratura francese presso la sezione di magistero della stessa Accademia, ma tuttavia avrebbe desiderato per il figlio un approdo professionale in linea con il curriculum ingegneresco, ben lungi da «infezioni» letterarie. (6) Le belle lettere si addicevano alla figlia, Clara, che infatti si era laureata il 22 dicembre 1917, con una tesi dal titolo Il Catalogo e le Ere di Esiodo; non erano certo affare per un neolaureato in ingegneria elettrotecnica, cui incombevano compiti più seri nella vita. Basti pensare alla «tribù» familiare: allo zio Giuseppe Gadda, marito di Tilde Conti, il padre di Piero, (7) fondatore insieme al cognato, l’illustre Ettore Conti, in seguito magna pars della società Edison, della Gadda & C. (poi confluita nel Tecnomasio Italiano Brown-Boveri), all’architetto Piero Portaluppi, figlio di una Luigia Gadda, progettista, fra l’altro, di alcune centrali idroelettriche per la Società per l’Imprese Elettriche Conti & C. (8)

Nel 1922, come tutti sanno, Gadda partì per l’Argentina, da cui sarebbe tornato soltanto nel 1923. Da quella data fino al 1929 si può collocare il periodo più intenso delle sue letture filosofiche, documentabile ormai con certezza. Va infatti sfatato uno dei miti più tenacemente coltivato e diffuso dallo scrittore, una volta raggiunta la tardiva celebrità: la dispersione di gran parte della sua biblioteca nel corso degli innumerevoli trasferimenti di residenza. Almeno per ciò che concerne i libri di filosofia, ciò va negato recisamente. L’Elenco di libri filosofici, datato Milano, 25 dicembre 1927, acquistati da Daniele Rossi, padre del dottor Franco Rossi (abitante a Torino, in via Governolo 24, come annota il sempre scrupoloso Gadda), cui segue un Secondo acquisto da Daniele Rossi, in data 22 febbraio 1928, ambedue riportati nel cosiddetto Quaderno climaterico, (9) sono ancora quasi tutti conservati, la maggior parte presso la SIAE Biblioteca e raccolta teatrale del Burcardo, un manipolo più esiguo nel Fondo Roscioni. Del primo elenco mancano quattro opere, (10) del secondo due sole. (11) Le date sono di per sé significative: la prima redazione della Meditazione è datata 14 luglio 1928; l’abbozzo, secondo quanto scrive l’autore stesso, «fu steso in Milano e in Longone al Segrino dal 2 maggio 1928, al 28 giugno 1928». (12) L’acquisto dei libri, almeno della maggior parte, è perciò in funzione, o in rapporto, alla Meditazione. Che il nucleo più cospicuo della biblioteca filosofica gaddiana sia riconducibile al periodo immediatamente anteriore alla stesura di questo singolare lavoro, parrebbe dimostrato anche da un’altra considerazione. Da un attento controllo eseguito presso la SIAE risulta che la sezione filosofica della biblioteca dello scrittore ha subito soltanto scarsi incrementi negli anni successivi. Certo, in questo caso, ci si muove su un terreno quanto mai infido: l’argomento infatti non è decisivo, se si pensa appunto ai numerosi traslochi di Gadda, soprattutto negli anni difficili della guerra, durante i quali si sarebbero potuti perdere non pochi libri, acquistati prima e dopo il 1928. Ma pur con le debite cautele, tale dato invita a riflettere sui tempi dell’apprendistato filosofico, e suggerisce che esso coincide con ogni probabilità col suo curriculum di studente, non propriamente di primo pelo, presso la facoltà milanese.

A questo proposito soccorrono le provvidenziali annotazioni contenute nel quaderno Note varie: in un appunto del giugno 1923, intitolato Preparazione agli esami di ottobre per la Accademia Scientifico-Letteraria, ci troviamo dinanzi a questo impegnativo programma: «Pedadogia-annuale, Francese-annuale, Italiano-annuale, (13) Latino-annuale, Fisiologia-annuale-Storia della Filosofia-2º anno (se dato prima)-Filosofia teoretica-1º corso-Filosofia morale-1º corso» (14) (si ricordi che questi ultimi due corsi erano tenuti da Martinetti). Il primo esame menzionato, «Pedagogia» con Emilio Morselli, consisteva nella lettura dei seguenti testi: «A. Preparazione generale. 1. Leggere il Vidari (3 vol.) Teoria 2. Leggere il Guex (2 vol.) Storia della Ped. (15) B. Preparazione speciale: Rousseau: L’Emilio (eventualmente le Confessioni); Guex Capitolo sull’Emilio studiare-Kant e Fichte-Pedagogia del Kant- Discorsi alla N.T. del Fichte (16) -Duproix: Kant et F. et le problème de l’éducation-Léon: La Philosophie de Fichte (Brera o Accademia)». (17) Nel foglio successivo troviamo un’altra preziosa indicazione: «Corso di Filosofia teoretica prof. Martinetti Piero Castellamonte (Torino)-I “Prolegomeni” di E. Kant.-Paulsen Kant. Riferirsi poi alla Storia della Filosofia dell’Höffding. Scrivere (una volta compiuta la preparazione) a Castellamonte, per ulteriori norme. Milano 28 6 24». (18) Infine l’annuncio dell’esame di storia della filosofia, brillantemente superato: «l’ Esame: (27 giugno 1924) 30 con lode-2º Esame: Storia dell’Höffding. Storia del Windelband.-Eventualmente: Stuart Mill (dello Zuccante)». (19) Si ricordi a questo proposito che sono anni particolarmente difficili e tormentati per Gadda, occupato in attività precarie e mal retribuite: nel 1924 è supplente di fisica e matematica presso il Liceo Parini, di cui era stato alunno. L’anno successivo, inizia la collaborazione con la società Ammonia Casale, destinata a protrarsi per oltre un decennio.

Proseguendo nella lettura dei quaderni conservati presso l’Archivio Garzanti, si rinvengono altri appunti utili a ricostruire il curriculum di Gadda studente di filosofia: «Preparazione in Storia della Filosofia. Iº Esame (Iº Anno)-prof Zuccante. La Filosofia Greca.-Zeller-Compendi0 di Storia della Filosofia Greca (acquistato)-Windelband-Storia della Filosofia antica e moderna (Sandron-2 volumi). £. 55-Fouillée Histoire de la Philosophie-Completare la preparazione con dialoghi di Platone-Convito-Simposio. Protagora. Fedone. Apologia di Socrate. Aristotele: I libro dell’etica a Nicomaco». (20) Si conservano anche in questo caso gli appunti di Gadda riguardanti l’Etica Nicomachea. Sono cinque paginette che costituiscono uno schematico sunto di fondamentali concetti aristotelici (l’entelechia, la tripartizione dell’anima ecc. ). (21)

Già da questi cenni essenziali il campo degli studi filosofici dello scrittore risulta circoscrivibile con una certa precisione. Infatti le annotazioni degli esami, consegnate a vari quaderni, raffrontate con quanto è sopravvissuto della sua documentazione ufficiale e con quanto rimane della sua biblioteca, consentono non solo di stabilire puntualmente la cronologia dell’apprendistato di Gadda all’Accademia Scientifico-letteraria, ma anche di stringere da vicino il complesso delle sue letture in quel torno di tempo. Resta in ombra la questione forse oggi più interessante: al di là delle circostanze esterne (vale a dire la preparazione degli esami), al di là dell’evidente desiderio d’intraprendere una carriera intellettuale, qual è la ragione profonda, autentica che spinge Gadda allo studio della filosofia? A costo di sembrare banale, direi che fin dall’inizio, la sua è una vocazione prepotentemente letteraria e non speculativa. Ora che si è recuperata la maggior parte degli inediti di quegli anni (1924-1929), si può dirlo con certezza: Gadda era nato soltanto alla letteratura, anzi soltanto alla prosa. Senza deprimere troppo un testo per tanti versi significativo come la Meditazione, risulta difficile stimarla l’opera di un pensatore in proprio, soprattutto se si tiene presente l’ambiente universitario a Milano.

Si consideri poi un particolare non trascurabile: Gadda legge piuttosto libri su filosofi che libri di filosofi (in altre parole, la sua cultura filosofica è prevalentemente manualistica). Infatti passando in rassegna i suoi classici di filosofia, ci si accorge subito che ben pochi erano stati letti integralmente (questo vale anche per autori quali Kant, Rousseau, Aristotele, ecc., più presenti alla sua memoria). (22) Inoltre, sono appunto gli scritti inediti di argomento più ostentatamente filosofico a rivelare invece il letterato. Si legga ad esempio questa notevole osservazione, quanto mai sintomatica: «La dottrina scolastica del sec. 16º, e la grande letteratura spagnola, Kant e Goethe, Descartes e Corneille. Questi raccostamenti fanno pensare che una grande letteratura va di pari passo con una potente filosofia. Aristotele seguì ai tragici: ma è lo stesso ceppo». (23) Parrebbe una vera e propria dichiarazione di poetica del Gadda di quegli anni, intento a scrivere il Racconto italiano, con l’occhio rivolto a Manzoni (sia detto per inciso, l’ambizione al romanzo di storia contemporanea, materiato di riflessione filosofica, spiega meglio anche la natura del suo manzonismo: gli è vicino l’intellettuale illuminista, il giansenista, (24) non il teorico del romanzo storico e della lingua). Ma la dimostrazione forse più convincente di quanto vado affermando, è data proprio dall’argomento della sua tesi, mai portata a compimento, la teoria della conoscenza nei Nouveaux essais di Leibniz.

Finora era noto un abbozzo manoscritto, intitolato per l’appunto La teoria della conoscenza nei «nuovi Saggi di G.W. Leibniz» (Milano, maggio 1929), conservato in un quaderno di proprietà di Gian Carlo Roscioni. Di questo estremo tentativo filosofico gaddiano, che precede di poco la definitiva rinuncia alla laurea, tutto incentrato sul proemio e sul primo capitolo dell’opera di Leibniz, si è ora riscoperta una redazione anteriore, del marzo 1928, dal titolo evidentemente provvisorio, Leggendo “nuovi saggi” di Leibniz, nella traduzione di Emilio Cecchi. – Collezione di Laterza: «Classici della filosofia moderna» VIII, 1 e 2. (25) Si tratta forse della prova più impegnativa di Gadda nei panni di filosofo, eppure, anche a una scorsa rapida, si raccoglie una povera messe filosofica. Il nocciolo del suo discorso consiste in breve nel vedere in Leibniz un precursore di Kant, in ordine sia alla cosiddetta «rivoluzione copernicana», sia alla cosa in sé. Quanto al primo punto, Gadda si appoggia senz’altro a un luogo dei Nouveaux essais (cfr. «cercherò in che modo, a parer mio, è da intendersi, anche nell’ordine comune (parlando dell’azione dei corpi sull’anima, a quel modo che i copernicani parlano, e con fondamento, del movimento del sole), esservi idee e principii che non procedono dai sensi»). (26) Quanto alla seconda affermazione, Gadda ha presente il passo in cui Teofilo, l’interlocutore del dialogo che espone il punto di vista di Leibniz stesso, sostiene la tesi secondo cui: «se le verità son pensieri, non soltanto dovremmo escludere le verità cui non si è mai pensato, ma anche quelle alle quali si è pensato, ma non si pensa più attualmente; laddove se le verità non sono pensieri, ma abitudini e attitudini, naturali o acquisite, nulla impedisce che ve ne siano in noi di quelle, cui non si è mai pensato, né si penserà mai» (Leibniz 1909: 50). E infatti così commenta: «Importantissimo. Le verità innate non sono pensieri attuali. In complesso esistono verità innate anche senza che ne abbiamo coscienza o appercezione. […] Di qui poi è breve il passo al “n0umeno” kantiano. Se possono esistere verità che non conosciamo, pur applicandole, potrà esistere un reale noumenico che noi conosciamo (applichiamo) fenomenicamente». (27)

Che le cose non stiano propriamente in questi termini non credo che abbisogni di particolari dimostrazioni: il cammino di Leibniz va dall’analisi del concetto logico alla formulazione del concetto metafisico di sostanza. La realtà empirica è dedotta da soli principi intellettuali; la monade è il fondamento di ogni realtà che giunge alla sua determinatezza individuale. Gadda, il quale nota pur acutamente in La teoria della conoscenza nei «nuovi saggi di G.W. Leibniz» che il razionalismo di Leibniz «sfocia necessariamente al concetto della monade», (28) avendo già osservato con non minore acume nel precedente scartafaccio dedicato ai Nouveaux Essais che Leibniz non usa mai il termine di categoria, (29) si lascia sfuggire, ciò nonostante, un giudizio avventato. Gadda sembra non aver compreso che secondo Kant i concetti di sostanza e di causa sono i mezzi per conoscere la serie dei fenomeni, dandole una forma oggettivamente necessaria, che tuttavia non può mai oltrepassare la sfera della realtà condizionata. Sembra non ricordarsi del paragrafo 44 dell’opera studiata con maggior lena, i Prolegomeni, in cui si affronta il problema dell’«incondizionato», concetto per Kant ineliminabile ogni qual volta si astrae dai limiti di ogni esperienza particolare, là dove si dice che «la ragion pura non mira con le sue idee ad oggetti particolari che trascendono il campo dell’esperienza, ma esprime solo l’esigenza della totalità in rispetto all’uso dell’intelletto nella concatenazione complessiva dell’esperienza». (30) Sembra, infine, dimenticarsi del pari del famoso paragrafo 57 sul concetto di limite, pure attentamente studiato e riassunto, quando Kant scrive che «la nostra ragione vede in certo modo intorno a sé uno spazio per la conoscenza delle cose in sé, sebbene non possa mai averne concetti determinati e sia puramente limitata ai fenomeni» (Kant 1967: 192).

Quando Gadda scrive questi brevi appunti, distratto dalle cure quotidiane, ha già alle spalle l’esperienza del Racconto italiano; in altre parole, legge Leibniz, Spinoza, (31) Kant, più da letterato che da filosofo, in modo acritico e afilologico, alla ricerca di pezze d’appoggio della sua poetica, faticosamente elaborata, prendendo le mosse da una cultura letteraria nel complesso attardata. Nella fattispecie, si appassiona ad alcuni concetti, che sente particolarmente vicini alla propria riflessione metaletteraria, come ad esempio allorché afferma:

è impossibile però che alla constatazione leibniziana dell’infinitesimo psicologico, della «petite perception» non faccia seguito una domanda: che cosa significa piccolo, cioè oscuro, in psicologia? In particolare la «petite» perception quale posto occupa nell’idea di coscienza? […] Avverto che fin l’espressione quantitativa «petites perceptions» ha un suo valore, un suo posto, che non vorrei veder trascurato: dicendo i fatti subcoscienti non si allude tanto alla loro piccolezza quanto alla loro oscurità: ma oscuro per difetto di coscienza o d’intelligenza, può essere anche una «perception» che non sia petite. (32)

Anche in questo caso l’osservazione di Gadda, non priva di acume, non coglie però l’essenziale: il termine leibniziano importa la distinzione tra rappresentazione oscura, perché non ancora in grado di farci conoscere la cosa rappresentata, e rappresentazione chiara, quando invece ci dà i mezzi per distinguere nettamente il suo contenuto da quello di ogni altra. Se i suoi caratteri si possono separare in modo pienamente consapevole, Leibniz la chiama distinta; altrimenti confusa. Ma ciò che interessa a Gadda è evidentemente altro; chi non ricorda la nota dell’Adalgisa sulle «petites perceptions», intese come «simbolo idiomatico inadeguato […] dalla esplicita e divulgativa dialessi di un mondo razionaleggiante adibito a voler rappresentare fenomeni e fatti che soltanto una dialessi futura, se non un’esperienza e una coscienza future, (Dostoiewski, Proust, Freud), sarebbe un giorno pervenuta a descrivere» (RR I 559)? Gli ultimi due autori menzionati appartengono certo a una stagione successiva dello scrittore, ma s’inseriscono in una cultura precedente, come si vede, ben radicata e alimentata dalla grande tradizione razionalista.

Che Gadda intrattenga un rapporto duplice con i testi filosofici che prepara per gli esami, mi pare indubbio: numerose prove potrebbero essere portate a proposito del suo comportamento schizoide. Ora infatti legge, chiosa e riassume come uno studente qualsiasi, intento a semplificare e a memorizzare; ora invece assume un atteggiamento simpatetico, o comunque di profondo coinvolgimento personale, in un dialogo del tutto astorico, per non dire anacronistico, con l’autore di cui sottolinea e postilla frasi e pensieri, ritenuti più o meno consentanei alla propria riflessione e alla propria visione romanzesca della realtà. (33) Si vedrà oltre qualche esempio, tratto dalle postille scritte a margine di alcuni volumi, studiati con particolare attenzione. Ma soffermandosi ancora per un momento su Leibniz, mi sembra degno di nota il modo in cui Gadda si cimenta con i Nouveaux Essais. Si ricordi che gli appunti in questione erano preparatori alla tesi di laurea. Ebbene, dopo qualche osservazione compendiosa, pertinente al testo, il letterato (e l’ingegnere) prevale senz’altro sullo studente di filosofia. Commentando la discussione tra Filalete là dove afferma che «nessuna delle pitture mentali (se posso esprimermi così) può esser chiamata assolutamente confusa, qualunque sia la maniera nella quale le sue parti sono combinate» e la relativa risposta di Teofilo:

Il quadro, del quale si discernono distintamente le parti, senza capirne l’insieme, se non guardandolo in un certo modo particolare, rassomiglia l’idea d’un mucchio di pietre, la quale è realmente confusa […] fino a tanto non se ne sia distintamente conosciuto il numero e le altre proprietà. Supposto che fossero, per esempio, trentasei, vedendole ammucchiate confusamente, non si saprà se esse possono esser formate in triangolo o in quadrato; il che, nel nostro caso, esse possono ugualmente, essendo trentasei numero quadrato e triangolare. (34)

Gadda annota: «Importantissimo gruppo di idee. Specie per la Poetica. Ogni discorso, ogni immagine o concetto o giudizio, in genere ogni composizione (poema) può avere un suo segreto ordine, una sintesi che al lettore può non apparire. (mia teoria embrionale sulla “fatalità” spaziale e geometrica dell’ordine cristallografico, balenatami nel vedere la sezione esagona d’un cavo in costruzione per il ponte di Philadelphia sul Delaware nella Zeitschrift der deutschen Ingenieure)». (35) Il «segreto ordine» del testo, espresso ingegnerescamente dalla «sezione esagona di un cavo in costruzione» rammenta in modo irresistibile l’incipit dell’Apologia manzoniana (cfr. «Con un disegno segreto e non appariscente ecc.»), (36) non di un generico testo letterario quindi, ma del modello narrativo del Gadda di quegli anni, i Promessi sposi. Siamo perciò ai limiti dell’autocitazione, limiti varcati poco più innanzi, allorché Gadda, commentando un’affermazione di Leibniz, (37) scrive:

mia teoria del carattere provvisorio e indefinito delle conoscenze fisiche, sotto un aspetto catalogico o di progressus, mentre Leibniz salva naturalmente le idee non empiriche: (categorie, Dio, sostanza, ecc.).
Io invece ritengo provvisorie anche queste ma non in senso analitico […] come le prime: sì in quanto sono sintesi momentanee che poi si rivelano inadeguate: (Dio antropomorfico, dio etico dio legislatore, ecc., poi Dio creatore-teoretico; poi Dio come ens primum o ens totale; ecc). Cfr. Mia prefazione al racconto italiano: «Forse il nostro pensiero, forse la volontà stessa… sono rapidi fiori… una trovata provvisoria dell’eternità». (38)

Che Leibniz (ma anche Spinoza e Kant), letti desultoriamente, forniscano gli spunti per il nucleo della sua poetica e più in generale della sua concezione della realtà, sulla scorta di questi esempi mi sembra difficilmente revocabile in dubbio. A questo proposito due sono i concetti cardinali della metafisica leibniziana che hanno più profondamente influenzato Gadda: l’armonia, intesa soprattutto nel senso dell’accordo tra le prospettive ideali differenti, reciprocamente condizionate (ancor più che la concordanza tra le varie monadi) e la negazione del male, sia pure spogliata del supporto teologico della Teodicea. Che il centro dei suoi interessi converga intorno al problema dell’esistenza del male è noto a chiunque abbia letto il Racconto italiano e la Meditazione.

Una prova ulteriore è data da una delle poche letture filosofiche non dettate da necessità di studio, vale a dire la Logica e il Saggio sullo Hegel di Croce. Gadda della prima opera legge con più accuratezza la sezione I, Il concetto puro e gli pseudoconcetti, la sezione II, Il giudizio individuale, la sezione III, Identità del concetto puro e del giudizio individuale. La sintesi a priori logica; della seconda il I capitolo, La dialettica e la sintesi degli opposti. Se c’è un autore in apparenza estraneo alla cultura di Gadda, all’ambiente della sua formazione (il Politecnico, ma anche la facoltà di filosofia dell’Accademia Scientifico-letteraria, dominata da un anticrociano intransigente quale Martinetti), questi è proprio Croce. Quale rapporto simpatetico può esservi tra la teoria degli pseudoconcetti, fra una concezione banauisica delle scienze della natura e un epigono del positivismo come Gadda? Affidandosi più a congetture che a dati di fatto (in questo caso troppo lacunosi), a mio avviso, non sono stati certo né la classificazione delle scienze né l’identità di filosofia e storia gli aspetti della filosofia dello spirito crociana a destare l’interesse di Gadda. Ciò che verosimilmente lo appassiona, leggendo Croce, è invece il rapporto e la differenza tra opposti e distinti, la famosa definizione della sintesi a priori come «unità di distinti e non di opposti», e la relativa deduzione in Teoria e storia della stori0grafia: «ove il fine [della storia] si concepisca rettamente, come finalità interna, e perciò tutt’uno con il suo svolgimento stesso, si deve concludere che esso è […] conseguito e insieme non conseguito». (39) Donde la tesi celeberrima che la storia è passaggio non dal male al bene, dal bene al meglio. È in altre parole l’ottimistico armonicismo della dialettica crociana a esercitare una forse non trascurabile influenza su Gadda, ossessionato dall’idea di totalità sistematica, e già segnato dalla forte esperienza speculativa rappresentata dalla lettura dell’Etica di Spinoza. (40)

Venendo ora al confronto, non privo d’interesse, fra sunto e chiose di testi filosofici preparati da Gadda, mi limiterò a due soli esempi, la Pedagogia di Kant, letta nella traduzione di Angelo Valdarmini, e la Storia della filosofia dello Zeller. Di ambedue possediamo appunti, conservati nel quaderno Note varie, e postille, particolarmente fitte, che costellano i margini del volume. Mi sembra che si possa ipotizzare una sorta di doppia lettura, una strettamente funzionale all’esame, l’altra, svincolata dal «penso», nella quale lo scrittore dà libero sfogo ai propri umori e alle proprie idee fisse. Il riassunto schematico conservato nelle Note varie segue da vicino il libretto kantiano, suddividendolo in vari punti: «1. Nell’umanità una “generazione educa l’altra”. 2. Parte negativa (disciplina) e positiva della educ. (istruz.+). L’uomo ha bisogno di “vigilanza”. La libertà/bene (critica al Rousseau pei selvaggi). L’uomo è ciò che l’educazione lo fa (p. 28) […] 5. Svolgimento delle buone attitudini (primo compito dell’ed.) p. 32. Gradualità del processo educativo […] 10. Educazione: cura e cultura […] p. 82. Nel giovane alla disciplina (abito) deve aggiungersi l’idea del dovere (norma conoscitiva-teoretica )». (41)

Se si esclude l’accenno a Rousseau, chiaramente polemico, il tono del dettato è piuttosto referenziale che personale. Gadda appare lo studente scrupoloso che, in vista dell’esame, si prepara, riassumendo capitolo per capitolo la materia del volume. Diverso è invece il tenore delle postille delle sottolineature. Ecco una parca campionatura di passi kantiani sottolineati dallo scrittore (in corsivo; metto tra parentesi quadre le annotazioni a margine con il rimando della pagina): «L’educazione domestica, oltre non correggere i difetti appresi in famiglia, li aumenta» [mio concetto; p. 42]; «l’uomo sfornito di vera educazione non sa far uso della sua libertà» [Italiani; p. 43]; «Il miglior mezzo di comprendere è quello di fare» [Intuizione espressione (Croce); p. 74]; «Supponete che vi sia nel fanciullo […] una tendenza naturale alla indocilità: il miglior partito si è, quando egli non faccia niente per rendersi a noi piacevole, di non far niente per lui» [Mio metodo con gli italiani; p. 78]; «Non approdano i castighi inflitti con segni manifesti di collera» [Bene tragica verità; p. 82]; «Parlar di dovere ai fanciulli è fiato sprecato; essi alla fin fine concepiscono il dovere come una cosa da farsi sotto la pena di essere frustati» [il Kant con grande acume distingue anche nel tempo il periodo disciplinare (ed. fisica) dal normativo; ibidem]; «un fanciullo, che vi pone davanti le massime del senno proprio degli uomini, va fuori della via tracciata alla sua età, e non fa che imitare servilmente» [Invece mia profonda originalità nei giochi, pensieri, ecc. (costruttività) p. 85]. (42)

Basta una pur mediocre dimestichezza con la biografia e l’opera gaddiana per individuare nei passi sopracitati temi che ritornano con frequenza ossessiva, almeno dal Giornale di guerra alla Cognizione (l’inettitudine organizzativa, militare e, in ultima istanza, etica degli italiani; l’infanzia umiliata e offesa; la consapevolezza della propria originalità; ecc.) o riferimenti espliciti ad autori ben radicati nella cultura di Gadda negli anni venti (si noti l’allusione all’estetica crociana; in un’altra chiosa, a p. 32, a proposito del soggettivismo dell’etica, si fa il nome di Pirandello). Se si confronta questa lettura per così dire idiosincratica di Kant, al riassunto tanto più distaccato delle Note, lo scarto risulta, almeno così mi sembra, innegabile e indiscutibile. Si pensi soltanto alla p. 82 della Pedadogia kantiana che, sottolineata e chiosata, diventa quasi un brano autobiografico (l’esperienza della guerra, l’implacabile senso del dovere, l’infanzia), mentre si riduce nelle Note alla mera constatazione della necessità che la disciplina, intesa come abito mentale, non vada mai disgiunta dalla norma conoscitiva ed etica.

Sarebbe forse eccessivo sostenere che siamo dinanzi a una duplice lettura del testo, privata e pubblica. I due momenti evidentemente coesistono; se non proprio concomitanti, sono comunque contigui. Gadda nello studio, di cui gli appunti sono, com’è naturale, la traccia sopravvissuta, trova sollecitazioni per una riflessione su se stesso tanto risentita quanto personale. Come ho già accennato, mi pare che non si tratti di un caso isolato. Il raffronto tra gli appunti dello Zeller e le chiose contenute nel libro conferma l’impressione data dalla Pedagogia:

Empedocle Leucippo Anassagora = il mutarsi deriva da un essere originario molteplice e divisibile (non come Parmenide-però qualche carattere comune) […] Emp. qualità distinta, limitata, divisibile. Leuc.… eguale, illim. indiv. Anass.… diversa, illim. divis. […] Necessità delle forze motrici: amore, odio. Periodicità del mondo per prevalenza di amore e di odio. Caos amore-piena divisione (odio) […] [la logica di Aristotelele] a) Universale e particolare b) Genesi storica del concetto. c) esperienza d) percezione sensibile e) l’induzione [ …] f) il sillogismo, i giudizî». (43)

Perfino nella partizione Gadda mostra l’intento esclusivamente scolastico dei propri appunti, stesi in servizio della preparazione dell’esame di storia della filosofia, senza nessuna, non dico, originalità teoretica, ma nemmeno con la consueta bizzarra quando non bizzosa partecipazione intellettuale. Partecipazione che invece è ben evidente nelle postille al volume. Si consideri qualche esempio tolto dalle pagine cui si riferiscono gli appunti sopracitati: «Anche gli animali e gli uomini odierni erano dapprima ammassi informi che solo col tempo ebbero la loro struttura organica» [abbozzo di un concetto evoluzionistico-la funzione crea l’organo; p. 87]; «Oggetto della scienza, egli dice con Platone, può esser solo ciò che è necessario ed immutabile» [istinto della combinazione; p. 199]; «La forma non è solo il concetto e l’essenza di ogni cosa, ma anche il suo fìne e la potenza che realizza questo fine» [combinazione; p. 199]: «la forma opera sulla materia incitandola a realizzarsi, a determinarsi» [mia teoria; p. 201]; «Perciò dove forma e materia vengono a contatto ne nasce sempre e necessariamente il movimento» [Istinto delle combinazioni; p. 201]. (44)

L’esemplificazione potrebbe esser ampia e copiosa, stante l’abitudine gaddiana di corredare di numerose postille i testi letti con maggior attenzione, ma credo non sia indispensabile in questa sede. Proseguendo nella lettura del quaderno Note varie, ci s’imbatte invece in un documento di un certo interesse, gli appunti relativi all’esame di fisiologia:

Casimiro Doniselli, medico (anti Crociano, non anti Kant; fisiologo con matematica e filosofia). Istituto di Pedagogia (civico): ora sarà aggregato all’Università di Milano […]. Materia di preparazione: Mosso Angelo: La fatica. Doniselli: Orientamento professionale (Bollettino Medico della Città di Milano). Settembre 1922. 1º Argomento (Descrizione dell’Ergografo […]) […] 2º Argomento. La fisiologia del labirinto auricolare e i sensi generali matematici: (spazio, tempo, numero) […] Wundt: Principi di Psicologia. N.B. Collimano le conclusioni metafisiche del Kant con le conclusioni sperimentali di Doniselli. Categorie, ecc. – Eventualmente: Farsi dare gli appunti di fisiologia da qualche studente. (45)

La nota finale, involontariamente comica e grottesca nell’accostamento, racchiude in nuce tutto il Gadda filosofo, questo strano individuo permeato di ambrosiane, politecnicali virtù, cui si devono meditazioni non prive di una loro genialità, talora forse preterintenzionale. I risultati della metafisica kantiana sono inverati dalle indagini empiriche e dagli esperimenti dell’oscuro Casimiro Doniselli, successore del non meno oscuro Tito Vignoli, direttore dell’istituto civico di Pedagogia, sito in viale Lombardia (anche l’onomastica e la toponomastica sembrano congiurare)! Parrebbe un racconto tratto dagli Accoppiamenti giudiziosi. Ma l’agenda gaddiana riserba ancora delle curiose sorprese in fatto di fisiologia. Il sopraricordato studio La fatica, dovuto al genero di Emilio Treves, è in assoluto uno dei più fittamente postillati e sottolineati.

Inutile dire che la maggior parte delle chiose risponde allo scopo pragmatico dell’esame. Ma verso la metà del libro il nostro si concede qualche divagazione a proposito di alcune considerazioni di Mosso sulle condizioni delle plebi meridionali. Riguardo alla vita di stenti dei carusi, ricordata da Mosso, Gadda prorompe nell’invettiva milanese: «Come adesso, anche allora non sapevano altro che “far numero” come servi (Oggi portalettere e carabinieri)». (46) E poco dopo, commentando la seguente affermazione di Mosso sulla Sicilia: «E ciò malgrado [nonostante le condizioni favorevoli] vivono nella miseria» annota: «Tira la giusta conclusione. È la solita bestialità di Plinio: latifundia Italiam perdiderant. I latifondi sono una conseguenza, un effetto, non una causa. È la razza che va male». E ancora, sottolineata la frase di Mosso: «Ad essi fa difetto anche il danaro che occorre ai miglioramenti dei poderi» sbotta irrefrenabile l’ira dell’ingegnere: «Ma se sono così ricchi? Incapacità capitalistica delle popolazioni meridionali (Argentina contro Stati Uniti)». (47) E l’invettiva finisce per coinvolgere, a mo’ di climax, l’autore del Capitale di cui Mosso aveva riassunto, a dire il vero in modo confuso ed ellittico, una delle principali tesi («Marx nel suo celebre libro consacra un capitolo al macchinismo, e conclude che […] all’accentramento della ricchezza corrisponde un aumento del pauperismo, che per mezzo delle macchine la società si allontana sempre più dal suo ideale»).

A Marx viene infatti dedicata l’edificante nota: «Questo ebreo ragionava quasi come Cicerone. Schema inadeguato della realtà. Troppa fretta. Il periodo “meccanistico” è ancora in isviluppo». (48) Qui parla senz’altro un figlio del Politecnico, non quello del «gran lombardo» Cattaneo, ma piuttosto dei Brioschi e dei Colombo, tanto più vicini, non solo cronologicamente, a Gadda. Né deve stupire più che tanto l’insofferenza per Marx, per un Marx con ogni probabilità letto poco e male, appaiato alla «gallina-Cicerone», al simbolo gaddiano per eccellenza dell’oratoria verbosa e delle vuote ciarle filosofiche, e gratificato dell’epiteto di «ebreo» in improperium. Data la formazione culturale di Gadda, nella sostanza ancora positivistica, (49) anche se dell’ultimo positivismo, (50) Marx non può trovare posto nel suo orizzonte mentale, prima che ideologico: il socialismo, tanto più la tradizione riformista in forma milanese, non può costituire un’alternativa per il reduce di Caporetto, imbevuto di nazionalismo carducciano e dannunziano, fremente di risentimento e d’ira verso i «traditori» della patria. L’allusione al «periodo “meccanistico” […] ancora in isviluppo» è sintomatica: Gadda nutre ancora una fede inconcussa nel progresso della tecnica ed è del tutto sordo a qualsiasi critica effettiva, non meramente verbale e idiosincratica, al ceto mercantile da cui proviene. Un titolo come La meccanica assume, visto da questa angolazione, un significato pregnante: la contrapposizione fra la Milano borghese, ingegneresca, rappresentata dal giovane Velaschi e dai suoi genitori, l’aristocratica madre e il padre notaio, e la Milano proletaria, impersonata dalla sensuale Zoraide, dalla figura cialtronesca di Ermenegildo e da quella fattiva del Luisin Gramm.

Da quanto si è detto si comprende bene, almeno credo, perché la laurea sia diventata per Gadda nel corso del tempo un traguardo sempre più irraggiungibile: incapace del distacco, dell’oggettività indispensabili in qualsiasi lavoro accademico, anche modestamente compilativo; irrispettoso dei testi che piega scopertamente alle proprie esigenze di scrittore in fieri; insofferente di ogni studio aridamente mnemonico, non riuscì, ormai alle soglie della maturità, a concentrarsi sull’argomento assegnatogli da Martinetti, per ricavarne una tesi accettabile. Gli abbozzi presto interrotti, ripresi e nuovamente lasciati in tronco per sempre, ne sono la prova più persuasiva: spesseggiano le intrusioni autobiografiche, i riferimenti ai propri scartafacci letterari, mancano una vera riflessione critica e un’autentica vocazione speculativa. Gadda appare, come già dimostrava ampiamente la Meditazione, un autore alla ricerca di se stesso, di un proprio ordine mentale (faticosa e precaria conquista) piuttosto che uno studente, non più giovanissimo, intento a laurearsi una seconda volta.

Sfumata la prospettiva di una sistemazione quale bibliotecario presso il Gabinetto Vieusseux (com’è testimoniato dalle lettere indirizzate a Tecchi tra il giugno del 1928 e il giugno del 1929), Gadda rinuncia a laurearsi in filosofia. Quanto abbia influito su questa scelta la manifesta impossibilità di intraprendere una carriera intellettuale, è difficile a dirsi, allo stato attuale delle conoscenze. Certo, alla svolta degli anni trenta muta profondamente il quadro: nasce ufficialmente lo scrittore, saltuario collaboratore di Solaria non senza attriti e incomprensioni. (51) Soprattutto inizia la travagliata gestazione dell’incompiuto trittico milanese San Giorgio in casa Brocchi, L’incendio di via Keplero, Un fulmine sul 220, destinata a concludersi nell’immediato ancora una volta in uno scacco, (52) riscattato da una lontana resurrezione nel decennio successivo. Lo «studente di filosofia» scompare definitivamente, fagocitato prima dalla figura del raffinato stilista per pochi estimatori, poi da quella più proverbiale, se non più popolare, dell’«ingegnere de letteratura», del grande pasticheur. Ma le ragioni dell’anomalia culturale di gadda, tra il Politecnico e l’esordio letterario, sono da ricercarsi, a mio avviso, proprio nel periodo finora meno noto, nell’anello mancante dell’Accademia Scientifico-letteraria. (53)

Università di Pavia

Note

1. Do qui l’elenco delle sigle usate per indicare i quaderni di Gadda, posseduti dall’Archivio Garzanti, citati nel corso dell’articolo: AMD, Appunti manoscritti diversi; Cl, Quaderno climaterico; FIL, Quaderni filosofici; Lic, Letteratura italiana contemporanea; NV, Note varie. Nelle citazioni i corsivi sono sempre dell’A.

2. La lettera è del 1º settembre 1951, il promemoria del 15 ottobre. Gadda era stato assunto dal 1º luglio 1951 presso la Direzione Generale della RAI; cfr. G. Ungarelli, La gentile radio italiana, in Gadda 1993c: 7-38 (22). Cfr. anche la lettera di assunzione, in data 4 agosto 1951, pubblicata in appendice al volume (210-11).

3. G. Contini, Letteratura dell’Italia unita 1861-1968 (Firenze: Sansoni, 1975), 1050.

4. Il programma di esame di lingua e letteratura francese di Sorrento comprendeva un corso pubblico sui simbolisti (cfr. NV 120). Gadda scrisse per l’esame una tesina su Baudelaire (cfr. NV, c. 121) che fortunatamente è conservata nell’Archivio Garzanti. Il lavoro anticipa nelle linee fondamentali il famoso saggio I viaggi, la morte. Mi limito a citare un brano che mi sembra particolarmente significativo: «L’attività morale non può essere simulata e non può risultare di parole ella non è espressione ma attuazione (neanche in buona fede, il che sarebbe certo del Baudelaire) poiché essendo essa “azione” o si determina, o no. Il condannare a parole con intonazione di severità le “âmes desordonnées” mentre se ne fa parte, è cosa che non può commuovere nessuno. Invece la coscienza del proprio male, del proprio disordine, per quanto terribile, è motivo di commozione di origine etica». NV, cc. 137-38, Archivio Garzanti, Milano. Interessanti sono pure i rimandi a testi poetici, ben noti a chiunque abbia una certa familiarità con Gadda: di Baudelaire è citato, oltre al «magnifico» Voyage, al Cygne, alle Femmes damnées, l’incipit dell’Ennemi (che occorre nel Castello di Udine), del «sublime» Virgilio si ricorda il celebre «ante ora parentum», di Shakespeare l’Amleto e La tempesta, di Heine «simbolista» il Lyrisches Intermezzo.

5. Sull’Accademia Scientifico-letteraria e i suoi rapporti con l’ambiente culturale milanese, mi sia consentito di rimandare alla mia introduzione a Pio Rajna-Francesco Novati (Carteggio 1878-1915). Tra filologia romanza e mediolatina, d’imminente pubblicazione, nella Biblioteca Insubrica, e alla relativa bibliografia.

6. Cfr. il gustoso aneddoto narrato da G. Vigorelli nel suo ritratto di Gadda, in Vigorelli 1989: 241-95 (241-42).

7. Si ricordi che il Giornale di guerra e prigionia si conclude con una visita, insieme a Piero Gadda Conti, ad una centrale della società: «in questi giorni scorsi fui con Piero Gadda, mio cugino, a Baceno, in Val Devero, in Valle Antigorio e in Valle Formazza a vedere gli impianti elettrici della società Conti» (SGF II 866).

8. Cfr. l’introduzione di A. Silvestri a Gadda 1986a: 15.

9. Cl, c. 9-13, Archivio Garzanti, Milano. Per il nome curioso cfr. «Chiamo questo “quaderno climaterico”, sia perché ora è marzo, orribile e freddo; sia per ragioni psicologiche. Qui c’è di tutto. Conti, elenco libri, abbozzi novelle, spese malattia, eccetera, Milano, 24 marzo 1928». Cl, c. 1. La data riportata all’inizio del quaderno, «Milano, 24-3-1927» è con ogni probabilità una svista, dal momento che quanto segue è datato marzo 1928. Fra i libri dei due elenchi spiccano la seconda e la terza Critica di Kant, l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio di Hegel, i Nuovi saggi di Leibniz, i Principi della conoscenza di Berkeley, le Ricerche dell’intelletto di Hume, la filosofia dello spirito crociana, La filosofia contemporanea di De Ruggero, tutte naturalmente nella collezione «Classici della filosofia moderna» di Laterza. Vi sono poi molti volumetti della «Cultura dell’anima» di papiniana memoria (Aristotele, Bergson, Boutroux, Le Roy, Berkeley, Spinoza, ecc.).

10. Sono F. Fiorentino, Compendio di Storia della Filosofia, a cura di A. Carlini (Firenze: Vallecchi [la IIa o la IIIa ed., 1923; 1924]); G. De Ruggero, La filosofia contemporanea (Bari: Laterza [la Ia o la IIa ed., 1912; 1920]); E. Cairel, Hegel (Milano-Napoli-Palermo: Sandron, [s.d.]); L. Robin, La pensée grecque el les origines de l’esprit scientifique, La reconnaissance du livre (Paris [1923]).

11. Si tratta dei due volumetti della «Cultura dell’anima» di G. Galilei, Il pensiero di Galileo Galilei e di A. Schopenhauer, La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente.

12. Gadda 1974a: 418. Cfr. P. Italia, Nota al testo della Meditazione milanese, SVP 1299-312 (1303).

13. L’argomento dell’esame di letteratura italiana, sostenuto con Scherillo, il 14 novembre 1924 (cfr. Lucchini 1993: 242), riportando 29, era «Il Leopardi. Prosa e poesia. Vita» (cfr. NV, c. 134). Sulla stessa pagina Gadda annota: «N.B. Può essere utile per studi Manzoniani, ecc. Prof. Giulio Salvadori (Insegnante di letteratura all’università cattolica in Milano)». Interessanti sono questi giudizi, contenuti in un altro quaderno della fine degli anni ’20, sulla vallardiana Storia letteraria d’Italia: «Le origini-Novati e Monteverdi. Illeggibile […] Trecento: di Sapegno Natalino. Crociano di stretta osservanza […] L’Ottocento: Mazzoni, 2 volumi. Libro coglione». Lic, cc. 15, 17, Archivio Garzanti, Milano.

14. NV, c. 119, Archivio Garzanti, Milano.

15. Si tratta di F. Guex, Storia dell’istruzione e dell’educazione, traduzione e note con appendice su Il pensiero pedagogico italiano nel suo sviluppo storico, di G. Vidari, 2 voll. (Torino: Paravia, 1923).

16. Si ricordi che il nome di Fichte, legato proprio al terzo e al quarto discorso alla nazione tedesca, occorre nell’Apologia manzoniana (SGF I 680).

17. NV 128, Archivio Garzanti, Milano. Il libro di P. Duproix, Kant et Fichte et le problème de l’éducation (Genève: Georg & Cie, 1895) si trova nel Fondo Roscioni; i Discorsi alla nazione tedesca di Fichte e la Pedagogia di Kant si conservano alla Biblioteca del Burcardo, Roma. Gli altri testi menzionati sono gli Elementi di Pedagogia di G. Vidari, 3 voll. (Milano: Hoepli, 1920); la Storia dell’istruzione, cit., di F. Guex; La philosophie de Fichte di A. Léon.

18. NV, c. 129, Archivio Garzanti, Milano. I Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza, traduzione, introduzione e commento di P. Martinetti (Torino: Bocca, 1913) sono conservati nel Fondo Roscioni; il libro di Paulsen, Kant (Milano-Palermo-Napoli-Genova: Sandron, s.d.), traduzione di B.A. Sesta di Kant. Sein Leben, und seine Lehre (Stuttgart, 1898), presso la Biblioteca del Burcardo. Nell’occhiello porta la seguente annotazione: «Ing. Carlo Emilio Gadda. 1924-1925 Milano». È stato effettivamente letto da Gadda per l’esame con Martinetti, com’è provato dalle osservazioni contenute nel manoscritto «Immanuel Kant Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza», pp. 33-34, Fondo G.C. Roscioni, Roma. Paulsen è spesso citato nei corsi kantiani di Martinetti (1924-1927), cfr. P. Martinetti, Kant, a cura di M. Dal Pra (Milano: Feltrinelli, 1968), passim.

19. NV, c. 130, Archivio Garzanti, Milano.

20. NV, cc. 112 bis, c. 2r., Archivio Garzanti, Milano.

21. FIL cc. 1-5, Archivio Garzanti, Milano. Dell’Etica Nicomachea, a cura di A. Carlini (Bari: Laterza, 1913), conservata presso la Biblioteca del Burcardo, risultano lette senz’altro, oltre l’introduzione del curatore, non più di una trentina di pagine.

22. Qualche esempio significativo sulla scorta della mia ricognizione presso la Biblioteca del Burcardo: La critica della ragione pratica (Bari: Laterza, 1909) – sono tagliate soltanto le pp. 1-72, corrispondenti alla prefazione, introduzione, libro I (analitica della ragion pura pratica, cap. I, dei principi della ragion pura pratica); Critica del giudizio (Bari: Laterza, 1907) – tutto intonso ad eccezione delle pp. 82-89 (analitica del bello-analitica del sublime, soltanto l’inizio). Per essere un kantiano, non c’è male…

23. Quaderno Corneille. I simbolisti. Il quadrilatero (Cid, Horace, Cinna, Polyeucte) 1924 Milano, AMD (CS), Archivio Garzanti, Milano, c. 1v.

24. Negli appunti del corso di letteratura francese di Sorrento, dedicato a L’ideale e l’arte di Corneille, corso che Gadda definisce «molto autonomo e polemico-Libero arbitrio» (NV, c. 121) sottolinea più volte i rapporti coi giansenisti e con Port-Royal; ad esempio, commentando l’affermazione del corso, secondo cui «Nei 3 drammi pagani solo libero arbitrio; nel Cristiano anche grazia. In Corneille lib. arbitrio elevato, nobilitato. Descartes: “la ragione rischiarante” – Hegel, Kant. […] Non basta separare Corneille da Cartesio. Bisogna inserirlo nel suo secolo» annota: «Mia idea. Corneille è più prossimo a Kant, Fichte di quanto sembri». AMD, cc. 6-7, Archivio Garzanti, Milano.

25. Cl, cc. 61-69, Archivio Garzanti, Milano. Gadda pensava di scrivere un sunto del proemio, cfr. «Del succoso proemio potrei fare un riassunto e abbozzare uno svolgimento delle mie proprie idee, partendo da esso. Titolo: “Meditazione sul proemio dei nuovi saggi leibniziani”». Cl, c. 61. Che quest’ultimo lavoro sia da identificarsi con l’autografo d’argomento leibniziano posseduto da Roscioni, non pare dubbio, considerando le ultime righe del sunto di Cl: «Questo sunto è stato interrotto, nell’intenzione di rileggere i “Nuovi Saggi” e sunteggiarli in quaderno speciale. – Milano, 26 marzo 1928». Cl, c. 66. Questo «quaderno speciale» è certamente quello de La teoria della conoscenza nei «Nuovi Saggi» di G.W. Leibniz, datato Milano, maggio 1929, nel quale le cc. 34r-36r, 48v, 49r, 49v, 50v sono dedicate proprio al sunto del proemio e del I capitolo, sulle idee innate.

26. G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, traduzione di E. Cecchi, parte I, libri I-II (Bari: Laterza, 1909), cap. 1, 35.

27. Cl, c. 63, Archivio Garzanti, Milano.

28. La teoria della conoscenza nei «Nuovi Saggi» di G.W. Leibniz, Fondo G. C. Roscioni, Roma, c. 13.

29. Cfr. «Leibniz non usa mai il termine categoria neanche citando Aristotele: ma sempre i termini idées, notions oppure principes, vérités innées». Ibid., c. 28.

30. I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza, a cura di P. Martinetti (Torino: Paravia, 1967), 157.

31. Dell’Etica, come si sa, Gadda aveva iniziato nell’aprile 1928 un riassunto, presto interrotto (il quaderno è posseduto da G.C. Roscioni). Spinoza era autore carissimo a Martinetti; la monografia, apparsa postuma soltanto in anni recenti – cfr. Spinoza, a cura di F. Alessio (Napoli: Bibliopolis, 1987) –, risale nella sua prima stesura agli anni precedenti la prima guerra mondiale. Nel 1923 aveva tenuto un corso, dedicato soprattutto al Tractatus spinoziano, che pure occupa una parte considerevole della monografia. Gadda aveva studiato con attenzione Il pensiero di Spinoza di A. Guzzo (Firenze: Vallecchi, 1924), Fondo G. C. Roscioni, Roma (soltanto il VII capitolo non sembra letto), forse in vista della tesi di laurea. Vari sono infatti i riferimenti alla tesi: ad esempio, a proposito dell’affermazione di Guzzo: «Lo Spinoza sostenne sempre […] che la volontà umana è appunto determinata da Dio: il quale, come causa della mente umana, fa che questa desideri la tale cosa, come causa di questa cosa, fa che essa ecciti e attragga la mente umana. Donde una specie di armonismo spinoziano che prenunzia in qualche modo il leibniziano» (ibid., 200), osserva «già notato da me. Mia tesi di laurea»; alla fine del paragrafo Questioni sulla libertà e l’immortalità dell’anima, chiosa: «Problema: in arte la immortalità in Spinoza Leibniz»; sul frontespizio si legge la postilla: «per tesi di laurea», con l’indicazione di alcuni paragrafi e pagine del libro. Gadda è profondamente influenzato dalla tesi di Spinoza, secondo cui il male è dovuto soltanto alla nostra ignoranza della realtà perfetta; le pagine dedicate da Guzzo alla disputa con van Blyenberg, risultano lette con cura. Cfr. l’osservazione a margine di questo passo di Guzzo: «Insomma, o identificazione di perfezione e realtà, imperfezione e “mera carentia”, e la distinzione di vari gradi di perfezione è impossibile; o affermazione di una differenza di gradi della perfezione, e “perfezione” non è più lo stesso che “realtà”» (ibid., 214), «Introduzione profonda al problema. Mio esame del problema. Decomposizione del reale nella molteplicità dei significati».

32. La teoria della conoscenza nei «Nuovi Saggi» di G. W. Leibniz, Fondo G. C. Roscioni, Roma, cc. 28-29.

33. Ad esempio, riassumendo una pagina del volume del Duproix, tolta dal cap. II della II parte, Les discours à la nation allemande, di cui cito il brano più importante per i nessi col Racconto italiano: «La rapidité avec laquelle Napoléon put accomplir ses desseins et le peu de résistance qu’il rencontra ne révélèrent pas seulement la caducité des institutions politiques et militaires de l’Allemagne; ils découvrirent aussi l’absence du sentiment patriotique.» (Duproix 1895: 190), Gadda osserva: «Importante per il romanzo»; altrove, riferendosi alle pp. 14-15: «Ce n’est pas l’instruction proprement dite, qui peut donner le courage à la peine et à la privation, la volonté résolue et persévérante de travailler et d’épargner, l’habitude de sacrifier le plaisir présent à l’interêt futur, en un mot ces trois vertus cardinales qui élèvent les individus, les classes et les peuples: la prudence, la tempérance et la force […] L’homme, en effet, est destiné à agir; il doit jouer un rôle dans la vie, et la façon dont il s’y comporte, bien ou mal, dépend bien plus souvent de son caractère, que de ses connaissances» (15-16) scrive: «tendono all’idea generale del mio romanzo anche pag. 16 (selvaticamente)», Appunti volanti, Fondo G.C. Roscioni, Roma. Commentando la seguente affermazione di Mosso, secondo cui lo scarto tra inerzia iniziale e disposizione successiva appare più evidente «Nelle opere di immaginazione» (ibid., 314), Gadda chiosa: «Mia esperienza (poema)».

34. G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, cit., 240. Gadda riassume il brano precedente in cui Leibniz fa l’esempio di un quadro confuso «dal momento che non si distingue se si tratta d’un uomo, d’una scimmia o d’un pesce; tuttavia può darsi che, guardandolo in uno specchio cilindrico, la confusione dispaia, e si vegga di colpo che è un ritratto di Giulio Cesare», ibid.; «Teorema delle idee che non sono mai assolutamente confuse, ipotiposi dello specchio cilindrico e del ritratto di Giulio Cesare. Ipotiposi del numero trentasei e del suo segreto contenuto triangolare e quadrato.» Cl, c. 65, Archivio Garzanti, Milano.

35. Cl, cc. 65-66, Archivio Garzanti, Milano. Il discorso prosegue, col corredo dei disegni inerenti alla sezione esagonale, esponendo il contenuto dell’articolo: «Allineando cerchî di egual raggio su diverse file, ma uno di meno per ogni fila la pendenza che si delinea è quella dell’esagono. Avevo visto anche nelle officine Siemens a Berlino 1922 ottobre intrecciare i cavi partendo dall’esagono, ma allora non ci avevo pensato. Milano, 26 marzo 1926» (66).

36. SGF I 679. Com’è noto, Apologia manzoniana fu pubblicata per la prima volta su Solaria, a. II (gennaio 1927), no. 1: 19-48; ma la prima redazione, col titolo Affioramento per l’innesto in praeteritum tempus, contenuta nel Cahier d’études risale al 4 agosto 1924 (cfr. SVP 590-99).

37. «Si può dire, insomma, che nelle cose che non conosciamo se non empiricamente, tutte le nostre definizioni son soltanto provvisorie»: G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, cit., parte II, libri III-IV, 31.

38. Cl 67. Il brano è ripreso con molte varianti di forma, ma non di sostanza (a riprova della scarsa evoluzione di pensiero in Gadda), nel quaderno La teoria della conoscenza nei «Nuovi saggi» di G.W. Leibniz, cit., c. 31v., citata nelle note di Roscioni alla Meditazione (Gadda 1974a: 343). L’autocitazione riporta, con una variante non priva d’interesse, un brano del Finale del I Cap. la Sinfonia Rifacimento del 24 gennaio [1925], contenuta nel Cahiers d’études II: «Forse la conoscenza, forse la volontà stessa non apparirebbero certezze infinite, ma pallidi, rapidi fiori, fioriti dal buio, come ripiego momentaneo, come una trovata provvisoria dell’eternità» (SVP 541). Probabilmente Gadda cita a memoria.

39. B. Croce, Teoria e storia della storiografia (Milano: Adelphi, 1989), 93.

40. Nonostante che sia Martinetti che Guzzo si siano occupati ampiamente del Tractatus, non sembra che questo capolavoro di storia e di filologia abbia mai attratto Gadda che non lo deve aver mai letto. Non mi pare un indizio secondario della sua forma mentis.

41. NV, cc. 11-12, Archivio Garzanti, Milano.

42. Kant 1923, Biblioteca del Burcardo, Roma. Nell’occhiello del volume è annotato: «Carlo Emilio Gadda, 18 maggio 1924. Milano». La data è però successiva alla lettura del libro, come risulta dagli appunti relativi all’esame, del giugno 1923.

43. NV, cc. 60, 82, Archivo Garzanti, Milano.

44. E. Zeller, Compendio di storia della filosofia greca (Firenze: Vallecchi, 1923), Fondo G. C. Roscioni, Roma. Nell’occhiello del volume è scritta la stessa annotazione del volumetto kantiano. Le postille erano in parte già state citate da Roscioni nelle note al IX capitolo della Meditazione (Gadda 1974a: 349-50). È indubbia l’origine paretiana del termine: Gadda aveva letto, come a suo tempo avevo congetturato, il Compendio di sociologia generale (Firenze: Barbera, 1920). Una copia del libro, con la sola, preziosa annotazione: «ing. Carlo Emilio Gadda. 1 gennaio 1921» si conserva presso la Biblioteca del Burcardo.

45. NV, cc. 133-135, Archivio Garzanti, Milano.

46. A. Mosso, La fatica (Milano: Treves, 1921), Biblioteca del Burcardo, Roma. Anche in questo caso la cronologia è discordante: il volume porta nell’occhiello la data: «Carlo Emilio Gadda 1925. Ing. Carlo Emilio Gadda 1924-1925 Milano». Gli appunti di NV risalgono invece alla tarda primavera del 1923 (ibid., 167).

47. Mosso 1921: 168. Questa pagina e la successiva erano in origine molto più fittamente chiosate a matita. Purtroppo sono state cancellate, verosimilnente dall’autore, in un momento di resipiscenza o di autocensura (a meno che si tratti dell’incauto intervento di qualche cultore di memorie gaddiane, dettato da un malinteso senso di pietas storica). Si noti il riferimento alla recente esperienza in Argentina.

48. Mosso 1921: 180. I corsivi nel brano citato sono di Gadda. La lettura del tanto vituperato De Officiis faceva parte del programma dell’esame di latino con Sabbadini. Cfr. NV, c. 122.

49. Secondo una tardiva testimonianza, l’intervista concessa a Garboli nel 1967 (cfr. Felice chi è diverso, in Gadda 1993b: 128-39), Gadda avrebbe respirato l’aria del positivismo, ormai declinante, fin dai banchi del liceo, dal professore di filosofia, tal Guglielmo Tedeschi (132), noto soltanto per un manuale, Elementi di psicologia ad uso della II classe liceale (Belluno, 1884).

50. Il positivismo di Gadda non è soltanto quello di personaggi minori quali il Vignoli o la cultura radical-socialista dell’Umanitaria. Oltre a Darwin e a Spencer, gli è discretamente familiare tutto un filone di indagine proprio della psicologia del secondo Ottocento, da Fechner (ricordato due volte in margine alla Meditazione) a Ribot (di cui sono conservati presso la Biblioteca del Burcardo La psychologie allemande contemporaine (Paris: Baillière, 1879) e La psychologie anglaise contemporaine (Paris: Alcan, 1901); ambedue fanno parte del primo «Elenco di libri filosofici»). È difficile dire quanto conoscesse di prima mano. È mia personale convinzione che molte delle opere di psicologia da lui menzionate (ad esempio, gli Elemente der Psychophysik di Fechner, citati una sola volta in Emilio e Narcisso, l’unico testo in cui occorre anche il nome di Doniselli) gli fossero note soltanto indirettamente attraverso il libro del Mosso (che cita Fechner alle pp. 186-187) e La psicologia contemporanea di G. Villa (Milano-Torino-Roma: Bocca, 1911).

51. Fra i molti indizi dell’incompatibilità fra Gadda e i solariani di stretta osservanza, segnalo una delle Note «con le quali accompagnai a Carocci i miei Studi imperfetti nel 1926», ma rimaste inedite: «La morte di Puck: Questo brevissimo studio vuole significare leibnizianamente che un nucleo di conoscenza, un io, è nelle bestie come nel mondo, come in noi. Kantianamente, questa conoscenza è funzione di schemi transindividuali e le apparenze fenomeniche sono relative al meccanismo onde essa si compie. La “volontà buona” è, secondo Kant, l’unica cosa buona che vi sia nel mondo. “Gli uomini, che comandano”; l’io umano, più elaborato, conduce la vita, e l’io della bestia domestica segue la vita. Gli “schemi convenzionali” non sono, qui, gli schemi cantiani; ma il modo volgare dell’interpretazione dei fenomeni, delle cose della vita». AMD (Si), c. 3r, Archivio Garzanti, Milano.

52. Com’è noto, solamente il San Giorgio in casa Brocchi sarà pubblicato su Solaria (Gadda 1931b: 1-49); L’incendio di via Keplero, in una redazione alquanto diversa, uscirà soltanto nel 1940 col titolo Studio 128 per l’apertura del racconto inedito: L’incendio di via Keplero (Gadda 1940a: 58-72); Un fulmine sul 220, abbandonato come romanzo autonomo, sarà la fonte principale de L’Adalgisa (Gadda 1944).

53. Ringrazio di cuore Gian Carlo Roscioni per la generosa disponibilità e per i preziosi consigli; un sentito ringraziamento va pure alla casa editrice Garzanti per avermi concesso di consultare il suo archivio e al personale della Biblioteca del Burcardo per la gentile collaborazione.

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ISSN 1476-9859

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